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Pizzerie
14 Agosto 2018 Aggiornato il 14 Agosto 2018 alle ore 15:13

Hanno assaggiato la pizza del distributore automatico e sono ancora vivi per raccontarlo

Forse già lo conoscete il distributore automatico di pizza Buttonmeal. Si tratta di totem simili a quelli che erogano bibite o snack, così come ce ne sono
Hanno assaggiato la pizza del distributore automatico e sono ancora vivi per raccontarlo

Forse già lo conoscete il distributore automatico di pizza Buttonmeal.

Si tratta di totem simili a quelli che erogano bibite o snack, così come ce ne sono tanti nei punti di affluenza di pubblico e di turisti, solo che invece di un moccaccino, con qualche moneta la macchina sdogana una pizza calda, con topping a scelta, pronta da portar via direttamente nel cartone.

L’invenzione non è nuova, ma nel Paese della pizza per eccellenza, a parte uno scellerato esperimento del 2012 a Sorrento (ma si può?) non ha avuto gran seguito.

Invece all’estero, dove la ruota con la pummarola ‘ngopp è particolarmente amata, questi apparecchi hanno trovato una loro, seppur minima, ragion d’essere.

Senza andare troppo lontano: appena passato il confine con l’Austria, alcuni villaggi vacanze che non offrono servizio di ristorazione hanno installato simili “pizzamatic” per i residenti, tra cui anche molti italiani. E se in circostanze normali, probabilmente ci volteremmo dall’altra parte, quando la voglia matta ci assale si affaccia un pensiero: perché non investire pochi euro e tentare l’assaggio?

Ebbene, Roberto si è buttato ha scoperto che la pizza dalla macchinetta non è la peggiore che possa capitare di mangiare.

La macchina in questione è un erogatore tra i più semplici che non impasta e non condisce.

Va ricaricato periodicamente di pizze surgelate crude, nei gusti che decide il gestore.

Nel nostro caso, si poteva scegliere tra “margherita” a 5 € e “salami” (cioè col salamino piccante) per 6 €.

L’esterno della macchina strilla origini italiane a caratteri cubitali: oltre alle immagini di pomodori succosi e candide mozzarelle, sui lati il disegno a tutta altezza della penisola colloca ogni ingrediente nella rispettiva regione, olio pugliese, origano calabrese, prosciutto trentino, pomodoro campano e così via, senza conservanti né coloranti.

Il risultato sarà all’altezza delle promesse?

Ecco cosa ci ha riportato.

“Inserite le monete, ci vogliono dai 3 ai 5 minuti per una pizza, che esce calda dal forno a infrarossi. L’aspetto è abbastanza sintetico, ma non il sapore. Certo, niente a che vedere con i nostri maestri dell’arte pizzaiola celebrati dall’Unesco, ma nemmeno tanto diversa dalla media di quelle servite nelle pizzerie oltreconfine.

L’impasto risulta ben lievitato e ben cotto, senza bruciature. Il condimento è sufficiente per garantire un morso succulento, senza seccare o bagnare troppo la superficie. La passata non è condita, ma abbastanza dolce, magari la mozzarella campana è più millantata che reale.

Nel complesso, un prodotto industriale, diversa da una margherita di un Pepe o un Sorbillo ma lo è anche quella di Cracco.

Certo non si può pretendere l’artigianalità a questi livelli, ma si fa mangiare e soprattutto digerire senza effetti secondari.”

Ma il nostro cronista è andato anche oltre.

La margherita che vedete qui sopra è stata preparata da una pizzeria della stessa zona (in Austria, poco oltre il confine con l’Italia) e costa 6 €: le differenze sono davvero minime (e il basilico ce l’ha messo lui…).

Il suo giudizio finale: “Non è la peggiore che mi abbiano servito, perfino in Italia”, sostiene Roberto C.

Voi avreste avuto lo stesso coraggio?

 

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