Cosa resterà del Fuorisalone oltre i barattoloni del Gran Ragù Star
Cosa può accadere in un fine settimana di Fuorisalone?
Tutti coloro che si sono riversati nelle strade del design erano veramente consapevoli di ciò a cui sarebbero andati incontro?
Io non ho visto cartelli del tipo “sconsigliato a cardiopatici, a chi soffre di vertigini e claustrofobia”; anzi, l’astuta esposizione dei barattoli giganti vincitori del Gran Ragù Star Design Award avrà convinto anche le casalinghe più cool a risparmiare ai propri mariti il pomeriggio Ikea ma a condannarli al martirio del Fuori Salone.
Io, infatti, non volevo proprio uscire perché poi, se uno torna a casa in preda a sgradevoli sensazioni (come minimo) o contuso o non torna proprio perché la folla lo ha trascinato in una parte della città a lui ignota, non si può lamentare.
Ma tant’è, come nei migliori horror movie, dove, chissà perché, i protagonisti si avventurano sempre in luoghi evidentemente pericolosi, anche io ho fatto la mia parte.
Con un compromesso: che domenica mi sarei dedicata solo alla “mia” Domus (per l’intelligence collegata, non sono una giornalista) e non ne avrei parlato perché il dovere di cronaca m’impone di essere obbiettiva.
Ma andiamo con ordine.
Venerdì sera sono stata alla Statale per la tradizionale esposizione di Interni che è un po’ come la festa del Santo Patrono, “l’anno scorso era meglio/peggio”, “quest’anno c’è più gente/meno gente”, “hanno speso di più/di meno”, “come si è conciata tizia/come sta bene tizia”. Comunque, un colpo d’occhio suggestivo, inimitabile per la bellezza della Statale ma anche per l’indubbia capacità della rivista di far dialogare le opere esposte con il contesto e di rendere accessibile il design anche ai meno avvezzi.
Sabato pomeriggio, sentendomi molto ma molto trendy, ho attraversato Garibaldi-Moscova-Porta Genova però con il trucco: una visita guidata del gruppo Acanto –ragazze eccezionali, molto dotte- mi ha portato alla Chiesa dell’Incoronata (c’era una trappola anche lì, nella libraria agostiniana della fine del XV sec., un’esposizione su turismo e riciclo, ma come si possono immaginare certi pericoli?) ; una coppia di amici, invece, mi ha invitato alla Cucina Fusetti per il Craft Party di Etsy Italia, il sito che permette ad artisti e appassionati di vendere le proprie creazioni.
La Cucina Fusetti, sui Navigli ma defilata rispetto al cuore pulsante del fuori salone, ci ha permesso di respirare dopo un tragicomico tragitto in metropolitana.
Il posto è da ascrivere alla categoria del gusto retrò, un po’ osteria a conduzione familiare, un po’ rigattiere, quasi al confine con un circolo Arci visto che ospita laboratori e permette un libero transito tra l’interno e l’esterno senza imbarazzanti scontri con camerieri indaffarati. Ci siamo limitati all’aperitivo, decisamente economico, 5 euro per torte salate a volontà, 2 arrosticini e una bibita.
Relativamente a domenica, poiché di Domus non dovrei scrivere, vi parlerò, di un’altra visita che ha concluso il mio fuori salone: un’organizzazione a me assolutamente ignota ha realizzato un’esposizione a Palazzo Clerici “The Future in the Making”.
Animata da spirito critico e scetticismo (con gli sconosciuti non si sa mai), ho varcato la soglia di questa dimora settecentesca che vanta la preziosa Galleria del Tiepolo. All’interno, laboriosi artigiani senza la pialla ma con macchine bizzarre, molto meno romantiche degli attrezzi tradizionali ma dalla funzionalità sorprendente: un robot industriale che ha permesso di realizzare una linea di arredo con il recupero di materiali provenienti da vecchi elettrodomestici, una macchina per costruire oggetti con l’utilizzo dell’energia solare e della sabbia ecc..
Poi, quasi per incanto, una vetrinetta piena di cioccolatini frutto del lavoro dell’architetto Josè Ramon Tramoyeres: voi direte, non bastava un maître chocolatier? No, perché il giovane professionista (simpatico, abbiamo avuto una divertente conversazione in italo-spagnolo) ha realizzato una macchina per applicare alla gastronomia le tecnologie per la stampa 3D, uno strumento versatile che permette a cuochi e food designer di manipolare facilmente gli ingredienti. Il progetto è nato in collaborazione con lo chef Paco Morales, una stella Michelin, che dirige il ristorante dell’Hotel Ferrero (nella zona di Valencia) ed è ritenuto uno dei più significativi rappresentanti della post-avanguardia nella cucina spagnola.
Purtroppo, ripeto, non so darvi indicazioni su chi abbia realizzato questo evento del Fuorisalone che ha messo in evidenza i cambiamenti in atto, senza tanti fronzoli (per quelli bastava la Galleria del Tiepolo), con l’unicità che deriva dalla cultura, dall’indagine e dalla capacità di trasferire il senso dell’evoluzione che non può essere relegata a un solo campo d’azione.
Concludo citando la mia amica di pennuccia, “c’è tanta ignoranza in giro”. Io sono ignorante (non posso sostenere di essere un’esperta di design ma neanche del gioco delle bocce se è per questo), però, ritengo che sia compito dei professionisti di un settore colmare la distanza con il pubblico. Arroganza, ostentazione, autocelebrazione e finta condivisione basata su borsette di tela e party che nascono per pochi selezionati e poi aprono le porte a tutti come una concessione del sovrano al popolo, servono solo ad abbruttire il contesto.
Se non si riesce a trasmettere la conoscenza bisognerebbe almeno provare a trasferirne l’emozione.
[Paola Caravaggio. Foto The Future in the Making: Stefania Cappellini]