Torino. 9 vini per dire che il Roero non è la Cenerentola del Piemonte
Mi piace immaginare la storia del Roero nel panorama vinicolo piemontese come quella di una Cenerentola moderna.
Escluso dalla luce della ribalta per le ingombranti sorellastre Langhe del Barolo e Barbaresco, il Roero ha infine deciso di uscire dallo stanzino buio dove era stato confinato, suo malgrado e farsi spazio, sulla scena internazionale, proponendosi in forma di vini brillanti e caratteristici, figli di un territorio tanto generoso quanto affascinante; grazie al lavoro di uomini e donne dal sorriso ampio, le mani forti ed i piedi saldamente ancorati per terra.
Questa immagine si è imposta nitida con la manifestazione Roero days che si è tenuta di recente presso le scuderie della Veneria Reale in quel di Torino. Nel capoluogo sabaudo, in una gradevolissima giornata di sole primaverile, si sono dati appuntamento tutti i principali portacolori delle eccellenze vinicole del Roero allo scopo di mostrarsi senza veli e comunicare con tanto orgoglio i frutti del loro lavoro.
Per l’occasione i vini del Roero sono stati messi alla prova sulla distanza, con alcune interessanti degustazioni verticali (o sarebbe meglio definire diagonali) del Rubin vino di Roero a base di Nebbiolo e dell’Eburneo fratello Arneis.
Esperienza illuminate e chiarificatrice è stata la degustazione dedicata alla scoperta del Roero lungo 15 anni di storia, dal 2010 al 1996. Come ogni Cenerentola che si rispetti anche il Roero nasce con dei morbidi boccoli biondi e delle paffute guancette rosate, e così la degustazione prende avvio dal Roero Bric Valdiana 2010 di Stefano Almondo (1) che con il fratello Federico e il padre Domenico guida con mano ferma e sicura la cantina di famiglia.
Il 2010 del cru aziendale sito a Montà profuma di caramelle al lampone e di arancia sanguinella, dimostra un tannino giocoso, mai ruvido, accompagnato da grande succosità che termina su note dolci di zucchero filato. Un Nebbiolo giovane e sbarazzino che tradisce anche dal colore la tenera età, così come le grandi prospettive.
Passano gli anni e la ragazza cresce. Si giunge quindi al Roero riserva Mompissano 2007 (2) di Cascina Ca’ Rossa della famiglia Ferrio una novità assoluta per quanto mi riguarda, che col suo naso diritto e lievemente balsamico invita alla pazienza, mentre con la bocca ampia e profonda che denota l’eleganza guormande del Nebbiolo colto al momento giusto, lascia intravedere i primi cenni della grande classe che i vini di queste colline sanno esprimere se trattati con il giusto garbo.
Gli anni proseguono, e mi perdoneranno i produttori se non nomino tutti gli assaggi che si sono succeduti in buon numero ma il tempo è tiranno, ed arriviamo al 2004 per aprire una porticina sul cru Monfrini (4) della cantina Ponchione di Govone.
Il millesimo è di quelli giusti, dopo un anno di grandi caldi torna la frescura e, come spesso succede, il Nebbiolo ringrazia e concede il suo lato più affascinante. Il naso, complesso ed elegante, inizia a virare su intriganti note di cuoio, mentre all’assaggio si rivela persistente, dotato di tannino elegante ed equilibrato e di una appagante freschezza finale.
Se è vero che la maggiore età in Italia si raggiunge a 18 anni è anche vero che negli Stati Uniti già a 16 si può guidare la macchina. Il Roero superiore Trinità 1999 (5) di Malvirà, uno dei nomi più in vista della denominazione, me lo immagino un po’ come una Cenerentola appena maggiorenne, ormai affrancatasi dal giogo delle sorellastre, al volante di una spider decappottabile rosso fiammante.
Il naso non tradisce per nulla l’età, aprendosi su note fruttate di ciliegia e ancora lampone per poi sbocciare (in francese c’è un verbo perfetto che è epanouir) su sfumature più mature di tabacco e menta. La bocca è colorata, dal tannino ancora scalciante e dalle piacevoli note amaricanti che ricordano la corteccia, la china.
Il culmine della maturazione si raggiunge invece con il Roero Sodisfà 1996 (6) della cantina Negro di Monteu Roero in cui l’olfatto coglie note piccanti oltre ad una leggera deriva vegetale e speziata che ricorda il ginger, mentre all’assaggio si scoprono tannini eleganti e sostanziosi, per nulla piegati dai quasi venti anni di età, ed una velatura di frutta rossa stupefacente in considerazione del tempo trascorso in bottiglia.
Tutto questo degustare Nebbiolo, però, lascia la bocca stanca per quanto fremente di piacere, ed anche in ossequio alla par condicio non si può non riservare uno spazio al candido fratello Arneis, da sempre il più noto figlio delle colline roerine. Ebbene, ai Roero days è stato possibile assaggiare questa piccola perla del panorama vinicolo piemontese in tutte le sue tante ed estremamente personali sfaccettature, fra cui si denota un livello qualitativo medio molto alto ed alcuni picchi di vera eccellenza.
Raccontare tutti i meritevoli assaggi sarebbe compito improbo, ma tre etichette emergono, per motivi diversi, dal banco di degustazione e meritano uno spazio a sé stante. La prima è l’azienda agricola Careglio di Baldissero d’Alba, rappresentata alla manifestazione dal giovanissimo ed appassionato Andrea Careglio, che ha messo in degustazione il suo Arneis 2012 (7) di fianco all’ultimo nato.
Figlio di un’annata fredda e alquanto austera, il 2012 di Careglio è vino profondo e verticale che grazie alla lunga sosta sur lies ed ai frequenti batonnage trova lunghezza e persistenza che, fidatevi non esagero, riportano alla mente altri bianchi cresciuti sulle sponde della Mosella.
La seconda è Valfaccenda, la creatura dell’eclettico ed entusiasta Luca Faccenda che propone una piccola verticale del proprio Arneis, peraltro da magnum.
Ottenuto da assemblaggio dei prodotti di due vigne, lavorati in maniera diversa (uno in estrazione con breve macerazione sulle bucce e passaggio in legno, l’altro in sottrazione fermentato a freddo e maturato in acciaio), l’Arneis di Luca Faccenda (8) è complesso e mai banale, materico e sostanzioso, mantiene una spina acida lodevole ed una notevole lunghezza.
Anche in questo caso nella verticale primeggia il 2012 il che mi porta a pensare che, un po’ come anche il Nebbiolo, l’Arneis dia il suo meglio quanto Giove pluvio lo maltratta un po’ riservandogli inverni rigidi e primavere bagnate. Merita infine una menzione a parte il Valle dei Lunghi Roero Arneis 2013 (9) di Alberto Oggero.
Il vino, che prende il nome dalla sottozona di Santo Stefano Roero, passa un tempo ragguardevole a contatto con le bucce, estraendone sostanza e profumi, che qui virano sulla pesca matura e tradiscono la propria maturazione con note salmastre di oliva. La bocca è ampia, ma dritta e lascia il palato appagato e desideroso di un secondo sorso. Un bel tentativo di dimostrare la versatilità di un vino troppo spesso relegato nelle glacette agli aperitivi e liquidato con tanta, troppa, leggerezza.
[Federico Malgarini. Immagini: Bergamo post]