Pranzo di Natale a cena. I lettori giudicano menu e regalo
Far cambiare idea su un ingrediente, una preparazione, un piatto è difficile. Soprattutto quando lo si chiede ad appassionati di cibo e di ristoranti che hanno mente e palato aperto alle novità.
Ma ci abbiamo provato con il Pranzo di Natale a cena. Sei portate, tre di Kotaro Noda e tre di Giovanni Milana che comprendevano pasta ripiena, capitone e anguille. I cibi da evitare per due lettori di Scatti di Gusto che hanno risposto alla chiamata alle armi specificando quali erano i piatti amati e odiati in barba al buonismo natalizio.
Il Pranzo dei lettori di Scatti di Gusto
Ecco come è andato il Pranzo di Natale a cena di Nino e Debbie che erano stati invitati da Mauro a scrivere e raccontare.
“La minestra broccoli e arzilla era ottima, un buon viatico per provare poi i ravioli …. In brodo. Li servono, in realtà sembrano cappelletti, con in aggiunta una foglia di cavolo nero essiccata, croccante e delicata. Taglio il raviolo in due e con coraggio ne raccolgo una metà insieme ad un po’ di brodo e lo avvicino alla bocca, pronta al sacrificio. Mentre sto per assaggiare il piatto penso che non sento l’odore tipico del brodo, quello che proprio non sopporto. Mastico lentamente per assaporare il cibo, distinguo tutti i sapori, la pasta, i broccoli, l’arzilla, manca qualcosa. Ma certo, manca il tanto odiato sapore del brodo di carne, non avevo pensato che questo è un brodo di pesce, delicato e saporito. Rilassata continuo a mangiare, ed incredibilmente il piatto resta vuoto senza quasi che me ne accorga. La pasta ripiena in brodo di carne continuerà a non piacermi, ma questa era un’altra cosa. Per fortuna” [Debbie]
“Dopo la carne e la pasta è arrivato il momento dell’anguilla. Mi sono informato, l’anguilla alla romana è un piatto della tradizione, pochi ingredienti principali: pomodoro, patate e anguilla. La servono, la osservo, quel piatto mi sta sfidando. Cerco di rimuovere le immagini dei capitoni vivi sui banchi dei pescivendoli del mercati si piazza San Giovanni di Dio, e quelle ancora più cruente pubblicate su Scatti di Gusto. Capitone, mi hai provocato ed io me te magno, penso per farmi forza, mentre con la forchetta separo la carne dalla spina dorsale e inizio a mangiare. Il sapore del sugo è buono, e la patata sostituisce degnamente il pane e contrasta il sapore del pesce, ma la sua carne risulta (come mi aspettavo e come è giusto che sia) molto grassa, troppo grassa per i miei gusti. Finisco, perché sono stato educato a non lasciare cibo nel piatto, ma rimango nella mia convinzione che io e l’anguilla non siamo compatibili. Sospiro, perché i piatti a base di capitone sono due, ed aspetto non senza apprensione il secondo.
Sorpresa, già dall’aspetto ho tutt’altra impressione, non sembra neanche anguilla. Cautamente con la forchetta taglio un pezzo del filetto di pesce e lo degusto insieme alla polenta. La carne, laccata con il miele di castagno, ha assunto una consistenza completamente diversa, oltre che essere stata aromatizzata, e risulta sapida e compatta. Posso affermare di aver mangiato finalmente il capitone, e di averlo perfino apprezzato: miracoli dello chef!” [Nino]
Ripartiamo come si dovrebbe dall’inizio. Si viene accolti all’ingresso dallo staff del Bistrot 64, che si rivelerà efficientissimo durante tutta la serata, con un assaggio di Franciacorta e, una volta al tavolo, con una sfoglia di pane carasau all’olio di oliva che permette di tenere a bada l’appetito.
Si inizia, come previsto, con Bollito di cappone in salsa verde con puntarelle alle acciughe, piatto di linearità quasi eccessiva, con il cappone farcito di odori e carne tenerissima, accompagnato da puntarelle ed acciuga di Terracina. Unico difetto: ci sarebbe voluta più salsa verde per chiudere il piatto con una tradizionale scarpetta. Il vino in abbinamento, un Cincinnato Pozzodorico da uve bellone, ha una forte mineralità che esalta il sapore del cibo.
Il successivo Se non è zuppa è pan bagnato è una vera sorpresa: un panino ripieno di bollito (lingua, muscolo, coda) adagiato su un brodo che lentamente penetra nella parte inferiore del panino. Un piatto tanto buono quanto “ignorante” nella accezione più positiva del termine. La malvasia puntinata della Tenuta Le Quinte, in abbinamento, fa il proprio dovere. A conti fatti, lo chef giapponese ha realizzato un piatto molto più “romanesco” del laziale Giovanni Milana che, pur nel rispetto del territorio, ci ha offerto una cucina si potrebbe dire “minimalista”
Le parti si invertono con le zuppe, dove gli spaghetti spezzati in brodo di broccoli e arzilla è “IL” piatto di minestra che qualunque romano vorrebbe assaggiare ma che è sempre più difficile da trovare fatto come si deve. Pochi ingredienti sapientemente calibrati, inclusa una punta di peperoncino che rivela la sua presenza senza risultare invadente.
Di contro, i Ravioli di broccolo con arzilla svelano un sapiente uso di spezie ed un sapore equilibrato, forse anche troppo se si pensa che è la stessa mano che ha creato Se non è zuppa è pan bagnato.
Per entrambi lo Shiraz della Tenuta Le Quinte è stato un compagno discreto e non invasivo
Piatto forte della serata il capitone. E anche qui si ritrovano le due culture dei due chef. Il capitone alla Romana di Giovanni Milana è come deve essere: trancio di capitone, patata lessa, brodo di capitone, siamo nel pieno rispetto della tradizione con materie prime scelte e mano sicura.
Kotaro Noda ha invece scelto una interpretazione completamente diversa, il filetto di anguilla è stato laccato, così che il sapore del miele di castagno è diventato predominante, e l’unione con la cipolla genera il tipico gusto agrodolce che si ritrova nella cucina orientale. La polenta che accompagna il filetto gioca il ruolo che nel piatto tradizionale era della patata, e considerata la necessità di preparare con un certo anticipo le portate per tutti gli ospiti comprensibile anche la scelta di servirla fredda e non calda.
Per entrambi il Cincinnato Ercole a base di nero bono è stato l’ottimo complemento enologico.
Finale con i panettoni, da quello tradizionale di Alfonso Pepe a quello di Vincenzo Tiri e Pietro Macellaro: insomma tra i più buoni che si possono trovare in commercio.
I due chef hanno voluto dare anche una loro interpretazione di dolci: Giovanni Milana con un pan pepato tradizionale ma sempre più difficile da reperire; Notaro Koda con dei tozzetti che potevano far immaginare importanti ascendenze toscane, con un ottimo Maculan ad accompagnare la degustazione.
[Testi: Debbie e Nino. Immagini: Vincenzo Pagano]