Italian sounding, i 5 prodotti alimentari più imitati nel mondo
Guarda come ti strapazzo l’Italian way of life a tavola. E come ti mortifico quel corredo di sapori che nascono solo all’ombra dei templi di Paestum, nei caseifici della pianura padana, nelle malghe del Veneto. Bontà declinate in prodotti industriali, capaci di sposare quantità e qualità. Troppo buoni per non piacere ai consumatori stranieri, troppo richiesti per non tentare i falsari dell’agroalimentare.
Un tema che torna, inesorabile e irrisolto, l’Italian sounding, la pratica di far sembrare italiano, con simboli, loghi e bandierine, quello che italiano non è e che genera volumi d’affari da capogiro, ben al di sopra delle cifre dell’export delle imprese che producono “vero” made in Italy. 20 miliardi di dollari contro 2 è l’imbarazzante rapporto tra Italian sounding negli Stati Uniti e export delle imprese italiane come ha raccontato il presidente di Assolatte Giuseppe Abrosi a repubblica.it. Detto in parole povere: i copioni fatturano 20 miliardi, le imprese italiane esportano “originali” per 2.
Un fenomeno cresciuto del 900% negli ultimi anni con qualche eccellenza in pole position nella classifica dei prodotti taroccati: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Mozzarella di Bufala, Prosciutto di Parma e San Daniele.
Ve li raccontiamo qui riflessi in qualche etichetta truffaldina. Per le immagini date un’occhiata alla galleria fotografica di corriere.it. E non abbiate remore, sentitevi pure patrioti. Quindi ingannati a livello planetario.
- Parmigiano Reggiano Dop. Lo trovi scritto con due “g”, tradotto nell’immarcescibile “Parmesan”, didascalizzato da un marchio a fuoco sbiadito, con toscanissimi cipressi sull’etichetta, nella versione ispanofona “parmezano”, stagionato (“3 years”) da improbabili Cascine Emiliane.
- Pomodoro San Marzano Dop. Un altro prodotto certificato bersagliatissimo dagli agropirati, il più evocativo oltreoceano. Declinato in “peeled” (pelati), “crushed” (passata) o chopped (a pezzi), corredato da immagini dell’iconografia familistica (una tenerissima nonnina), didascalizzato ad usum divulgativo (“sauce for penne & other short pasta”), e rimandi a ricettari vagamente italiani, in versione linguistica ispanica (“pelados”) e prodotti da azienda dal naming invitante (“The Silver palate”) e dal claim assertivo (We moved Italy to California”).
- La Mozzarella di Bufala Campana Dop diventa Fresh Buffalo Mozzarella quando arriva da Pechino.
- L’etichetta giapponese del Prosciutto di Parma Dop di comprensibile ha solo un 18 (saranno i mesi di stagionatura), in Francia diventa “Jambon de Parme” e nei ravioli “Roberto” si cuoce in un minuto.
- Fontina Dop. Non c’è freno all’invenzione linguistica per questo formaggio gettonatissimo (insieme al Gorgonzola Dop) dall’Italian sounding. Fontiago, Bovizola, Combozola, Caprozola (e, dulcis in fundo, Gorgonzola Blu). Niente a che vedere con la mozzarella che qualche estate fa ha scoperchiato in Europa il pentolone della (in)sicurezza alimentare.
[Link: corriere.it, repubblica.it, consumatori.info]