Ristoranti senza personale: non credo al cuoco che rifiuta 63 mila €
I ristoranti di Milano cercano cuochi e camerieri, ma se n’è andato il 30% del personale.
Ieri, un articolo del Corriere della Sera, ha riportato le parole di Gabriele Cartasegna, direttore del Capac, scuola di formazione della Confcommercio, secondo cui “un giovane cuoco appena formato non accetta un contratto da 63 mila euro lordi”.
Boom! L’affermazione sembra poco credibile, anche perché non supportatata da prove. Qual è il ristorante di Milano che ha offerto a un giovane cuoco appena formato un contratto da 63.000 € lordi. Il personale dei ristoranti sarà anche in fuga da tavoli e cucine, ma chi è il neo cuoco che ha rifiutato la proposta?
Lo stipendio medio di un cuoco a Milano si aggira sui 1.500 euro netti al mese, mentre la proposta ventilata dal direttore del Capac equivale a circa 3.500 euro netti al mese. Più del doppio.
Perché un cuoco appena formato dovrebbe rifiutare una simile opportunità?
Da cosa dipende la crisi del personale nei ristoranti
Ce lo ricordiamo che, se nei ristoranti manca personale, è anche perché spesso i contratti sono (poco) regolari. I turni (poco) concordati. Lo stipendio misero e pagato (poco) regolarmente. Le ferie e i riposi (poco) combinati? Come provato dalla nostra giornalista, che per una settimana ha fatto la cameriera in un locale milanese.
Non avendo il dirigente di Confcommercio spiegato le ragioni del rifiuto da parte del giovane cuoco, viene istintivo chiedersi: l’articolo del Corriere della Sera è veritiero?
Nei ristoranti di Milano e di mezza Italia manca personale, ma se il direttore del Capac vuole convincerci della sua buona fede, perché non ci mostra il contratto che il ristorante ha offerto al cuoco? Perché non ci racconta come questo ristorante gestisce il personale e quali sono le condizioni di lavoro che propone?
Queste sono domande legittime che meritano una risposta. Non possiamo accettare acriticamente le parole di chi si lamenta della mancanza di personale senza fornire prove concrete e trasparenti.
Dov’è il contratto, qual è il ristorante?
La verità è una condizione necessaria per il dialogo e per il confronto. Non possiamo continuare con la storia che, se manca personale nei ristoranti, è perché i turni non si conciliano con i tempi della vita e, in definitiva, perché oggi i giovani hanno poca voglia di lavorare.
Il mercato del lavoro della ristorazione milanese soffre di un’emorragia infinita? Qualche locale è stato costretto a ridurre le aperture o i coperti? Il personale qualificato dei ristoranti è diventato più instabile e incline alla great resignation, cioè l’allontanamento volontario delle persone dal proprio lavoro?
Tutto giusto, ma se volete essere attendibili quando affermate che “un giovane cuoco appena formato non accetti un contratto da 63 mila euro lordi”, fateci verificare le fonti e le prove.
Il lavoro va valorizzato e tutelato dal precariato, ce lo hanno detto anche i ristoratori stessi, il cibo dev’essere un piacere e un diritto. Ma per tutti.