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Ristoranti
6 Gennaio 2018 Aggiornato il 12 Giugno 2019 alle ore 09:39

Al Josè Restaurant per santificare il pranzo della domenica (e non solo)

C'è un'area grigia intorno a Napoli fatta di una periferia punteggiata di comuni e centri abitati. Grigia perché omologata dall'insipienza amministrativa
Al Josè Restaurant per santificare il pranzo della domenica (e non solo)

C’è un’area grigia intorno a Napoli fatta di una periferia punteggiata di comuni e centri abitati. Grigia perché omologata dall’insipienza amministrativa di decenni che ha cancellato le vestigia di un passato prestigioso e ricchissimo.

Lo guardi nei cortili che si aprono sotto gli archi dei portoni di palazzi che hanno respirato l’aria di corte lungo il Miglio d’Oro. La storia ha consegnato quel tratto, un miglio appunto secondo l’unità di misura in vigore nel Settecento, che da Villa de Bisogno a Casaluce arriva fino a Palazzo Vallelonga a Torre del Greco alla promozione turistica dilatandolo dalle porte di Napoli, da San Giovanni, fino a Villa delle Ginestre che accolse Giacomo Leopardi.

Un’area allargata a 122 Ville Vesuviane di cui fa parte Villa Guerra, tenuta di ampio respiro frastagliata dagli interventi edilizi del dopoguerra che hanno dato una mano mortale ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale distruggendo completamente il territorio che era un bosco mediterraneo digradante sino al mare appena diradato dalla Reggia di Portici che aprì la stagione d’oro del miglio.

Giuseppe e Josè Maria Guidone hanno preso in carico la Villa Guerra così come è stata ristrutturata nel 2012 dallo studio dell’architetto Mario Fiore. L’hanno ripulita dai segni della destinazione a catering di matrimoni e banchetti e offrirle una chance più sobria realizzando il ristorante che non ti aspetti.

La nobiltà non è nella vicinanza dell’iconica Villa delle Ginestre che prese il nome dal componimento di Giacomo Leopardi, ma molto più semplicemente nell’idea di realizzare un ristorante lontano dall’oleografia locale per ricondurlo sul binario dell’alta cucina radicata nel territorio. Destino strano quello di Torre del Greco che ha esponenti di spicco, leggi stellati, in giro per la Penisola Sorrentina e non solo: Vincenzo Guarino è in Toscana, Salvatore Bianco è più vicino a Napoli.

La cucina, cuore pulsante del progetto Josè Restaurant, è affidata a un cavallo di razza, Domenico Iavarone da Casavatore dove il padre aveva una macelleria. Uno “straniero” che ha fatto esperienza con Oliver Glowig prima a Capri e poi a Roma diventando l’alter ego dello chef tedesco naturalizzato Mediterraneo e con Gennaro Esposito alla Torre del Saracino.

Ed eccolo nella grande cucina progettata per sfornare ennemila piatti a ciclo continuo e riconvertita a cucina di qualità che serve i pochi coperti del ristorante – oddio, gourmet – e soddisfa le richieste di chi è battezzato, festeggia il genetliaco, sigilla la promessa di fedeltà a vita.

Mi piace Villa Guerra, ancora work in progress, con cantine e spazi da realizzare e qualche tocco da sistemare. Il tempo della nobiltà è finito da un pezzo e forse la borghesia che aveva adottato il ristorante in luogo del cuoco e delle cucine per sottolineare lo status è sepolto da un pezzo. Ma Villa Josè è il luogo perfetto per un pranzo della domenica. Ambiente tranquillo, grandi spazi a disposizione, una cucina leggibile, una sala cordiale e ben rodata.

Domenico Iavarone ha preso l’impegno con piglio manageriale e ha dirottato parte della sua brigata dal mare stellato del Maxi a Capo La Gala fino alle falde del Vesuvio. E ha centrato il primo obiettivo.

Ora io, come tanti altri lettori e appassionati di guide, si chiederanno perché non si è acceso l‘astro luminoso foriero di nuovi successi. “Troppo poco tempo dall’apertura”, “Non hanno fatto in tempo”, “Torre del Greco è fuori dalle rotte Michelin”, “Non hanno ricevuto sufficienti visite”, i giudizi che ho raccolto da chi si è seduto alla tavola.

In realtà il Josè Restaurant ha guadagnato il piatto che indica una cucina di qualità e il massimo del confort oltre a una bella carta dei vini. In breve, “offre piatti creativi, ma non disdegni della tradizione”.

Ma voi che siete alla ricerca delle migliori performance in questo finale di feste comandate, troverete molte ragioni di appagamento.

Domenico Iavarone pesca a piene mani dai refoli di suggestione sorrentina e napoletana che arrivano filtrati dal caos della strada Regia delle Calabrie.

Si apre con gli sfizi fritti, la tartare e il mini bun e la scelta dei vini affidata alla guida elettronica e al sommelier Enrico Moschella.

Iavarone si posiziona subito in alto con la capasanta, sedano rapa alla vaniglia, arancia candita, nocciole e tartufo.

Ma non dimentica le origini e il territorio con la testina di vitello dorata e fritta, scampi, fagioli e cipolle maritate. Perfetto equilibrio e wow sicuro.

Molti hanno osannato il risotto alla cipolla con mandorle, alici e yogurt come segno dell’ottima cottura al sud. Verrebbe quasi da dire “e ci mancherebbe che uno chef del calibro di Domenico Iavarone non governasse a puntino la cottura”, ma non lo annovererei tra i piatti flagship dello chef.

E a conferma della riflessione arrivano in sequenza uno strabiliante piatto di spaghetti con trippe di baccalà, ceci, limone e caffè che fa piazza pulita di ogni indecisione e alza l’asticella del pranzo ad altezze – facile – siderali.

Assecondato da una perfetta interpretazione delle candele spezzate alla Genovese – con la G maiuscola – qui arricchita dalla ricotta “tubolare”.

E si va sui sapori delicati, quasi insospettabili, con il bottone di zucca affondato nella spuma di provola affumicata e la salsiccia accompagnato dallo shottino di consommé.

Forse ho perso il conto dei wow e Domenico Iavarone tira la riga della somma con la triglia avvolta nelle patate fritte, lattuga romana e ravanelli. Game Over.

La partita ha punteggio tennistico: la pancia di maiale con lenticchie, cacao e mela annurca racconta di questo benedetto territorio che tutti inseguono e che Iavarone ha nelle corde.

Resettiamo con il pre dessert ai lamponi e non riusciamo a resistere alla tentazione del tiramisù cubico con ricotta di bufala e gelato alla fava Tonka. E alla bombetta dolce che è patrimonio condiviso con Oliver Glowig.

Se ne avete ancora, noi uno struffolino, dilettatevi con  la piccola pasticceria natalizia e ordinaria.

Vi resterà una sola domanda: al tempo del giardino come sarà il pranzo della domenica alla tavola di Domenico Iavarone? Io ho segnato il 21 marzo in agenda. Questioni astrali.

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Josè Restaurant. Via Nazionale, 414. Torre del Greco (Napoli). Tel. +39 081 883 6298

Vincenzo Pagano
Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.
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