MAD 3, dove si consuma Guts, scontro per la carne all’ultima interiora
Sono partito per il MAD 3, terza edizione a Copenhagen come se andassi in pellegrinaggio in un luogo sacro. Munito di articoli e fogli, attendo impazientemente l’inizio. Il Symposium quest’anno è co/curato da David Chang, chef del Momofoku a New York City, fondatore di Lucky Peach e proprietario e chef di un’altra decina di ristoranti sparsi nel mondo.
Quest’anno il tema dell’incontro è le “interiora”, “Guts”, con la più larga accezione di “aver stomaco, coraggio”. Si susseguono chef e scienziati, artisti e scrittori. Ognuno di loro ha parlato di sé e della propria esperienza e del coraggio avuto nella propria vita.
Ad aprire il convegno un magnifico Dario Cecchini, bravissimo nel trasmettere la propria passione ma anche nello spiegare che la figura del macellaio è una figura imprescindibile nella società moderna. Con la sua abilità è riuscito a tramutare l’atto dell’evisceramento in un gesto delicato e necessario alla sopravvivenza dell’essere umano. Il macellaio, dice Cecchini, è colui che sente l’odore del passaggio tra la vita e la morte ed è per questo che rispetta l’animale più di chiunque altro. Invita a ribellarsi alle fettine sottovuoto e ai supermercati. Rivalutiamo i macellai, è il suo motto condivisibile. Cecchini, come posso non condividere (e non sono nemmeno vegano)?.
Dopo Cecchini si sono avvicendati sullo stage una serie di speaker i cui interventi avevano in comune l’inquinamento di mother earth, la fame nel terzo mondo: la piccola blogger Martha ha raccolto centinaia di migliaia di euro per i bambini africani scattando foto dei pranzi serviti in mense scolastiche, la malnutrizione della società moderna con il proprio non-cibo, come lo definisce Vandana Shiva, notissima speaker internazionale e agitatrice di masse. Ho trovato quasi tutti gli interventi sicuramente interessanti ma non particolarmente profondi, anzi alcuni al limite dello scontato.
E inoltre, molto banalmente ma come al solito, un po’ di incoerenza di fondo: se il nemico comune sono le corporazioni e le multinazionali perché i soliti marchi capeggiavano ovunque? Mistero
Preferisco concentrarmi su Jon Reiner, autore del libro “The man who couldn’t eat”. Jon, affetto da un morbo, non ha mangiato nulla per anni e quando, miracolosamente guarito, ha iniziato a mangiare di nuovo ha descritto questo passaggio come una epifania, una rinascita del corpo e dell’anima.
Mi soffermo a meditare sulle parole di Pascal Barbot che spiega la spontaneità in cucina, argomento che sarebbe stato interessante approfondire considerando che tutti immaginiamo una cucina di un tristellato un luogo sacro la cui legge viene dettata solo e soltanto dallo chef. E invece parrebbe di no. Lo stesso Barbot dice che si diverte a cambiare la mise en place degli chef de partie per comprendere la capacità di adattamento a situazioni nuove. Mi chiedo se uno chef sbaglia l’abbinamento cosa succede.
Micheal Twitty, testimone ed erede della tradizione ebraica di colore in Alabama, ha forza e coraggio e dimostra “guts” mantenendo viva la tradizione e la propria cultura nonostante il razzismo di cui sono vittima gli ebrei di colore, dunque doppiamente discriminati. Guadagna punti con me e con tutti quelli che ascoltano quando spiega di aver invitato Paula Deen per parlare delle sue dichiarazioni razziste. Ovviamente la controparte non si è presentata.
La 90enne, famosissima autrice di libri di cucina messicana, Diana Kennedy è arrabbiata per l’inquinamento prodotto dai ristoranti e in particolare grida allo scandalo quando parla del sottovuoto: “devo cucinare in una busta di plastica e pensare che mi faccia bene? Ma perché?”. Lei vive in Messico in una casa immersa nel verde con tanto di orto. Inizio a pensare che se voglio arrivare a 90 anni come lei, forse me ne devo andare anch’io a vivere nel verde.
La prima giornata si conclude con una performance di un comico/artista graffiti davvero divertente, David Choe. Nessuno gli aveva mai dato fiducia ma, nonostante tutto, lui ha continuato a credere in se stesso al punto da mantenersi scommettendo a Las Vegas e continuando a fare la sua arte. Registro il caso a vantaggio di quanti sostengono che il sogno americano non esiste più.
La seconda giornata del MAD 3 inizia puntuale alle 9 e mi godo il caffè di uno degli sponsor della manifestazione. Molto buono. Un po’ di pane e burro e si parte. Renè Redzepi, motore originario del MAD, presenta Knud Romer, autore di “Nothing but fear”. Ammetto che la sua storia che include un barbone (che esiste per davvero ma potrebbe rappresentare il suo alter ego) e il suo stop all’alcol sono stati particolarmente coinvolgenti.
Si alternano sul bellissimo stage, preparato da Redzepi e i suoi collaboratori, chef di altissimo calibro in veste diversa rispetto al solito: niente giacca bianca ma una t-shirt e un microfono a parlare.
Alain Ducasse spiega di come ha riconosciuto un burro fatto con latte di mucca che ha mangiato erba bagnata, mentre un reverenziale Chang chiede consiglio per lui e tutti gli chef presenti in sala su come gestire la notorietà. Ci manca solo che Ducasse si alzi per benedire il pubblico tanto sacra è l’atmosfera.
Ben Reede del Nordic Food Lab del Noma porta un haggis (googlate, googlate) in scena con tanto di cornamuse, mentre Alex Atala chiede al pubblico se può procedere al sacrificio di una gallina (!). E così fa.
Il brasiliano Atala curerà il MAD del prossimo anno e ci si saluta con l’augurio, per tutti i cuochi giovani e ambiziosi che arriveranno sperando di toccare con mano i grandi della cucina e di essere baciati dell’ispirazione eterna, di vedere il loro sogno avverarsi.
Qui al MAD di Copenaghen che è un congresso con le interiora al posto giusto.
[Immagini: madfood.co]