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Ristoranti
15 Novembre 2010 Aggiornato il 16 Novembre 2010 alle ore 19:26

Petrini ha detto bugie su Flavio al Velavevodetto?

Si, lo confesso: da figlio di giornalista ho la pessima abitudine di leggere anche un paio di quotidiani al giorno, e, se posso, li leggo con la dovuta
Petrini ha detto bugie su Flavio al Velavevodetto?

Si, lo confesso: da figlio di giornalista ho la pessima abitudine di leggere anche un paio di quotidiani al giorno, e, se posso, li leggo con la dovuta attenzione.

Insomma, un paio di giorni fa trovo nella posta dei lettori di Repubblica una interessante lettera di un avvocato che contesta un articolo di Carlin Petrini – uscito nel supplemento Viaggi della stesso giornale – che argomentava sulla ristorazione romana narrando varie cose di, tra l’altro, Felice a via Mastro Giorgio, storica trattoria romana testaccina.

lettera-repubblica-da-felice

Tra le diverse contestazioni mosse (cose per lo più per me risolvibili con una visura in Camera di Commercio) l’avvocato precisa che non è vero che Felice Trivelloni “faceva entrare nel locale solo chi voleva lui”: non era solito discriminare la propria clientela.

Ora, questo è il punto che mi ha sorpreso. Sarà che io se associo avvocati e cibo penso ancora ai capponi del Renzo manzoniano, ma mi son detto: possibile che questo avvocato non aveva niente di meglio da scrivere? Cioè: perché andare a contestare quella che è stata per anni la caratteristica leggendaria del “vecchio” Felice, ovvero quella di accogliere i suoi clienti secondo la sua personale discrezione?

Ricordo anni fa un amico di famiglia che mi millantava una certa familiarità col locale, tale da consentirmi di poter accedere al cacio e pepe ed alla amatriciana di Felice, se da lui accompagnato.

Era la caratteristica precipua del locale, l’oste burbero che sulla porta decideva, con alle spalle le tendine da osteria (quelle coi fili di plastica colorata), se accogliere o meno un possibile avventore, annusandolo al volo e valutando se poteva o meno essere degno di gustare la sua cucina affollata.

E che scorno se si era costretti a dirottare sullo Scopettaro o al Vecchio Mattatoio, dove si mangiava bene uguale, ma portandosi dietro quel rifiuto enigmatico…

E, soprattutto, se un avvocato scrive ad un giornale per correttamente difendere gli interessi del proprio assistito, qui quale interessi vengono difesi sconfessando quella caratteristica del locale che era un positiva, caratteristica fonte di interesse, una attrattiva, insomma?

E poi, ma perché un avvocato deve scrivere ad un quotidiano per commentare la gestione (anzi, ex gestione) di un ristorante? Va bene occuparsi di cessioni quote e similari, ma che c’entra se l’oste era o meno burbero? Mah…

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