Milano. Bevuta stampa indimenticabile o quasi con Gra’it, cioè grappa e Italia
Al Grand Hotel & de Milan in via Manzoni, c’è stata la presentazione di Gra’it, il nuovo prodotto delle Distillerie Bonollo di Padova.
Per la precisione, eravamo al Caruso Fuori, l’elegante cocktail bar dell’Hotel, con ingresso indipendente da piazzetta Croce Rossa – “Fuori”, appunto. Per chi poi se lo chiedesse, “Caruso” perché siamo a due passi dal Teatro alla Scala, e perché l’Hotel è particolarmente legato al mondo musicale: qui morì, nel 1901, Giuseppe Verdi. E il ristorante dell’albergo si chiama Don Carlos.
Invece il nome Gra’it è stato pensato per il pubblico internazionale: si pronuncia più o meno come great, ma contiene l’italiano grappa e it come Italia. Una grappa italiana, quindi – come si poteva anche intuire dal produttore, le Distillerie Bonollo, che di grappe e distillati si occupano, e bene, fin dall’Ottocento.
Gra’it si propone come un concentrato di italianità: è una miscela di 7 diverse varietà di grappe: Barolo (Nebbiolo), Moscato d’Asti, Aglianico, Brunello (Sangiovese), Prosecco (Glera), Amarone (Corvina), Nero D’Avola. Ed è destinata soprattutto al mercato della mixology, anche se si può ovviamente bere da sola, mi dicono.
Per presentarla, l’evento al Caruso Fuori, che era la continuazione della Gra’it Challenge, la prima gara mondiale dedicata alla grappa, organizzata nei mesi scorsi negli Stati Uniti da Bonollo con la United States Bartenders’ Guild (USBG).
I finalisti della gara, Giorgia Crea, Hector Acevedo, Franky Marshall, David Bonatesta, Meredith Barry, Ryan Wainwright e William Benedetto, saranno ospiti in Italia per conoscere da vicino l’Italian way of life, e riproporlo, attraverso i loro cocktail, negli USA.
Giorgia Crea, italiana come dice il nome, romana anzi, con il suo “A Care Affair” ha vinto la competizione. Capo bartender del locale Zucca a Coral Gables in Florida, si è innamorata della mixology durante gli studi universitari, ed è stata a Londra, al The Bassoon Bar del Corinthia Hotel 5 *Luxury, e all’Hush Brasseries Mayfair.
Il suo cocktail, A Care Affair, è composto da:
• Gra’it Grappa
• Vermouth rosa
• Sherry
• Grape seeds oil
• Rose water
La serata è stata interessante: grazie a un’amica giornalista del Corriere della Sera ho conosciuto uno dei membri della famiglia proprietaria delle distillerie – nonostante le dimensioni, sono tuttora un’azienda a conduzione familiare, ormai per la quarta generazione. Ringrazio Marisa Fumagalli: si trattava di uno di quegli eventi pensati più come festa che come presentazione (meno male che ci sono i comunicati stampa).
I bartender preparavano i cocktail come da programma, sui tavoli noccioline varie patatine e olive, vassoi di mini-tartine con ingredienti vari (molto mini, invero: lato diciamo 15 mm?). Uno dei cocktail era a disposizione in apposite provette. Ovviamente, era la Provetta dell’Alchimista: Gra’it, Oleo saccharum limone e pompelmo, succo di agrumi, tè verde. Piacevole, ma ho l’impressione che la provetta, per quanto scenografica, diminuisse un po’ l’efficacia del mix. Che è un altro modo per dire che forse avrei preferito “la caraffa dell’alchimista”.
Quello che ho preferito è stato invece l’altro cocktail che ho bevuto, scelto fra i tre in degustazione: Signature Gra’it, ovvero Gra’it e soda al pompelmo rosa. In entrambi i casi, la grappa reggeva benissimo gli altri ingredienti – ma qui forse era più percepibile.
Insomma, molto bene la parte Gra’it e cocktail – presto in distribuzione e nei migliori bar. Qualche dubbio in generale. All’ingresso, non hanno il mio nome, pur avendo io regolarmente accettato l’invito. Apri l’iPhone, cerca la mail, ah sì bene grazie (un giovinotto molto gentile).
All’uscita, arrivederci grazie – le lasciamo un omaggio. Un simpatico sacchettino del Grand Hotel con dépliant e con una bottiglia di Gra’it.
A casa: brochure dell’azienda, un’elegante bottiglia del prodotto, con un bocciuolo di rosa al collo.
Vuota, come tutte le altre che erano in esposizione, e che vedete in giro nelle mie foto.
Per di più, usata, ancora con qualche centilitro di liquido all’interno.
Ora, mi avrebbe fatto piacere, ovviamente, ricevere una bottiglia piena. O una qualsiasi altra cosa, il solo bocciuolo, un sacchetto di vinacce per farmi la mia grappa, un apribottiglie, una foto del consiglio d’amministrazione: perché mi piace l’idea del regalo.
Ma non mi dà fastidio che non ci sia, basta che mi diano del materiale informativo, in qualsiasi forma: l’eventuale omaggio è un gesto carino, gentile, ma non mi cambia la vita – e nemmeno la mia opinione sul prodotto, sull’evento eccetera.
Ma trovo fastidioso il regalo inutile (e questo non è stato l’unico): si trattava, mi hanno spiegato, di un omaggio destinato ai retailer, e non agli invitati dei media. Pazienza: mi sono portato a casa una bella bottiglia , che vedrò di collocare da qualche parte e spolverare (magari con uno dei millemila grembiuli da chef/omaggio che mi girano per casa: non mancando io di macchiarmi quando cucino, o mangio, sono utilissimi).