Perché Top 50 Pizza è una classifica non affidabile, edizione 2018
Il mondo della pizza è in rivolta. Un fiume silenzioso scorre sottoterra e a tratti viene fuori. Non è un bel fiume. Assomiglia piuttosto a uno scarico delle fogne. Porta con se i malumori e le invidie dei pizzaioli e spande un olezzo tutt’intorno al campo di battaglia che, ovviamente, è quello di Facebook.
Parliamo di guide e soprattutto di classifiche, quelle che spuntano come funghi perché il popolo del web è attratto da tutto quello che inizia per un numero, 10, 15, 50, 100. Ovviamente noi non ce ne sottraiamo, anzi siamo stati tra i primi a proporle con la rubrica HF Alta Fedeltà nell’ormai lontano 2010.
E parliamo, a qualche mese di distanza dall’edizione precedente, di 50 Top Pizza, la classifica che a dispetto del nome è dedicata alle pizzerie e non alle pizze. E quindi non solo alla pizza in quanto tale, ma a tutto quello che ci sta intorno compreso location, sedie, tavoli, bicchieri e servizio di sala.
Come ogni classifica che si rispetti c’è un vincitore e un regolamento. Se il primo è chiaro perché lo vediamo in cima alla lista, il secondo è più difficile da interpretare. Ognuno sceglie un sistema e stila l’elenco che vorrebbe ricondurre a criteri obiettivi. Noi abbiamo spiegato i termini in cui crediamo che sono quelli della credibilità e dell’affidabilità.
Per Top 50 Pizza, il sistema è quello della votazione da parte degli ispettori che per una parte visitano le pizzerie coperti dall’anonimato e pagano secondo il mantra dello scontrino che è verità assoluta, e per una parte votano su suggerimento degli ispettori di un’altra regione. Cioè non vanno tutti in tutte le pizzerie “giudicate” meritevoli di entrare in classifica, cosa che umanamente e finanziariamente sarebbe impossibile.
Il sistema di votazione costruisce, quindi, la prima bozza di classifica che poi viene aggiustata per rendere omogeneo il criterio di selezione. Tranquilli, è una prassi seguita da tutti per cercare di restare fedeli alla propria linea editoriale. Ovviamente la differenza la fa il grado di intervento dei curatori o dei responsabili della classifica. Quanto meno pesante è la mano del curatore, tanto maggiore la classifica rispecchierà le convinzioni dei votanti. In teoria vincerebbe la democrazia della pizza che, però, difficilmente è quella meritocratica ma è piuttosto la messa in ordine delle notorietà e delle rappresentazione delle evidenze.
In termini banali, chi vota non è immune dall’effetto comunicazione.
L’esegesi autentica di perché Franco Pepe è il numero uno della lista di 50 Top Pizza è spiegato dal curatore dell’iniziativa, Luciano Pignataro, nello scritto dedicato a tutt’altra cosa: il post di Milena Gabanelli su Facebook e relativo a un ristorante stellato.
Ecco il passaggio.
Per fare nome e cognome, Pepe ha fatto la sala Autentica che fa sbrodolare i gastrofighetti ma nel suo menu ha sempre la pizza a portafoglio a un euro e mezzo. Ecco perché è il numero uno, perché riesce a interloquire sia con gli specialisti sia con le famiglie. Alza l’asticella del confronto senza strappare le sue radici familiari, territoriali e popolari. Nella sue sale trovi bimbi felici, ossia il futuro. Il nostro futuro.
La prima lettura che se ne potrebbe dare, per esempio, è che Francesco Martucci – numero 2 – non propone la pizza a portafoglio a 1,50 €. O che il numero 3, Ciro Salvo, piace di più ai gastrofighetti.
Qualche malpensante potrebbe ritenere che è difficile sedersi alla sala Autentica senza prenotare ed essere molto riconoscibile con un addio all’anonimato oppure ritenere che la pizza di Autentica, che ha il suo bel peso nella determinazione finale, non sia stata assaggiata.
Queste, con altre ennemila considerazioni rappresentano la parte sotterranea del fiume che non si vede ma che scorre sotto i piedi della pizza.
Poi ci sono le uscite pubbliche con accuse di vario genere, dalle più raffinate alle totalmente ingiuriose.
Ve ne propongo una per la valenza che è possibile assegnare anche grazie alla risposta di Luciano Pignataro alla sua osservazione.
La motivazione addotta è sullo stile dei suggerimenti dei consiglieri per la scalata degli spicchi del Gambero Rosso o delle stelle Michelin: poca attenzione alla sostanza e alle capacità di chi opera al banco. Insomma, ci può stare il suggerimento di cambiare le sedie perché scomode, meno l’indicazione precisa di una e una sola sedia in ragione del design a meno di non essere interpellato perché architetto o interior designer che fa questo per professione. E il ragionamento va applicato per ogni componente e ingrediente.
La risposta chiarisce il ruolo degli sponsor. Anche per quelli della classifica che verrà stilata con il Trofeo organizzato dal pizzaiolo che propaganda forni e birre.
Insomma, sembra che sia molto difficile convincere tutti gli esclusi del rigore scientifico che è alla base di una classifica.
Credibilità e affidabilità sono requisiti difficili da conquistare e garantire.
Facciamo un esempio. Mettere fuori dai primi 50 un Gabriele Bonci che è tra i maestri indiscussi dell’impasto solo per assenza dei tavoli al suo Pizzarium e non considerare nei primi 1.000 la pizzeria d’asporto di Salvatore Lioniello ad Orta di Atella, che potrà essere lontano da Bonci ma difficilmente oltre le 950 posizioni, conferma qualche disattenzione di troppo.
E qualche attenzione di troppo è riversata sui premi speciali, necessari per dare visibilità agli sponsor ma utilizzati come nemmeno il buon Cencelli avrebbe saputo fare meglio. Manca solo il premio alla pizza quando piove ma non troppo, cito a memoria un messaggio che ahimè non ritrovo più.
L’importante, sarete d’accordo, è mangiare un’ottima pizza. Sempre.