Se il burro non si scioglie più come prima sarebbe colpa dell’olio di palma
Il burro che non si scioglie più alle temperature di prima, certo, è una stranezza. Eppure, in Canada, aumenta ogni giorno il numero di persone che lo fanno notare. In particolare sui social network.
Dove per discutere il problema, già ribattezzato “buttergate”, sono intervenuti chef, giornalisti e fior di esperti. Da cosa dipende ancora nessuno lo sa.
Qualche sospetto c’è. Il solito sospetto, viene da dire. Ovvero l’olio di palma, presente nel mangime della vacche da latte.
Olio di palma: il solito sospetto
Lo scandalo del burro prende il via il 5 febbraio con un tweet della giornalista Julie Van Rosendaal, una che qualche ricettario nella classifica dei bestseller culinari canadesi l’ha portato. Cucinando tanto si è accorta che il burro è gommoso, fatica a spalmarlo. Ma non si aspettava 300 e passa tweet di risposta, e tutti che le danno ragione.
Sempre più irretita dal mistero del burro che non si scioglie come prima, Van Rosendaal ne scrive sul suo giornale azzardando una prima risposta. È indirettamente colpa del Covid. Gli allevatori, non riuscendo più a fronteggiare gli ordini di burro, aumentati del 12% durante i lockdown, hanno cambiato la composizione del mangime. Elementare il loro obiettivo: vacche che producono più latte.
Il dato diventa allora come è cambiata la composizione del mangime. Una tesi credibile è che, nei mesi precedenti, gli allevatori abbiano introdotto sostanze a base di olio di palma. Sapevano già, perché la pratica è in uso da tempo senza pericoli per la salute umana, che così le vacche avrebbero aumentato la produzione di latte, e che questo sarebbe stato più grasso.
Come possa accadere una cosa simile lo spiegano alcuni studi sull’impiego dell’olio di palma in diversi prodotti di origine casearia.
Sappiamo ad esempio che l’olio di palma può far aumentare il punto di fusione del burro, cioè la temperatura alla quale il burro si scioglie, di norma attestato tra 28 e 33°C. La causa è la presenza nel latte di un acido grasso saturo chiamato acido palmitico.
Ma l’associazione dei produttori caseari canadesi ha smentito che il metodo di produzione del latte sia stato cambiato. È sempre soltanto latte canadese, con almeno l’80% di massa grassa.
Aggiungendo poi che la presenza di acido palmitico nel latte può mutare in alcune zone e in alcuni periodi dell’anno. Cambiamenti che potrebbero effettivamente portare a un aumento del punto di fusione del burro. Ma dalle analisi fatte svolgere a tutti i loro associati non evidenziano recenti aumenti della presenza di acido palmitico nel latte. Come risulterà dal lavoro di un’apposita task force di esperti creata dall’associazione per ulteriore trasparenza.
L’olio di palma costa meno del burro
Abbiamo parlato spesso, di recente, dell’olio di palma. Soprattutto per l’uso che ne fa Ferrero, la multinazionale di Alba, nel suo prodotto più famoso, la Nutella. Il vantaggio
L’utilizzo del grasso vegetale estratto dai frutti delle palme di Indonesia e Malesia, non è proibito. Ma, come sappiamo, vista la psicosi che da qualche anno ha colpito anche i consumatori italiani, è ampiamente criticato per il pesante impatto ambientale della sua coltivazione. Con enormi porzioni di territorio disboscate per lasciare spazio alle piantagioni di palme da olio.
A piacere, in particolare all’industria dolciaria, è la versatilità dell’olio di palma. Che resiste bene al calore. Non ha sapore. Oltre a regalare agli alimenti, a seconda delle necessità, consistenze morbide o croccanti. Con un costo molto inferiore –questo è l’aspetto principale– rispetto al burro.