L’Italia è un dehors: tavolini selvaggi e polemiche
Permettere ai locali di recuperare parte della capienza persa all’interno. La causa, ovviamente, è il distanziamento imposto dal Coronavirus. Bar e ristoranti potranno sconfinate nelle cosiddette “zone 30”, cioè strade a velocità moderata dove vige il limite di 50 chilometri orari. Questo ha chiesto la giunta milanese al Consiglio comunale chiamato ora a votare la proposta.
Dehors di bar e ristoranti a Milano
Il progetto Strade Aperte, voluto dal sindaco Sala per ripensare il concetto di mobilità milanese post Covid 19, prevede oltre a nuovi percorsi ciclabili e pedonali la possibilità per bar e ristoranti di posare dehors e tavoli sulle aree di sosta.
Fino a oggi Palazzo Marino ha rilasciato 1200 concessioni, pedonalizzato aree per 6.500 metri quadrati e concesso quasi 45mila metri quadrati di suolo. Se la proposta della giunta verrà approvata, le occupazioni di suolo si allargheranno a dismisura. Con più di una polemica per la sicurezza della persone, anche se l’assessore alla Mobilità Marco Granelli, dopo il lungo censimento delle strade che sono zona 30 (tra queste viale Gorizia, via Eustachi, via Arnaldo da Brescia, via Anfossi, via San Bernardo, via Jacopo dal Verme…) ha escluso reali pericoli.
Torino
Per favorire il distanziamento e la ripresa delle attività dei locali, il Comune ha concesso gratis il suolo pubblico. Si sono allargati bar e ristoranti, con il post-emergenza Coronavirus caratterizzato da un boom di spazi all’aperto in ogni via del centro.
Rispetto alla fase prima della quarantena, i dehors a Torino (senza struttura coperta, con pedana o senza, con padiglioni chiusi o aperti), sono aumentati di oltre 500 unità, sfondando quota tremila.
Anche nel capoluogo piemontese non sono mancate le polemiche, in questo caso perché la proliferazione dei locali con spazi all’esterno si sta “mangiando” una parte consistente dei parcheggi disponibili, con disagi per i residenti dei vari quartieri causati anche dall’aumento del rumore notturno.
Venezia
Sono sessanta gli ombrelloni tre metri per tre aperti tra i due lati delle Procuratie per salvare dalla crisi post-emergenza Coronavirus i caffè storici, e oltre 400 posti di lavoro.
Contrarie con la Sopraintendenza anche le associazioni che, come Italia Nostra, denunciano da sempre la svendita e la mercificazione senza qualità di Venezia.
Per la prima volta nella storia della città è possibile sorseggiare l’aperitivo sotto un ombrellone dentro il cielo di Piazza San Marco. La priorità, per esercizi storici come Florian, Quadri, Lavena, Aurora e Chioggia, è salvare dalla crisi i loro locali e i posti di lavoro, nonostante le presenze turistiche a Venezia siano crollate fino al 70%. I sessanta ombrelloni aperti per decreto governativo fino al 31 ottobre nella piazza su cui si affaccia la basilica più indimenticabile è fragile del pianeta, sono tutti quadrati, color crema, in stoffa impermeabile.
Se con il freddo il contagio dovesse riesplodere, gli ombrelloni verranno dotati di riscaldatori per tenerli pure in inverno e tutto l’anno. A questi potrebbero aggiungersi tende e pannelli in plexiglass per riparare i turisti dal vento.
“Non possiamo più permetterci di discutere anni per stabilire se un ombrellone decora o disturba un luogo che appartiene a tutti come Piazza San Marco”, ha detto rispondendo alle polemiche l’ex sindaco Massimo Cacciari. “La crisi economica innescata dalla pandemia, molto semplicemente, nell’Italia fondata sul turismo, minaccia di trasformarsi in rivolta sociale”.