Mangia prega ama. Un disastro gastronomico
Voi ragazze americane quando venite in Italia cercate solo pasta e… saziccia
(Mangia prega ama)
Sono appena uscito dal cinema, in un afoso pomeriggio romano. Non vi racconterò niente del film, della sua bruttezza, della trama sfilacciata, di quella specie di orrendo sincretismo morale che lo anima. Non mi arrabbierò della mediocre fotografia, del perché si prenda una meravigliosa quarantenne (Julia Roberts) e le si faccia fare la parte di una giovinetta cui molti si rivolgono con l’epiteto di ragazzina. Non mi soffermerò su un’idea di un mondo che nel 2010 si disinteressa completamente della variabile economica, una rappresentazione della società dove l’attor giovine di Off off Brodway vive in una villetta a schiera di Washington Square e i problemi esistenziali si risolvono viaggiando un anno per il mondo. No non vi racconterò niente di tutto questo, non mi compete e lo leggerete sui giornali e, se coraggiosi, lo guarderete con i vostri occhi. Solo una cosa mi chiedo, perché Javier Bardem nel doppiaggio italiano parla come il Gabibbo?
Come avrete capito il film non mi è piaciuto affatto, è narrato male banale, e neanche troppo ben girato! Del resto non è stato l’amore per Julia Roberts, nè per questa tipologia hollywoodiana a spingermi fuori di casa e a correre a vederlo. Se fosse stato per questo non ci sarei mai andato, come tanti altri film, ma avrei atteso una domenica invernale d’ozio per guardarlo nel salotto di casa, come richiede la sua naturale vocazione.
Allora perché ci sei andato, mi direte? Semplice, siamo o non siamo gastrofanatici? Non ha aperto da pochi giorni Eataly nella grande mela? Gli Stati Uniti sono o no il paese egemone della nostra cultura? Allora per un ghiottone romano è l’occasione migliore per vedere l’Italia con gli occhi yankee, per capire come la dieta mediterranea abbia conquistato il mondo… Se la mettiamo da questo punto di vista l’Italia in generale, e Roma in particolare, se la passano non troppo bene e Eat Pray Love diventa un film horror.
Roma è una strana città, l’ho sempre saputo fin da quando 25 anni fa ho deciso di abitarci: Una città rotta a tutto, nevrotica, faticosa, bellissima, internazionale ed insieme provincialissima. Una città che in 2000 anni di storia ha forgiato un disincanto che rasenta il nero cinismo. Insomma un luogo antichissimo ed insieme modernissimo: questo credevo prima di guardare il film e di inforcare un paio di lenti americane in cinemascope.
Con quelle tutto cambia, e Roma diventa un girone dantesco, un posto dove anziane signore boccaccesche abitano in palazzi barocchi, appartamenti con terrazza da milioni di euro, vecchi e cadenti, senza acqua calda e fognature adeguate. Dove si pensa solo al sesso, ci si bacia moltissimo e si pomicia in pubblico. In cui mandrilli assetati inseguono continuamente giovani fanciulle urlando loro sconcezze e non ricevendo piriti come sarebbe normale ma sguardi lusingati.
Si mangia molto in questo film, ovunque e dovunque, ci si tocca e ci si sfiora in continuazione con sottotesti erotici. Il cibo di noi romani diviene una continua metafora di sesso e anziane signore consigliano nevroticamente alla “giovane” americana di prendere marito. Gli italiani non lavorano mai, il solo momento competitivo è l’assalto mattutino al caffè del bar. Rigorosamente, passano il tempo tra un lubrico diplomatico, un sensuale fiore di zucca fritto, dolcetti golosi e spaghetti al pomodoro. A Roma grazie alla pellicola ho scoperto che non si mangia mai al chiuso, ma sempre e solo all’aperto in piazze romantiche e caciarone, si ordinano tutti i piatti insieme in una continua orgia di sapori e si innaffia il tutto con il famoso vino di Genzano, altra cosa che ignoravo. Si mugugna in continuazione di piacere mentre si assaporano i cibi. Insomma una città che è un incrocio tra un Rugantino in acido, la Parolaccia di Trastevere e il Decamerone, in un continuo deliquio di vino, cibo e sesso. Detta così non sarebbe manco male, ma mi chiedo quale futuro potrà avere il made in italy enogastronomico se la penisola è rappresentata gastronomicamente così?
Tra l’altro non c’è bisogno di un esperto gastronomo per notare che tutti i cibi ripresi sono orribili, di plastica e poco invitanti. Pagherei per non mangiare quel fiore di zucca fritto e mummificato da una pastella di garanzia, che sprizza acqua sinistra al primo taglio e gli spaghetti al pomodoro sono da ergastolo… Neanche Napoli si salva, siamo in piena retorica pizza e mandolino.
Esco dal cinema frastornato e con una domanda in testa, ma siamo davvero così orribili? Forse sì visto che anche in Somewhere (fresco vincitore di Venezia) non è che la descrizione sia migliore, ma questa è un’altra storia…
Foto: Ansa, Epa/Schiavella