Bufala che non è solo segno di mozzarella ma anche di design, vino, pomodoro
Dici bufala e pensi subito al naturale accompagnamento: mozzarella di. Proprio come una specifica alla voce Paestum che si snocciola in un percorso di sapori, di templi e di classifiche. La bufala è diventata segno di riconoscimento di un territorio e di una storia che da tradizione si fa segno contemporaneo e percorso di gusto. Mi piace come lo ha svolto un’agenzia di comunicazione di Eboli, la Nju, in combinato con l’architetto Sabina Masala.
Per l’azienda San Salvatore 1988 i creativi dell’agenzia e l’architetto hanno messo insieme la grafica e l’interior per dare fisionomia al vino agganciandolo a un’immagine non molto scontata come quella della bufala. L’azienda agricola San Salvatore ha circa 450 bufale, ha sito a Capaccio-Paestum, Giungano e Stio, ha 16, 5 ettari di vigne, 7 di oliveto e 3 di frutteto. Oltre a 2 alberghi, il Savoy e l’Esplanade, e un ristorante, il Tre Olivi, tutti a Paestum. Una realtà complessa ma che si fonda su valori naturali. Il bufalo diventa simbolo del vino, produttore di eccellenza diverso rispetto alla bufala produttrice di latte, e quindi di mozzarella, che però si ritrova insieme in etichetta e in assaggio quando a uno dei vini che preferisco, il Fiano Pian di Stio si abbinano i latticini.
Un bel gioco di assonanze e rimandi tra il bianco della cantina e il bianco del caseificio che è stato declinato con vividezza anche nel manufatto che ospita la cantina San Salvatore 1988. Un abbastanza anonimo capannone da zona industriale, in questo caso di Giungano, a poca distanza dai templi di Paestum, il cui tratto distintivo del porticato diventa espressione di un’architettura di sostanza che non rinuncia al colpo d’occhio. L’iscrizione del corpo industriale nel brand è stato curato dall’obiettivo del fotografo Michele Calocero che ha saputo mettere in risalto l’ambiente collinare, un topos quasi dimenticato del Cilento che pure è acrocoro scosceso.
L’azienda è un esempio di integrazione perfetta con un territorio che, secondo i parametri del pip, avrebbe dovuto ospitare soltanto il capannone industriale ed invece si è dotata anche di una cantina e sala degustazione. Il passaggio dal carattere oleografico della cantina ricavata dal tufo e ammantata di rovere in una zona ad alta presenza archeologica farebbe pensare a una impossibilità di contemporaneità del linguaggio di composizione architettonica.
“Eppure, il vino è cambiato, in termini di qualità, conservabilità, genuinità ed igiene e questo ha richiesto altrettanti adattamenti all’intero sistema di produzione, moderno e sicuro ma in sempre in interazione organica tra persone, ambiente fisico e biologico”, spiega Sabrina Masala.
E’ così che cantine scavate nel tufo, con botti in legno ed impiego massiccio di iposolfito, si sono trasformate in ambienti salubri, che ospitano contenitori lavabili, a refrigerazione meccanica e pannelli di controllo a microfiltrazione. Tutto è igienico, tecnico e tuttavia leggero ed arioso. La cantina si apre ed accoglie una sala fatta di scaffali bianchi in legno e vetro, sui quali poggiano vini e prodotti della terra, l’illuminazione è bianca e diffusa, la pavimentazione in pietra naturale, il soffitto e le travi in legno, pareti, tavoli e sedie hanno i medesimi colori candidi. Il legame profondo tra antico e moderno è immediato; produzione e degustazione non sono separate.
La cantina per l’affinamento in barrique è ripensata per tecniche di vinificazione moderne che richiamano il territorio e le sue tradizioni, attraverso pavimentazioni in pietra naturale e pareti su cui è stato steso il colore del vino, visibile attraverso ampie vetrate.
Appena oltre, la sala per la degustazione lascia che l’attenzione sia proiettata all’interno, alle botti e all’esterno, attraverso le finestre, alla natura che la circonda, abbracciandola totalmente. Sapori e profumi si mescolano sulle labbra mentre questi immagini si imprimono negli occhi e nella mente degli ospiti.
Il design alimenta la brand identity anche con il grande formato del lettering che si rincorre nella parete della scala di collegamento tra i piani: “Ho visto un bufalo tra le vigne ed ho bevuto vino. Ho visto un bufalo tra le vigne e lui ha visto me”. Una pagina di un diario di Goethe o una citazione più antica che vi risuona in mente?
Ben io qui canterei, qual sia de gli orti
La cultura miglior, come di Pesto
Due volte rifioriscano i rosai
[Immagini: Michele Calocero]