Hanno assaggiato la pizza del distributore automatico e sono ancora vivi per raccontarlo
Forse già lo conoscete il distributore automatico di pizza Buttonmeal.
Si tratta di totem simili a quelli che erogano bibite o snack, così come ce ne sono tanti nei punti di affluenza di pubblico e di turisti, solo che invece di un moccaccino, con qualche moneta la macchina sdogana una pizza calda, con topping a scelta, pronta da portar via direttamente nel cartone.
L’invenzione non è nuova, ma nel Paese della pizza per eccellenza, a parte uno scellerato esperimento del 2012 a Sorrento (ma si può?) non ha avuto gran seguito.
Invece all’estero, dove la ruota con la pummarola ‘ngopp è particolarmente amata, questi apparecchi hanno trovato una loro, seppur minima, ragion d’essere.
Senza andare troppo lontano: appena passato il confine con l’Austria, alcuni villaggi vacanze che non offrono servizio di ristorazione hanno installato simili “pizzamatic” per i residenti, tra cui anche molti italiani. E se in circostanze normali, probabilmente ci volteremmo dall’altra parte, quando la voglia matta ci assale si affaccia un pensiero: perché non investire pochi euro e tentare l’assaggio?
Ebbene, Roberto si è buttato ha scoperto che la pizza dalla macchinetta non è la peggiore che possa capitare di mangiare.
La macchina in questione è un erogatore tra i più semplici che non impasta e non condisce.
Va ricaricato periodicamente di pizze surgelate crude, nei gusti che decide il gestore.
Nel nostro caso, si poteva scegliere tra “margherita” a 5 € e “salami” (cioè col salamino piccante) per 6 €.
L’esterno della macchina strilla origini italiane a caratteri cubitali: oltre alle immagini di pomodori succosi e candide mozzarelle, sui lati il disegno a tutta altezza della penisola colloca ogni ingrediente nella rispettiva regione, olio pugliese, origano calabrese, prosciutto trentino, pomodoro campano e così via, senza conservanti né coloranti.
Il risultato sarà all’altezza delle promesse?
Ecco cosa ci ha riportato.
“Inserite le monete, ci vogliono dai 3 ai 5 minuti per una pizza, che esce calda dal forno a infrarossi. L’aspetto è abbastanza sintetico, ma non il sapore. Certo, niente a che vedere con i nostri maestri dell’arte pizzaiola celebrati dall’Unesco, ma nemmeno tanto diversa dalla media di quelle servite nelle pizzerie oltreconfine.
L’impasto risulta ben lievitato e ben cotto, senza bruciature. Il condimento è sufficiente per garantire un morso succulento, senza seccare o bagnare troppo la superficie. La passata non è condita, ma abbastanza dolce, magari la mozzarella campana è più millantata che reale.
Nel complesso, un prodotto industriale, diversa da una margherita di un Pepe o un Sorbillo ma lo è anche quella di Cracco.
Certo non si può pretendere l’artigianalità a questi livelli, ma si fa mangiare e soprattutto digerire senza effetti secondari.”
Ma il nostro cronista è andato anche oltre.
La margherita che vedete qui sopra è stata preparata da una pizzeria della stessa zona (in Austria, poco oltre il confine con l’Italia) e costa 6 €: le differenze sono davvero minime (e il basilico ce l’ha messo lui…).
Il suo giudizio finale: “Non è la peggiore che mi abbiano servito, perfino in Italia”, sostiene Roberto C.
Voi avreste avuto lo stesso coraggio?