Fuorisalone 2012. Il postoristoro di Natascia Fenoglio non entusiasma
In questi giorni di Fuorisalone annacquato, l’obiettivo dei girovaghi del design è quello di trovare la propria comfort zone senza combattere con scomodi ombrelli e antiestetiche galosce.
Ma non è facile come a dirsi: il fuori salone tende delle trappole che spingono a lanciarsi sotto la pioggia come Gene Kelly pur di fuggire da ambienti sovraffollati dalla movida milanese o da spazi deserti stile vernissage di provincia e senza neanche i colori delle croste con scorci marini.
Quest’ultima è la sensazione provata entrando nello spazio allestito da Upmarket. Sulla carta, l’iniziativa sembrerebbe avere una sua ragion d’essere proponendosi di trasformare spazi urbani inutilizzati in luoghi espositivi per artisti, non in forma di shop ma con una connotazione domestica.
Peccato che, entrando nella autofficina in disuso pertinenza di un palazzo storico di fine ottocento nei pressi di San Vittore, si abbia proprio la sensazione di… entrare in una officina in disuso!
Gelide fanciulle trincerate dietro un desk, qualche astante calato nel mood del “non lo capisco ma deve essere bello per forza” che trascende in una tristezza volutamente malcelata.
Senza mettere in discussione gli artisti che hanno esposto e la buona volontà di voler dare spazio alle piccole realtà produttive, l’allestimento snatura completamente quanto dichiarato dai curatori, collocandosi tra i tanti luoghi espositivi dove prevale lo snobismo utile a posizionarsi in una cerchia ristretta di design addicted ma, certamente, non a farsi apprezzare da un pubblico più ampio.
Mandala Chicles by Natascia Fenoglio for #makingtogetherinstagr.am/p/Jje_CCx-rI/
— susanna legrenzi (@susannalegrenzi) Aprile 18, 2012
Perfino le divertenti creazioni con il cibo di Natascia Fenoglio in questo contesto assomigliano più a cimeli kitsch da mercatino che al risultato di studi e sperimentazioni.
Per Upmarket, l’artista è autrice del postoristoro (che è poi il desk severamente presidiato), idea in sé conviviale in quanto zuppe calde e fredde non stop dovrebbero essere offerte al pubblico in un particolare contenitore. Noi non abbiamo visto né le zuppe né il contenitore, salvo un vasetto di vetro (questo sì in stile domestico, mancava solo il meraviglioso tappo dorato Bormioli) contenente una crema di finocchio che un giovanotto ha acquistato davanti ai nostri occhi, ma si sa che la fame quando arriva arriva.
A parte queste presunte prelibatezze, in un angolino un solo catalogo di performance edibili in consultazione altrimenti acquistabile alla modica cifra di 25 euro (almeno una quindicina di zuppe di finocchio dovrebbero uscirci).
Un vero peccato: la Fenoglio è molto brava nel ragionare sul cibo come materia e nel trasmettere questo aspetto al pubblico attraverso performance che richiedono interazione e superano l’esigenza di produrre pasti gourmet.
Non è solo una food designer, ma anche una designer con il food: un po’ inquietanti le edible bones, ossa fatte di meringa, surreali i martelli con una fetta di torta che sostituisce la mazza.
Tutta la giocosità di queste opere si perde nel distacco con cui vengono presentate: descrizioni scarne, nessuna esperienza tattile.
Alla domanda su cosa fossero le edible bones (l’ignoranza è una brutta bestia), mi è stato detto “opere in esposizione” … e io che pensavo che fosse passato di lì un macellaio distratto o un serial killer particolarmente esibizionista.
[Paola Caravaggio. Link: Natascia Fenoglio. Immagini: bigbenzine/Instagram, Making/Pinterest, repubblica.it]