Crazy Pizza non farà pizze da Campionato ma fa bene a Napoli
È per stasera, 17 settembre, l’appuntamento con l’apertura di una nuova sede di Crazy Pizza – il brand creato da Flavio Briatore – che sbarca a Napoli. Sì, nella città che più sente proprio quel riconoscimento di “L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” nella lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO.
Sembra un affronto e invece è un complimento.
Sulla scia di una Napoli sempre più meta del turismo internazionale e sempre più in crescita nel numero di visitatori 365 giorni l’anno, non si può restare fermi. E un bravo imprenditore lo sa. Ecco perché Briatore non poteva fare a meno di affacciarsi sul golfo partenopeo.
Arriva dunque in via Nazario Sauro – di fronte a Castel dell’Ovo – il gruppo Majestas, ex Billionaire Life e che è il risultato di un processo di rebranding completato nel 2021. Un gruppo che si definisce “leader nel campo internazionale della ristorazione di alta qualità, dell’intrattenimento d’élite e dell’ospitalità di lusso”.
Insomma una icona di lifestyle più che di standard di idratazione e cornicioni instagrammabili. È evidente che lo scopo di un locale del genere non è vincere il campionato della pizza ma collocarsi nella wishlist di ogni singolo mortale. Nessuna voglia di impippettarsi sui tempi di lievitazione di un panetto, quanto più riuscire ad entrare a far parte di uno status symbol, di un gruppo elitario che gode banalmente del lusso. Motivo per cui non conta il costo di una pizza margherita ma quello che rappresenta. Esattamente come quando si accetta di pagare un sovrapprezzo per qualsiasi altra esperienza al fine di aver una posizione privilegiata.
Il fatto che Briatore ed il suo socio Iervolino ed il gruppo imprenditoriale Majestas sporgano il naso dalla Costa Smeralda e puntino a Napoli (per di più dopo aperture in città come Londra, Milano, Monte Carlo, Doha o Saint Tropez) dovrebbe inorgoglire l’intera regione. E non solo l’affascinante ma permalosa Partenope. Ciò in ragione di due motivi:
1- potremmo cominciare ad essere oltre che sentirci più internazionali
2- la tradizione della pizza non è qualcosa da mettere in salvo nè tanto meno è di competenza di Briatore; la pizza nel suo significato più popolare e democratico è qualcosa che non morirà mai proprio perché nelle sue infinte forme accontenterà sempre tutti. Sta, piuttosto, a chi si fa detentore della storia preoccuparsi di conservarne le tradizioni.
NAPOLI CAPITALE DELLA PIZZA MA ANCHE NON PIÙ
Proprio perché la pizza è tra i cibi più richiesti e mangiati al mondo, non si può che citare le parole di Francesco Martucci dopo la premiazione di 50 top pizza mondo 2024 – classifica in cui il casertano si è aggiudicato il secondo posto. Mentre al primo posto c’era “una pizza napoletana”, sì, ma quella di Anthony Mangieri a New York. E dunque Martucci ha dichiarato: “la pizza è Figlia del mondo. E la vittoria (meritata) di un pizzaiolo americano fa capire quanto la pizza corra veloce e la pizza può essere mangiata straordinariamente a qualsisia latitudine”.
Ma Martucci sarebbe bastato citarlo soltanto nel nome per avere un chiaro segno di quanto sia riduttivo questo luogo comune secondo cui solo Napoli sia sinonimo di ottima pizza. Ebbene, Martucci è tra i più grandi rappresentanti del mondo della pizza ed è di Caserta. Lo ha preceduto in questa scalata Franco Pepe, di Caiazzo (CE). Ancora, potrei menzionare maestri come Simone Padoan (Verona) e Massimiliano Prete (Torino). E poi potrei elencare tanti grandissimi nomi di questo panorama: tutti che rappresentano il futuro della pizza e tutti delocalizzati rispetto a Napoli. Esempi ne sono Pier Daniele Seu e Jacopo Mercuro a Roma, per poi scendere da Roberto Davanzo a Cosenza.
Forse dunque toccherebbe solo a Napoli provare ad aprire gli occhi. Lo stesso Campionato della Pizza che ha preso in esame tutta ma solo la Campania (e di cui a breve vi sveleremo i particolari) in finale ha visto arrivate in Top 5 ben 3 pizzerie di Caserta, 1 di Salerno e solo 1 di Napoli.
CRAZY PIZZA: UNA VISIONE COMPLETAMENTE DIVERSA
Briatore e Crazy Pizza non hanno mai fatto segreto della loro visione di pizza totalmente differente da quella Napoletana. E questo è l’ennesimo atto intelligente di un imprenditore di successo che non vuole scopiazzare o scimmiottare una tradizione. Ma vuol adattare il proprio prodotto al gusto internazionale senza pretendere di indottrinare alcuno con lo storytelling su una pizza cotta obbligatoriamente in un forno a legna o con una serie di altre metodiche imposte. Crazy Pizza vuole centrare quello che si definisce lifestyle, un modello, una posizione e non semplicemente una margherita a 17€.
E non è questione di materie prime.
LUSSO È ESCLUSIVITÀ
“Il lusso è l’abitudine a consumi di elevata gamma qualitativa e costo. È uno stile di vita e di comportamento che privilegia l’acquisto e/o il consumo di prodotti e oggetti, spesso superflui, destinati ad esempio ad ornare il proprio corpo o la propria abitazione.”
Sembra dunque che il lusso sia legato a doppio giro con qualità e per cui al costo. Da questo ne deriva che la possibilità di accedere al lusso sia per pochi. Il fatto stesso che esista una esclusività costituisce la maggiore attrattiva per l’accesso a tali consumi, a tale stile di vita: oggetti e stili di vita che diventano così uno status symbol della posizione sociale (elevata) raggiunta.
Eppure tutto ciò è qualcosa che non mi pare sia nuovo. Lo stesso lavoro dell’ultimo decennio delle pizzerie campane rende chiaro che questo meccanismo sia stato intercettato: selezione degli ingredienti, marchi e denominazioni sempre più abusati accanto ai prodotti in carta per giustificare un costo nettamente superiore che poi è conseguenza di una qualità ricercata, percorsi di degustazione che rendono il cliente parte di una esperienza sempre più esclusiva a cui si affiancano sale specifiche con obbligo di supplemento per la prenotazione di esse o anche intere sedi differenziate per un’offerta che seleziona la clientela.
Attenzione che di pizzerie napoletane lussuose a Napoli ce ne sono. Concettina ai Tre Santi alla Sanità (pizza margherita a 12 €, ma a Capri costa 24 €) e Palazzo Petrucci a Posillipo (anche qui margherita a 12 €). E c’è chi ha portato margherita e marinara napoletana in tutto il mondo (Michele in the World, Sorbillo, Capuano). Ma resta l’incapacità di moltissime pizzerie napoletane nel valorizzare la pizza nei fatti. Che vuol dire aumentare i prezzi (come è successo un anno fa proprio a seguito della polemica con Briatore) ma anche migliorare qualità, servizio, conoscenza. Non è solo questione di like e di pizza è per il popolo.