La vera storia della pizza napoletana e il falso della margherita
Mettetevi comodi. Questo è un lungo articolo sulla storia della pizza napoletana, sulle sue origini e declinazioni. È scritto da Raffaele Bracale, appassionato di cose napoletane e di lingua napoletana che ha ricostruito la storia del piatto che incanta il web. E che è fonte di innumerevoli polemiche e parimenti di lodi sperticate a questa e a quella pizza.
La storia della pizza napoletana è costituita da 5 pizze e da utilizzi precisi.
A voi l’arduo compito di aggiungere eventuali note e precisazioni, ma fate attenzione che Raffaele Bracale è autentico cittadino del Regno delle Due Sicilie.
Buona lettura! (V.P.)
[Aggiornamento: se volete conoscere tutti i tipi di pizza napoletana, ecco l’articolo]
La vera storia della pizza napoletana
Questa volta – a rischio d’esser considerato un iconoclasta ed un incompetente – parlerò dell’argomento in epigrafe affermando (senza tema di smentita!) innanzitutto che è una bestemmia ritenere la cosiddetta pizza margherita copiata, ma non ideata nel 1889 da un pizzaiolo napoletano (ma, a mio avviso, indegno d’esser considerato partenopeo) tale Raffaele Esposito, attivo presso la pizzeria Brandi (alla salita Sant’Anna di Palazzo) che la dedicò alla regina Margherita di Savoia dandole il nome di “pizza Margherita” pizza che, nell’intento del malnato pizzaiolo tradendo il vecchio vessillo napoletano borbonico bianco con i gigli di Francia avrebbe dovuto rappresentare la nuova bandiera tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomidoro ed il verde del basilico.
Le pizze napoletane della storia sono 5
L’incolto Esposito, probabilmente a digiuno di storia patria, con l’omaggio fatto ai sovrani discendenti dell’usurpatore Vittorio Emanuele II Savoia-Carignano, fece sí una splendida operazione commerciale (la pizza margherita sarebbe diventata famosissima nel mondo), ma (oltre che macchiarsi di tradimento nei confronti dei vecchi regnanti Borbone), fece un’offesa gravissima nei confronti della tradizione partenopea, tradizione che voleva quali autentiche pizze napoletane le seguenti:
- marinara
- ‘nzogna e pummarole
- cu ‘cicenielle
- pizza alla mastunnicola
- cazone ‘mbuttunato
La vera storia della pizza margherita napoletana
E l’Esposito non fu neppure originalissimo (perciò ò parlato di copia…); infatti già nel 1830, un non meglio identificato Riccio (di lui mancano precise notizie biografiche) nel libro Napoli, contorni e dintorni, aveva scritto di una pizza (quantunque poco usata) con pomodoro e della mozzarella disposta, (su un disco di pasta già condito con il pomodoro), in maniera sagomata tale da formare con dei petali (sei) quasi ovali di una margherita nonché il suo bottone centrale) e con del basilico disposto a mo’ da scimmiottare stelo e foglie della margherita.
Si trattava dunque di una pizza che comunque esulava da riferimenti storici e/o politici e la margherita non era dunque il nome della consorte del re savoiardo, quanto semplicemente quello del nome del fiore (di cui la mozzarella sagomata a mo’ di ovali, copiava la disposizione dei petali posti com’erano questi sei ovali a raggiera circolare intorno ad una sorta di bottone tondo che ripeteva il bottone centrale del fiore); della medesima pizza agghindata con una sorta di di margherita di mozzarella e basilico, già esistente nel 1849 scrisse anche Francesco De Bouchard nel 1866; e dunque l’ Esposito fece una indegna, biasimevole furbata appropriandosi, a scopo ruffianesco, di qualcosa di dominio comune…
Giunti a questo punto facciamo un passo indietro e soffermiamoci ad illustrare i varii tipi delle autentiche pizze napoletane.
Cominciamo a soffermarci sul sostantivo pizza.
Cosa vuol dire pizza
Pizza: sostantivo femminile
1 (gastr.) focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità in origine tipicamente napoletana, ma oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni.
2 nel linguaggio cinematografico, la scatola piatta e circolare in cui si custodisce un rotolo di pellicola; per estens., la pellicola stessa
3 (fam. fig.) persona o cosa estremamente noiosa.
Quanto all’etimo della voce pizza qualcuno ipotizza ch’esso sia da collegarsi alla voce pita voce mediterranea e balcanica, di origine greca; secondo questa ipotesi la parola deriverebbe dall’ebraico פִּתָּה o פיתה, dall’arabo كماج o dal greco πίτα, da cui anche pita che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce; qualche altro ipotizza una derivazione dal longob. bizzo ‘morso, focaccia’, ma io reputo più esatta e logica una derivazione dal latino pinsam (placentam)→pizza (placentam)=focaccia schiacciata dal verbo pinsere=pigiare, schiacciare con ns→nz→zz per assimilazione regressiva).
Nascita della pizza e delle pizzerie
A margine rammento che della pizza napoletana (sia pure in senso generico, come il più usuale cibo popolare partenopeo) le prime notizie vengono fatte risalire al periodo che va dal 1715 al 1725 ad opera di un tal Vincenzo Corrado (Oria, 29 marzo 1738 – Napoli, 4 novembre 1836) celebre cuoco e letterato italiano che alla metà del ‘700 scrisse un pregevole trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli, trattato in cui osservò come fosse costume del popolo condire la pizza ed i maccheroni con del pomodoro. In un certo senso quelle osservazioni del Corrado costituiscono quasi la data di nascita della pizza napoletana, un sottile disco di pasta condito dapprima con strutto pomodoro e formaggio e successivamente con altri ingredienti tra i quali l’olio d’oliva che sostituí lo strutto.
Le prime pizzerie
Le prime pizzerie comparvero a Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX secolo esse furono un fenomeno esclusivo della città partenopea. A partire dalla seconda metà del ‘900 le pizzerie si sono diffuse ovunque nel mondo, quasi sempre all’insegna di PIZZA NAPOLETANA, termine spesso palesemente usurpato in quanto il più delle volte chi conduceva quelle pizzerie non era napoletano né approntava autentiche pizze napoletane, ma le più svariate schiacciate o focacce condite alla bell’e meglio con i più svariati ingredienti, anche i meno idonei!
Storia della pizza napoletana e smorfia
Rammenterò che la pizza, quale uno dei consueti nutrimenti popolari, si conquistò un posto persino nella smorfia (cfr. alibi), dove è considerato sotto il numero 24 ed anche con moltissimi altri numeri, secondo come sia variamente condita, per cui avremo: p. napoletana – 2,p.dolce -36, p. rustica – 37, p. con sugna e formaggio – 61, p. con alici fresche – 62, p. pomidoro e mozzarella – 53.
Le 5 pizze napoletane storiche
Torniamo ad illustrare i varii tipi di autentiche pizze napoletane.
1. Pizza alla mastunnicola (pizza alla mastro Nicola)
È questa la originaria prima pizza napoletana, ideata da un non meglio identificato mastro Nicola che conduceva (1490 ca) una piccola taverna con cucina casareccia nei dintorni della centrale Rua Catalana dove aprivano bottega numerosissimi artieri ed artigiani che si rifocillavano quotidianamente in quella piccola taverna; tale originaria prima pizza napoletana con la variazione successiva (cfr. n° 2) diede il la a tutte le altre; si tratta di una semplicissima pizza per la cui pasta vedi al successivo n° 2 sub A, condita con dello strutto di maiale, con abbondante formaggio pecorino, guarnita con del basilico e cotta in forno.
2. Pizza pomidoro, sugna e formaggio
Si tratta della variazione apportata alla originaria prima pizza napoletana, variazione che diede il la a tutte le altre ( la variazione fu forse apportata dalla stesso mastro Nicola (1501 ca) per contentare i marinai che avevano cominciato a far conoscere in giro nelle taverne napoletane come pianta edibile quel pomodoro importato con le loro navi mercantali dal Perú, pomodoro che alibi (Francia) era usato quale pianta ornamentale ritenuta velenosa;
Le dosi nella storia della pizza napoletana
A) l’autentica ricetta originaria prevede che per ogni litro di acqua necessitino 50 grammi di sale, 5 grammi di lievito e 1,8 kg di farina.
È codificato altresí che la farina debba essere aggiunta gradualmente e lentamente (non meno di dieci minuti) e che l’impasto vada lavorato per venti minuti fino a che non raggiunga il cosiddetto punto di pasta, cioè fino a quando l’impasto non risulti gonfio e liscio, molto estensibile e poco elastico.
Ancóra è codificato che lo impasto vada lasciato a riposare su di un piano di marmo o in una madia di legno per quattro ore coperto da un panno inumidito per evitare che la superficie indurisca.
Trascorse le quattro ore l’impasto va poi suddiviso in pezzi (palle) sferici di circa 180-200 gr. cadauno.
Da ogni singola sfera si ricaverà una pizza che si deve stendere, senza l’ausilio di matterello, soltanto con abili movimenti delle mani, pigliandola e stendendola su un piano di marmo coperto di fior di farina fino a che lo spessore diventa pari a circa 0,3 cm nella parte centrale e pari ad 1 cm per il bordo (cornicione).
I condimenti
B) A questo punto si può procedere ad aggiungere i condimenti sui dischi (di circa 15 – 20 cm. di diametro cadauno) di pasta approntati l’uno accanto all’altro sul piano di marmo; i condimenti per la pizza a margine sono pochi e semplici; su ogni pizza viene distribuito, per tutta la superficie (con movimento a spirale partendo dal centro della pizza) un cucchiaio e mezzo di sugna; indi con uguale procedimento si aggiungono due cucchiai di pomidoro passato, infine si sala ad libitum e si aggiunge un cucchiaio e mezzo di formaggio (in origine pecorino, oggi anche grana) grattugiato distribuito accuratamente per quanto è ampia la pizza.
Storia della pizza napoletana: cottura a legna
C) Così condita la pizza è pronta per la cottura che va fatta in un forno con brace di legna, poggiandola su di un piano formato con mattoni refrattari ed una cupola anch’essa in materiale refrattario ad una temperatura di 460 – 490 gradi e va sollevata brevemente e di tanto in tanto ricevendo il calore in modo uniforme. A fine cottura il bordo esterno (cornicione) che sarà stato leggermente pizzicato prima che s’inforni la pizza risulterà regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature, di colore dorato e dal profumo caratteristico del pane. La parte centrale sarà invece morbida.
3. Storia della pizza napoletana: â marenara
Si tratta quasi di una naturale evoluzione della pizza precedente della quale conserva la medesima procedura sub A) e C); cambia invece la parte sub B quella relativa al condimento che nella pizza â marenara (pizza alla maniera dei marinai) è costituito da sugo di pomidoro, olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, origano secco e sale.
La pizza a margine deve il suo nome al fatto che dismessa l’usanza di condire le pizze con sugna pomidoro e formaggio invalse quella (dapprima tra i marinai (donde il nome â marenenara) del mandracchio (vedi ultra) e poi tra altri artieri) di mangiare una pizza cotta al forno e condita con olio, pomidoro, aglio, sale ed origano.
In sèguito essendo diventato questo, per ogni pizzaiolo il più comune modo di condire la pizza, questo tipo di sugo usato per condire altri alimenti (pasta, carne e pesce fu detto alla pizzaiola, cioè alla maniera dei pizzaioli), mentre per la pizza si mantenne il nome di â marenara in quanto sarebbe stato del tutto tautologico parlare di una pizza alla pizzaiuola!
Storia della pizza napoletana: genesi improbabile della marinara
Altra scuola di pensiero ritiene che il nome â marenara derivi dal fatto deriva dal fatto che gli ingredienti, facilmente conservabili, potevano essere portati dai marinai per preparare pizze nel corso dei loro lunghi viaggi. L
a cosa però non è dimostrata, né probabilmente vera e/o accettabile in quanto tra il finire del ‘700 ed i principi dell’ ‘800 una delle malattie maggiormente diffuse tra i marinai fu proprio lo scorbuto malattia dovuta a carenza di vitamina C quella contenuta in parecchi vegetali, quasi mai presenti tra le scorte di cibo dei marinai (ed i pomidoro son dei vegetali!…), malattia che si manifesta con dimagramento, ulcerazioni ed emorragie delle gengive e degli organi interni.
Son perciò convinto che il termine â marenara sia da collegarsi a quei marinai adusi a frequentare le taverne e/o bettole nella zona del mandracchio taverne e/o bettole dove si facevano preparare delle pizze condite con olio, pomidoro, aglio, sale ed origano. Il mandracchio non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona a ridosso del porto (dallo spagnolo mandrache: darsena) frequentata da marinai, facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto.
Le successive classiche pizze napoletane son quasi tutte una evoluzione della pizza â marenenara.
4. Pizza cu ‘alice e 5. Pizza cu ‘e cicenielle
Si tratta per ambedue di due pizze che della pizza sub 1) (pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio) conservano i punti A) e C) cambiano invece le parti sub B quelle relative al condimento che nella pizza cu ‘alice è costituito da sugo di pomidoro, olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, piccole alici fresche decapitate e diliscate, sale e pepe; il condimento della pizza cu ‘e cicenielle è costituito da sugo di pomidoro, olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, ed un paio di cucchiaiate di bianchetti freschissimi, sale e pepe.
La Pizza ‘e quatte manere ora detta quattro stagioni
Nota anche come pizza quattro stagioni ma si tratta di un’apposizione inesatta in quanto nel pretto napoletano con la voce staggiona/e si indica segnatamente l’estate; e non ciascuno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l’anno solare (primavera, estate, autunno, inverno); nella fattispecie l’antica napoletanissima pizza ‘e quatte manere si è imbolsita nel nome ed oggi è détta sconciamente pizza quattro stagioni; quasi che i componenti di cui è guarnita quali condimenti fossero reperibili ognuno in una determinata stagione, laddove invece sono sempre reperibili nel corso dell’anno; si tratta di una pizza pur essa partita dalla pizza sub 1) (pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio) di cui conserva i punti A) e C) cambia invece la parte sub B quella relativa al condimento.
Il condimento della pizza quattro stagioni
innanzi tutto è da ricordare che sull’originario disco di pasta della pizza cardine, vengono aggiunti due bastoncelli di pasta posti ortogonalmente a croce lungo i due diametri del disco fino a determinare quattro comparti che vengon conditi tutti con sugo di pomidoro, olio, sale, mentre poi ciascun comparto è guarnito in modo diverso con altri ingredienti:
a) funghetti sott’olio,
b) cubetti di salame,
c) cubetti di mozzarella di bufala, formaggio e basilico,
d) aglio vecchio tritato ed origano.
Storia della pizza napoletana: fake pizza
Non esistono altri tipi di pizza autenticamente napoletane; qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei or ora esaminate (ad es. pizza capricciosa (con pomidoro, mozzarella, grana grattugiato, basilico, funghi, carciofini, prosciutto cotto, olive nere, olio, uova sode ed acciughe) oppure pizza quattro formaggi: pomidoro (facoltativo), mozzarella, altri formaggi a discrezione, basilico) oppure ancóra stranezze del tipo pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e mais, da molti chiamata mimosa, o la pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e funghi, detta anche dello chef.
Non esistono altri gusti nella storia della pizza napoletana tradizionale
Qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei or ora esaminate, dicevo, usurpa il nome di pizza napoletana.
Come non esito ad affermare che anche la pizza margherita (non quella originaria, ma quella ideata dall’Esposito della pizzeria Brandi…) usurpa il nome di pizza napoletana trattandosi di una focaccia, pur se nata a Napoli, dedicata ad una regina di casa Savoia quella casa che invase ed usurpò per il tramite del masnadiero Garibaldi Giuseppe, della Massoneria inglese e di una manica di generali traditori il libero, indipendente e sovrano Reame di Napoli!
E trattandosi di una pizza dedicata alla rappresentante d’una famiglia usurpatrice, è da ritenersi – a mio parere e per la proprietà transitiva – essa stessa usurpatrice; come del resto ò già dimostrato quando ò illustrato la pizza, antecedente a quella del Brandi, originaria pizza che su di uno specchio di pomidoro aveva una guarnizione di mozzarella posta a mo’ dei petali di una margherita!
La storia della pizza napoletana: i 3 ripieni al forno e fritto
Esistono infine tre tipi di pizze di cui le prime due autenticamente napoletane, mentre la terza è in uso in provincia.
Queste tre pizze di cui ora dico non derivano dalla pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio.
Si tratta per le prime due di gustosi ripieni di cui uno, détto cazone (= calzone); è un ripieno farcito con ricotta di pecora, pomidoro, mozzarella, formaggio e pepe, ripieno cotto al forno come tutte le pizze fin qui viste.
Mentre il secondo ripieno è détto pizza cicule e ricotta essendo appunto un ripieno farcito con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale (quelli di salumeria, venduti al taglio, che derivano dalla cottura a vapore ed ad alta temperatura e successiva pressatura sino ad ottenerne un cilindro alto tra i quindici e venti centimetri ed un diametro di base di circa quaranta cm., derivano dalla cottura ad alta pressione e successiva pressatura delle carni, grasso e cotenne della gola del maiale, il tutto salato e speziato) e non quelli casarecci residui della cottura e successiva pressatura dei cubi di grasso di maiale (se di gola lardiciello, se di fianco/pancia ‘nzogna ‘mpana) fuso per ottenerne sugna) e fritto in olio bollente e profondo.
La pasta per le pizze ripiene
La pasta di partenza per il calzone è il consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna e formaggio); su détto disco lungo l’ideale linea di un diametro vengono distribuiti a seguire la ricotta spalmata, i dadi di mozzarella, il sugo di pomidoro, il formaggio grattugiato ed il pepe; indi il calzone viene rinchiuso facendo combaciare i lembi del disco in modo che la farcitura resti serrata nella pasta; sul calzone così confezionato viene distribuita un’altra cucchiaiata di sugo di pomidoro ed infine si inforna alle consuete temperature e per i consueti tempi.
La storia della pizza napoletana: la fritta
Diversa la procedura per la pizza cicule e ricotta che essendo un ripieno farcito appunto con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale da friggere in olio bollente e profondo, può ricavare la pasta da farcire non dal consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna e formaggio), ma da un fazzoletto quadrato della medesima pasta (quantunque più assottigliata( cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza) quadrato di circa 10 -12 cm. di lato; quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale distribuiti lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e sigillato per pressione in forma di triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e profondo.
La storia della pizza napoletana: il ripieno in provincia
Il terzo ripieno di cui dicevo che è in uso non in Napoli città, ma nella sua provincia; è un ripieno che prende il nome di caniscione/canniscione che è la corruzione popolaresca di un originale cannicchione = golosone (e per metonimia golosità); e di golosità si tratta in quanto il cannicchione/caniscione è un pletorico fazzoletto quadrato di pasta di pane (quantunque più assottigliata – cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza – di circa 13 -15 cm. di lato); quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora, provola affumicata, formaggio pecorino grattugiato, pepe, ciccioli di maiale, salame e spicchietti di uova sode; il tutto distribuito lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e sigillato per pressione in forma di triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e profondo.
1. Dizionario di pizza napoletana: Pummarola
In coda a tutto quanto fin qui détto e prima di segnalare alcune tipiche espressioni partenopee che dalla pizza prendono il la, esamino alcune voci incontrate in questo excursus; di pizza, marenara e mandracchio ò già détto antea; andiamo oltre.
Pummarola s.vo f.le = pomodoro 1 pianta erbacea annuale con foglie composte imparipennate, fiori gialli piccoli in grappoli e frutto a bacca (fam. Solanacee)
2 il frutto rosso, carnoso e commestibile di tale pianta, usato come vivanda e come condimento; la voce napoletana deriva da pomo d’oro con la variazione di po→pu in quanto vocale atona; raddoppiamento espressivo della emme intervocalica, alternanza osco-mediterranea d/r ed infine dissimilazione r – r →r-l e cambio di genere per cui si è avuto pomo d’oro→pummod’oro→pummororo→pummarola;
2. Mozzarella
Mozzarella s.f.
1 formaggio fresco di origine campana e bassolaziale, a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala
2 (fig.) persona estremamente fiacca.
Ci troviamo a parlare di una voce nata in Campania e poi adottata nel basso Lazio ed infine trasmigrata nel lessico nazionale.
Per il vero la voce mozzarella dovrebbe essere d’uso esclusivo di Campania e basso Lazio in quanto è in tali regioni e non in altre che viene prodotta l’autentica, vera mozzarella formaggio fresco a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala.
Formaggi simili prodotti in altre regioni con latte vaccino usurpano il nome di mozzarella di cui copiano i sistemi di lavorazione, ma non l’ingrediente di base: il latte intero di bufala, di modo che tuttalpiù possono chiamarsi fiordilatte= (formaggio fresco di pasta filata, molle e cruda, prodotto con latte di vacca) ma non mozzarella che etimologicamente è un deverbale di mozzare = troncare in un sol colpo una parte da un tutto, come avviene nel caso appunto delle mozzarelle che in pezzi di circa 3 etti cadauno vengono troncati (un tempo a mano, oggi anche con l’ausilio di mezzi meccanici), mediante torsione e strappo (mozzatura) da un filone di pasta filata, filone ricavato dalla lavorazione artigianale, con procedure trasmesse di padre in figlio, del latte intero di bufala.
3. Recotta
Recotta s.vo f.le = ricotta latticino molle e bianco, che si ottiene facendo bollire il siero di latte rimasto dopo la lavorazione del formaggio | è un uomo di ricotta, (fig.) debole, senza carattere | aver le mani di ricotta, (fig.) lasciar cadere frequentemente le cose che si hanno in mano | avere le gambe di ricotta, (fig.) deboli, che non reggono. Voce deverbale di recocere (cuocere due volte) di cui è part. pass. f.le
4. ‘Nzogna
‘nzogna s.vo f.le = sugna, struttopreciso súbito che la voce napoletana a margine che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis ‘asse’ e ungere ‘ungere’; propr. ‘grasso con cui si spalma l’assale del carro’.
Occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta!
Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente più perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
5. Bianchetti e Cicinielle
Bianchetti s.vo m.le = voce regionale plur. di bianchetto (da non confondere con l’omonima sostanza imbiancante, generalmente a base di biacca, che a seconda delle combinazioni può servire come cosmetico, per cancellare errori in testi scritti a macchina o a mano, come prodotto sbiancante per il bucato o per la pulitura di scarpe bianche ecc. ) ; avannotti di acciughe o sardine appena nati, quasi trasparenti, che assumono un colore bianchiccio anche dopo la cottura, l’etimo è dal ligure gianchetto diminutivo di gianco (bianco).
Cicenielle = plur. di ciceniello voce regionale campana usata per indicare il medesimo novellame (bianchetti) quanto all’etimo penso che esso vada cercato più che nel latino “caecella” = anguillina, come per un certo tempo pensai, ma altrove e cioè che si tratti molto probabilmente di un diminutivo (eniello/e) derivato dal lat. caec(um) atteso che il novellame che è molto piccolo si presume cieco.
6. Staggiona
Staggiona/e s.vo f.le letteralmente in napoletano vale estate e non uno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l’anno solare (primavera, estate, autunno, inverno).
A prima vista potrebbe sembrare strano il fatto che la parlata napoletana renda il toscano estate con il termine staggione anzi staggiona (correttamente scritto con la doppia G, come del resto tutte le parole del napoletano che terminano in zione, gione parole che invece il toscano rende con la consonante scempia) riferendo cioè alla sola estate il generico termine stagione usato in toscano per indicare uno qualsiasi dei quattro periodi di tempo in cui si è soliti suddivider l’anno e cioè ciascuno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l’anno solare.
Se si esamina però un po’ più attentamente dal punto di vista etimologico, la parola stagione (staggiona/e in napoletano) ci si renderà conto che il fatto non è affatto strano, anzi il napoletano nel definire staggiona la sola estate, si dimostra alquanto più preciso della lingua toscana; vediamo infatti che la parola stagione è dal lat. statione (m), propr. ‘luogo e/o tempo di sosta’, con riferimento alle apparenti soste del sole agli equinozi e ai solstizi; dalla medesima statione (m) latina il napoletano trae la sua staggiona intesa come tempo di sosta e riposo e quale periodo più adatto dell’estate per prendersi una sosta o un riposo della fatica?
Di per sé infatti la parola estate dal lat. aestate (m), che in origine significava calore bruciante, come aestus da collegarsi al greco aíthos= calore, non richiama alla mente che il solo caldo fastidioso, non la piacevole sosta del napoletano staggiona. A margine rammenterò i nomi napoletani delle quattro stagioni che sono
Le 4 stagioni in napoletano
Vierno s.vo m.le la stagione più fredda dell’anno; nell’emisfero boreale inizia intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo; etimologicamente la voce napoletana è dal tardo lat. (hi)bernu(m) (tempus) ‘stagione invernale’, dall’agg. hibernus ‘invernale’;nel napoletano si è avuta la consueta dittongazione della ĕ con alternanza della b→v (cfr. barca→varca – bucca→vocca etc.);
Primmavera s.vo f.le stagione intermedia fra l’inverno e l’estate; nell’emisfero boreale inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno, nell’emisfero australe inizia il 23 settembre e termina intorno al 21 dicembre ‘ etimologicamente la voce napoletana è dal lat. volg. *primavera(m), per il class. primo víre ‘sul principio del verdeggiare (riferito alla prima fioritura di alberi e fiori); tipico nel napoletano il raddoppiamento espressivo della labiale;
Autunno s.vo m.le stagione dell’anno compresa fra l’estate e l’inverno; nell’emisfero boreale inizia il 23 settembre e termina intorno al 21 dicembre; nell’emisfero australe inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno: etimologicamente la voce napoletana è dal lat. autumnu(m) con assimilazione regressiva n→m.
Staggiona/e s.vo f.le = estate: la stagione più calda dell’anno; nell’emisfero boreale ha inizio intorno al 21 giugno e termina il 23 settembre; nell’emisfero australe à inizio invece intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo e ne ò già détto ad abundatiam.
7. Cazone
Cazone s.vo m.le letteralmente sta per calzone s.m. voce maschilizzata ed accrescitiva (cfr. suff. one) di calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus ‘scarpa, stivaletto’; 1 correttamente da usarsi al pl.per indicare l’indumento, in origine maschile ma oggi diffusissimo anche fra le donne, che copre il tronco dalla vita in giú e le gambe separatamente; pantalone: calzoni corti, lunghi, alla zuava | mettersi i calzoni lunghi;à messo i calzoni (fig.) detto di un ragazzo, diventare grande | farsela nei calzoni, (fig. fam.) avere una gran paura | è la moglie a portare i calzoni, (fig. fam.) a comandare in casa. DIM. calzoncini PEGG. calzonacci
2 ciascuna delle due parti dei calzoni che rivestono le gambe: calzone destro, calzone sinistro
3 (gastr.) ed è il caso che ci occupa: involucro di pasta di pane, in genere ripieno di mozzarella e prosciutto, che viene fritto o cotto in forno; è tipico di alcune cucine centromeridionali; è proprio in quest’ultima accezione che la voce nap. cazone→calzone è pervenuta nella lingua nazionale.
8. Cicule
Cicule s. vom.le pl. di ciculo =ciccioli di maiale, avanzi appunto dei pezzetti del grasso di majale, dopo cavatone lo strutto o sugna; dal latino: (ins)cic(i)olu(m) Va da sé che i ciculi più gustosi siano quelli residui del napoletano lardiciello che è il grasso di gola del maiale (altrove détto anche guanciale). Formato da due strati di grasso inframmezzato da uno strato di carne) e non della ‘nzogna ‘mpana (alto strato di solo grasso ricavato dalla pancia o dal fianco della bestia).
Rammento qui che con la medesima voce: cicoli o ciccioli in salumeria o, ma meno spesso, in macelleria si vendono dei gustosissimi prodotti industriali che provengono non dai residui della liquefazione di cubi di sugna, ma dalla cottura a vapore di carni, grasso e cotenna provenienti in massima parte dal collo del maiale, opportunamente salati e speziati.
Al termine della cottura a vapore il tutto viene opportunamente pressato in forme metalliche fino ad ottenere dei grossi pani cilindrici più larghi ( circa 50 cm.) che alti(circa 15 cm) , che raffreddati vengono venduti a taglio ed a peso nelle salumerie al banco dei salumi cui sono, sia pure impropriamente apparentati; la sugna che comunque si ricava da questa spremitura di carni, grasso e cotenne viene venduta ugualmente come condimento sia pure di seconda scelta.
Ancóra in tema di sugna ricorderò che un tempo chi non provvedesse a prepararla in casa liquefacendo i pannicoli di ‘nzogna ‘mpane e/o lardiciello poteva acquistarla dal proprio macellaio di fiducia che sostituendosi alla massaia provvedeva alla bisogna e metteva in vendita la sugna approntata in consistenza di pomata conservata non in vasetto, ma nelle vesciche di maiale: ‘a vessica (dal lat. vesica(m)) ‘e ‘nzogna.che poteva essere acquistata per intera o più spesso a peso.
Storia ed espressioni tipiche napoletane con la pizza
E qui giunti posso rammentare alcune espressioni tipiche che prendono il via dalla pizza in epigrafe:
– Fà a uno ‘nzogna e pummarola.
Ad litteram: fare (cucinare) uno con sugna e pomodoro. Icastica espressione usata per indicare che si intende maltrattare qualcuno, violentemente percuoterlo, ridurlo a cattivo stato fino ad iperbolicamente cucinarlo in forno dopo averlo schiacciato a dovere come si farebbe con una pizza condita, a maggior disdoro, non con il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna e la classica salsa di pomodoro.
‘a pizza ‘nzogna e pummarola fu, come ò ricordato, anticamente uno dei più classici modi di approntare la pizza napoletana che veniva appunto condita con sugna, pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser cotta in forno; successivamente, e mi ripeto il condimento per questa pizza napoletana mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed origano e la pizza cosí condita non ebbe più il nome di napoletana, ma divenne â marenara.
– Chijarsela a libbretta.
Letteralmente: piegarsela a mo’ di libretto.
È il modo più comodo per consumare una pizza, quando non si possa farlo comodamente seduti al tavolo e si sia costretti a farlo in piedi.In tal caso si procede alla piegatura in quattro parti della pizza ed il disco prima piegato in due e poi ancóra ripiegato nel verso opposto assume quasi la forma di un piccolo libro di alcuni (quattro) fogli e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento che trattenuto nella ripiegatura, difficilmente deborda . Id est: obtorto collo, far di necessità virtú, sopportare, far buon viso a cattivo gioco.
La storia della pizza napoletana dal punto di vista borbonico
E giunto qui faccio punto, scusandomi con qualcuno che si fosse sentito offeso dalle mie esternazioni anti-risorgimentali: ma al cuore non si comanda ed il mio pulsa per i Borbone e la sola vista d’un Savoia (ramo Carignano) mi mette l’orticaria addosso!
Raffaele Bracale
[Immagini: Scatti di Gusto, Pizzeria Lombardi]