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Vino
30 Gennaio 2012 Aggiornato il 6 Aprile 2019 alle ore 20:56

Sangiovese Purosangue. Il Rosso di Montalcino va a Roma

Bella iniziativa dell’Enoclub di Siena che porta a Roma una cinquantina di produttori di Montalcino; bella anche se periferica l’ubicazione a via degli
Sangiovese Purosangue. Il Rosso di Montalcino va a Roma

Bella iniziativa dell’Enoclub di Siena che porta a Roma una cinquantina di produttori di Montalcino; bella anche se periferica l’ubicazione a via degli Aldobrandeschi di Sangiovese Purosangue. Protagonista della due giorni enoica il Rosso di Montalcino recentemente assurto agli onori della cronaca per il mancato cambiamento del disciplinare di cui abbiamo gia parlato.

Molto interessante la presenza di alcuni rossi di Montalcino d’annata  con alcune chicche degli anni ’70 ed ’80 dalle cantine di Col d’Orcia, Baricci, Salvioni e altre. Molti esemplari della annata in vendita quest’anno, la 2010, mentre aumentano le cantine che preferiscono posticipare di un anno l’uscita del Rosso di Montalcino e quindi presentavano l’annata 2009, non tra le più fortunate.

La conferenza stampa ha avuto due momenti che mi sono sembrati un po’ deliranti. Il primo rappresentato da una lettera di Stefano Cinelli Colombini nella quale veniva manipolata allegramente la storia del Brunello di Montalcino, confondendolo con il generico Rosso di Montalcino prodotto nei secoli passati nel magico territorio, quasi a volere rimuovere il fatto che fu Biondi Santi il primo ad usare esclusivamente “sangiovese” per la produzione di un vino da lungo invecchiamento. Il secondo momento è coinciso con l’intervento di Gian Luca Mazzella, giornalista del Fatto Quotidiano: una filippica piuttosto autoreferenziale e a tratti confusa su quello che deve essere il Brunello di Montalcino, come deve essere prodotto, l’unica tipologia di brunello da conseguire (manipolando il pensiero di Giulio Gambelli che ho avuto la fortuna di incontrare e frequentare in assaggi all’Isvea di Poggibonsi). Non si deve tacere dei danni che alcune affermazioni possono portare in un territorio già devastato da incomprensioni tra i produttori e da un consorzio che  sta dimostrando una certa debolezza di idee.  Ma c’è anche Enzo Tiezzi che possiamo considerare il padre del Rosso di Montalcino per aver seguito le vicende che portarono all’assegnazione della Doc. Tiezzi ha rettificato le inesattezze presenti nella lettera di Stefano Cinelli Colombini, mentre l’enologo Maurizio Castelli ha indicato, spero anche all’ “estremista” Mazzella, che forse le proprietà hanno una responsabilità pari se non maggiore degli enologi nelle scelte aziendali. E che la conoscenza tecnica è di fondamentale importanza per produrre vini migliori ed esaltare il territorio da cui derivano. Invece di codificare come tradizionale alcuni difetti come capita spesso di ascoltare in giro.

Ed ecco i tre Rosso di Montalcino che metterei sul podio

Le Ragnaie

Rosso di Montalcino ’10. Bel colore rosso rubino intenso , naso ampio con note fruttate di ciliegia e marasca molto nitide. Ricca la fase gustativa con un tannino levigato. Buona acidità e bella progressione. Un vino importante dal finale molto consistente che da il segno della svolta in questa cantina.

 

Tiezzi

Rosso di Montalcino ’10. Cupo il colore , bella la vena fresca e fruttata con ribes e mora in primo piano. Decisamente belli gli equilibri gustativi con una bella acidità a sorreggere il buon peso estrattivo. Ottima la bevibilità ed il finale è succoso e di bella personalità.

 

Pietroso

Rosso di Montalcino ’10. Una leggera vena balsamica all’olfatto con note di eucalipto ci accoglie con una vena fruttata di ciliegia bianca e mora non matura. Bocca nervosa con una acidità scalpitante che lascia il tannino un po in evidenza e leggermente astringente. Grande la vivacità del finale e buona la persistenza.

(Lucio Cornelio Silla)

 

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