Il panettone di Gabriele Bonci è il modo migliore per iniziare il 2013
Quest’anno ho assaggiato diversi panettoni seguendo lo scorrere degli accadimenti di vita quotidiana piuttosto che con l’idea di stilare una classifica. Un passaggio a Eataly Roma (inserita stabilmente nei percorsi di visita di amici e conoscenti che transitano per l’Urbe), un test in un ristorante, un assaggio improvvisato con 4 panettoni, una cena a casa di amici non gastro-fissati. Avevo saltato per semplici ragioni logistiche il panettone di Gabriele Bonci sfornato nel nuovo panificio di via Trionfale. Ma sono riuscito a rimediare.
Ve lo dico in pieno conflitto di interessi perché Gabriele ha lasciato un commento sul post e sono andato al panificio. Quindi, non solo mi è stato offerto, ma c’era anche Gabriele Bonci al taglio e persino i fornitori della farina: gli instancabili fratelli Fausto e Fulvio Marino dell’omonimo Mulino.
Ma anche se non ci fosse stato alcun volto noto e se avessi pagato, il giudizio non cambierebbe. Perché il panettone di Gabriele Bonci vive di una vita propria nel senso che non è assimilabile al canone tradizionale milanese. In questo non differisce da quello di Alfonso Pepe e Pier Luigi Roscioli, ad esempio. “Il panettone di Pepe l’ho tenuto lassù per arrivarci”, dice. Ma l’occhio è anche al panettone di Roscioli, ovvero forno e storia. La verità, però, è che Bonci ha trovato ancora un’altra strada per il suo panettone.
Una strada lastricata di tentativi per arrivare a una ricetta che mettesse insieme la farina lasciata a ossidare da luglio “come si faceva negli anni ’50”, il burro francese e il lievito naturale. E potremmo scrivere un trattato sul lievito di Bonci, meglio, potrebbe scriverlo chi è addetto alla sua cura e ai rinfreschi. Lievito che vive sempre come molte altre realizzazioni di Gabriele.
E vive e respira anche questo panettone che al taglio diffonde repentino il suo profumo. Lo segui inspirando voluttuosamente la fragranza che percepisci netta. Anche se sei al panificio. Sembra ovatta o zucchero filato per come si allunga e si sfoglia leggera. E’ il risultato che Gabriele cercava e che ti spiega con questo allargare leggero e invitante. “Il burro e il lievito hanno lavorato bene insieme”, si inorgoglisce come vuole la sua passione sfrenata per il “cibbbo”. Bisognerebbe fare la tara, ma Gabriele ti coinvolge e se sei stato di notte a vedere pane e pizza che lievitano non sei insensibile. Il passaggio farina-impasto-pane ha sempre qualcosa di miracoloso.
Sensibile ma obiettivo. Diciamocelo, con Gabriele Bonci ci riesci facile quando azzecca la ricetta. E il panettone è andato oltre: riesce a farsi ascoltare mentre il crepitio della glassa (praticamente di polenta) ti accompagna nel contrasto morbido-croccante. E l’effetto burroso ti prende e continua lungo e dolce. Ecco, un dolce da fine cena, meraviglioso e suadente. Una terza via rispetto a Alfonso Pepe e a Pier Luigi Roscioli. Ti piace l’idea che si possa tenere a riferimento un modello per poi cambiare passo, sperimentare e arrivare a un prodotto nuovo. E’ così che nascono nuove eccellenze. Diciamo, da 9 +.