Ritratti. Elisabetta Foradori, la mia regina del vino in anfora
Al Mercato Centrale di Roma, ho finalmente conosciuto di persona Elisabetta Foradori. L’occasione l’ha fornita una Verticale di alcuni suoi vini organizzata dall’ottimo Piero Guido di Les Caves de Pyrene, impareggiabile ‘Pierone’ per chi ordina da lui e gli è amico, come Luca Boccoli, che faceva da ospite e gli dava una mano con la classe che lo distingue.
Dietro la fila dei calici una quarantina di fortunati eletti, ma anche potenziali clienti, dettaglio che quando scorre materia prima non guasta mai, e dentro le ultime annate di qualcuno dei ragazzi più giovani della cantina Foradori, i suoi due cru di Teroldego, Morei e Sgarzon, e la Nosiola Fontanasanta.
Bevo vino da sempre, con curiosità e qualche cognizione di causa, ma senza star troppo a smascherare caratteristiche aromatiche e degustative. Mi piace di più, cominciare con il mirare bottiglia ed etichetta, come si fa con una fotografia o un quadro; prenderle tra le mani, come si fa con il braccio di una donna o di un amico; farlo scendere con il giusto impeto nel bicchiere, come un improvviso fiotto emotivo; soprattutto, al finale di licenza, tenerlo un po’ in bocca, come si fa con un bacio che dice senza parlare.
Last but non least, mi piacciono molto le storie che girano intorno a chi l’ha fatto, che anzi vorrei accompagnassero il più possibile ogni buon bere, grazie a chi ne sa e sa raccontarle, perché appunto si tratta di vino, e ancor prima di vigna e vite, territorio e terra, roba antica che non muore mai nel pensiero e in natura, segna famiglie e generazioni, che all’occorrenza può essere richiamata in vita perfino se abbandonata.
Al punto che, oltre vent’anni fa, quando scoprii la Foradori grazie a una carissima amica (va detto che una donna, se vuole, sa sempre come chiamarne un’altra), ne lessi qua e là, la vidi in fotografia, e scrissi un breve soggetto per un film sulla scia di quell’ispirazione. Due parole due, giusto per capirci: dopo essersi imbattuto nel sacro fuoco di una vignaiola (e nella franchezza della sua vigna), un uomo ancora giovane mollava il baraccone e i burattini della grande città, dove vegetava né più né meno di un fico secco, per andare a conoscerle, e poi chissà! Mi fu detto che, nello sviluppo del racconto, non c’erano abbastanza conflitti, e dovetti riconoscere che avevano ampiamente ragione, tanto che non so nemmeno dove finì.
Salvo però negli anni successivi, leggere con più attenzione e scoprire sempre a distanza, che in realtà conflitti e trasformazioni, percorsi e ripartenze, eventi di vita e di vigna non mancavano già allora e non sono mancati poi nella cantina in questione. Ma lei, la mia personale regina Elisabetta, basta guardarla e sentirla parlare com’è successo in quest’occasione, ne ha saputo fare sempre tesoro esistenziale, di esperienza e conoscenza, con la tessitura di quel bianco che le spunta fiero tra i capelli, il lampo vivo degli occhi, la forza e la convinzione di ciò che è oggi, ancor più e meglio di ieri.
Non a caso nel credo del suo lavoro c’è un pensiero certamente forte, capace di azione e immaginazione insieme: “Non ricorriamo a interventi correttivi in cantina: nulla viene aggiunto, tutto viene accompagnato cercando di mettersi in ascolto. Il vino mantiene spontaneità espressiva e trasmette la personalità di una materia prima intensa e viva. Ci sembra così di portare dentro un bicchiere la fragranza dei fiori dei pascoli dolomitici, la mineralità delle rocce che circondano le vigne, la chiarezza dei cieli di montagna, l’indole del popolo che abita le valli alpine”.
A proposito, la Verticale dei vini Foradori, a mio personale quanto modesto giudizio, si è poi rivelata un’Ascesi, per la trasparente sostanza dei vini, per i colori del loro cuore, per i pensieri che hanno rilasciato in giro tra i presenti, ma prima ancora per il piacere di aver gustato da vicino il sorriso e stretto la mano della nostra Elisabetta (ma sì, il suo patrimonio di cantina è alla portata di tutti e questo in fondo lo rende anche un po’ nostro). E poi guai, quando ci s’imbatte in una sua bottiglia, non considerare o dimenticare che dentro, insieme al vino, c’è sempre e comunque una storia di passione come la sua!
[Alessandro Spinaci. Immagini: Fin Wine, Scatti di Gusto, Andrea Scaramuzza]