Milano. Ristorante Berton, o di come aprire un nuovo locale da stelle Michelin
Andrea Berton ha il suo nuovo ristorante a Milano. Semplicemente, Ristorante Berton. Dopo le sessioni per conquistare la pole position del “neobistrot contemporaneo” con Pisacco e Dry (diventata in breve lasso di tempo la migliore pizzeria di Milano), è arrivato il momento di ritornare nel circus della Formula Uno e riprendere a mirare alle stelle (Michelin). È evidente che la cucina è anche un modo per comunicare se stessi, le proprie idee e la propria storia.
Lo si vede ancor più in queste ultime aperture, dico da parte di chef importanti, che hanno dato ai loro nuovi locali la propria personalità e il proprio nome. Ho sentito l’altro giorno Daniel Canzian parlare del suo nuovo Daniel: solo il nome, per un locale che ha la cucina al centro, anzi all’ingresso della sala, e i cuochi che portano i piatti in tavola. Già questo lo rende interessante.
Lo stesso posso dire per il Ristorante Berton. Apertura dei “box” ieri sera, nel nuovo complesso di Porta Nuova progettato da Kohn Pedersen Fox – i cosiddetti “diamanti” (tra il Diamante Maggiore e la Torre residenziale Solaria). Viale Liberazione, ingresso sul retro del palazzo. All’inaugurazione c’ero io (grazie Direttore per avermi catapultato in uno degli eventi gastromondani più importanti e interessanti della stagione milanese) e tanti protagonisti della scena gastronomica nazionale. Bottura, Perbellini, Aurora Mazzucchelli e Daniele Zennaro (di passaggio a Milano, dove li ho presentati al Christmas Food Village), Davide Oldani, Carlo Cracco, Matteo Torretta, Aimo con Fabio Pisani, Franco Aliberti (quando aprirai il tuo locale? fra un mesetto, forse, stiamo lavorando), Alfio Ghezzi, Chiara Maci, sempre più accompagnata dall’imminente Bianca, Davide Oltolini.
E il locale? Un progetto personale, dicevo: il risultato è notevole, e Berton mi sembra più che felice, al di là della soddisfazione di tornare in pista in prima persona.
“Sarà moderno, raffinato, ma accessibile, caratterizzato da accessibilità agli spazi, nei prezzi ed emotiva. Mangiare da me sarà un’esperienza totale”, diceva qualche tempo fa al Corriere, mi sembra. Moderno sicuramente – e raffinato. Ma non solo. Gli interni (360 metri quadri di superficie) sono estremamente contemporanei e al tempo stesso ricchi di riferimenti alla tradizione: così, la saletta con un tavolo da sei è separabile dalla sala con una porta-portone con portoncino, alla milanese. Leggo della novità.
Una sorta di separè, o meglio, una vera e propria “bussola” di legno: in olmo fiammato come gli altri dettagli del locale, è una sorta di “innesto” tra la sala e la cucina, con un tavolo che dalla sala prosegue idealmente, interrotto da un vetro satinato a effetto garza, all’interno della cucina. I quattro posti dal lato della sala, godono di una vista parziale ma privilegiata della cucina mentre 2 sono collocati direttamente all’interno. Un’evoluzione del classico Tavolo dello Chef per un’esperienza gastronomica “site specific”, condita con un pizzico di originalità.
Il pavimento è in cemento naturale cerato; le vetrate esterne sono schermate da pannelli accoppiati in pergamena e da tendine in fili d’acciaio che catturano la luce naturale durante il giorno mentre di sera diventano un elemento di illuminazione grazie ai led interni; il soffitto non è piatto ma mosso.
La cucina de Manincor disegnata per questi spazi è veramente bella. È completa di ogni strumentazione moderna e utilizza esclusivamente piastre a induzione che lo chef predilige per la garanzia di efficienza energetica e di alta precisione nel controllo delle temperature di cottura. Il personale, particolarmente gentile e cordiale, sembrava veramente parte integrante del progetto, del locale. In cucina con Berton, Claudio Catino; il maître, Alberto Tasinato, suoi “vecchi” collaboratori.
Tutto è stato pensato a lungo da Berton e tradotto in spazi e arredi dallo Studio Vudafieri Saverino cui si devono le altre recenti e fortunate aperture di Pisacco e Dry cui lo chef ha dato il suo imprimatur. Mi sembra significativo che qui non ci sia il grande tavolo metallico dalle gambe sghembe, in un certo senso marchio distintivo degli altri locali. A sottolinearne la diversa personalità. I piatti invece sono della Bottega del Monaco di Grottaglie: ci sono voluti quattro mesi fianco a fianco con Berton per disegnare questo servizio di ceramiche leggerissime, morbide e avvolgenti per i 50 coperti che possono salire a 80 se un cliente prenota tutto il ristorante. I tavoli sono di rovere nero e sono rifiniti ai bordi con una svasatura che offre un appoggio alle braccia. Un dettaglio non secondario: il Ristorante Berton non avrà tovagliato. Le sedute in pelle bicolore sono tutte di Giorgetti, come pure i divani in pelle color cemento del lounge che accoglie gli ospiti all’ingresso.
Come si mangerà? A giudicare dall’aperitivo, benissimo – in ordine sparso: Ravioli di zucca con brodo di manzo, spinacini e mandorle; tapioca soffiata, baccalà mantecato, crema di guacamole e paprika (Berton lo aveva detto che aveva preso qualcosa dal Brasile e vedete questo piatto che può riassumere il concetto di portata moderna, sopra in foto); leggerissime pepite di patate spezie e nero di seppia; delicatissime sfoglie di pane al parmigiano; piccoli bignè con la liquirizia o con la crema; meringhe, millefoglie dolci e salate, un brodo di pesce. Ecco, il brodo. Torno a leggere.
Grande protagonista della sua carta sarà il brodo, in tante varianti, sdoganato dal solito ruolo di componente di base per le preparazioni e nobilitato a livello di piatto vero e proprio: caldo d’inverno e freddo d’estate, il brodo di Berton sarà da bere in abbinamento ai piatti, sarà la massima sintesi dell’ingrediente principale di ogni piatto, l’essenza stessa del gusto.
E ancora.
“I miei piatti sono sempre costruiti intorno a sapori primari che sono riconoscibili al palato e il mio ospite, già dalla lettura del menu, può iniziare ad immaginare il piatto. Gli ingredienti non sono sconvolti nel piatto, ma combinati tra loro per costruire una nuova armonia che non pregiudichi l’apporto diretto di ciascuno degli ingredienti. La sperimentazione e la ricerca devono sempre essere al servizio di un unico obiettivo: appassionare il cliente. La mia cucina è nitida e diretta, tutta centrata sull’equilibrio: gli elementi che compongono i miei piatti sono decisi e comprensibili, non si nascondono al palato.”
In carta ci sarà una formula più veloce e contenuta per il pranzo e più estesa per la cena, con due menu degustazione.
Che dire? Benissimo, bravissimo, bravo Andrea Berton. Auguri.
Ristorante Berton. Viale della Liberazione, 13. 20124 Milano. Tel. +39 02 67075801
[Immagini: Felice Scoccimarro]