Una pizza che grida vendetta e il vostro limite tra stroncare e fare finta di niente
Cronaca di una pizza andata di traverso. Il locale è accorsato e ci ritorni per fare qualche foto dopo un assaggio e buone impressioni condivise.
Inizi male con il telefono della pizzeria sempre occupato. Le linee telefoniche. Invece, alla cassa-accoglienza la specifica: “Abbiamo staccato il telefono perché c’erano troppe ordinazioni”. Scusate, ma un disco per avvertire i poveri prenotandi che stasera non è aria?
Mancanza di rispetto che si traduce in un “ci vediamo tra un’oretta”. I 60 minuti non diventano più digeribili ricorrendo al vezzeggiativo, vorrei replicare alla bionda signora. Si gironzola per il paesello scartabellando titoli alla bancarella dei libri.
I 60 minutelli sono quasi trascorsi. Speranzosi ci riavviciniamo al tavolo cassa. C’è filetta. E caldo. Il piano terra del locale è stato adibito a sala accoglienza, spazio frigoriferi e area forno. L’andirivieni dal e per il piano superiore dove c’è la terrazza è frenetico.
Un altro quarto d’orella va via tra conti e smistamento dei nuovi tavoli. Arriviamo anche noi: 4 posti ma nel dehors a piano strada. Ci precipitiamo come falchetti. Sono quasi le 22:30. La fame galoppa e con essa l’impazienza. Riscrivo mentalmente il significato di dehors come luogo sotto qualche ombrellone in balia dei passaggi tumultuosi di avventori e camerieri. Un dehors con soglia decibel molto alta. Inizio a provare invidia per i fortunati del piano superiore che dispongono di ombrelloni bianchi. Più belli.
È più forte di me: quando c’è qualcuno incavolato in sala che prende l’ordine al mio tavolo mi sento in forte imbarazzo. Io sono in vacanza e lui lavora. Un ragazzo giovane che riuscirà a dire 2 parole estorte con la forza. Ma per capire se c’è una birra: “Sì, due, chiara e rossa”. Dal menu ce ne erano altre 15, ma va bene così.
Vanno meno bene i fritti che arrivano per curiosità del tavolo. Non sono l’espressione della migliore verve napoletana, ma diventeranno l’ancora di salvezza della serata. Per le pizze ci sarà ancora da attendere: un’oretta (sic!).
Ovviamente lo scopriremo strada facendo, cioè man mano che il tempo inesorabilmente passa. E non c’è neanche il pane da sbocconcellare (logico, siamo in pizzeria). Placchiamo una fanciulla azzardando un “per caso avete smarrito la nostra comanda” e sperando che l’oblio sia causa del nostro stato di purgatorio.
Niente da fare. La compunta ragazza ci spiega che c’è affollamento in terrazza. “Scusi, ma quante persone ci sono in terrazza?”. “I tavoli su vanno dall’1 al 20, qui dal 21 al 26”. “Quindi, 60 persone?”. “Sì, ma se facciamo le tavolate anche 100”, aggiunge con fare a metà tra incoming e catering.
Intrattenere il tempo contando pizze invece di pecorelle. Saranno al massimo 100 persone tra su e giù, diciamo 3 giri di tavolo (con queste pause avranno iniziato alle 19?) e fanno 300 persone. 300 pizze con un solo forno che fanno 300 minutelli di cottura. 5 orette. Ma cuocendo una pizza per volta. Due pizze alla volta farebbero 2 ore e mezza, 3 insieme un’or(ett)a sola. Qual è il record per singolo forno all’ora?
Per fortuna arrivano le (prime) tre pizze: margherita, marinara, quella con il cornicione ripieno di ricotta. Manca la mia che è formato 40 cm di diametro con ragù e bufala. E’ questione di due attimini. Sufficienti a fare 3-4 scatti e guardare le facce dei commensali. Non particolarmente contente.
La pizza mi sembra sottile, profuma, la mozzarella non ha allagato, cornicione un po’ croccantello. Ok diamo di morso. Ecco. Bruciata, irrimediabilmente bruciata. Come anche le altre. “Dramma” a ore 23:40. Ripongo la macchina fotografica, mentre si scatena la classifica delle certezze, delle rimostranze e dei tradimenti riassunte in “era meglio andare da…”
Peccato, penso, un indirizzo in meno da segnalare mentre la signora mi porge il conto, onesto. Che strano, agli altri ha chiesto come era andata. Sarà la delusione lampante stampata in faccia.
Niente da scrivere?, mi chiedono. Meglio di no. E poi non ho fotografato nemmeno una fetta bruciata. “Mi manca la testimonianza”, svicolo come se sulle guide apparissero foto a dimostrare l’assunto. O come se qualcuno potesse giurare sulla bontà di un piatto guardando solo una foto.
“Guarda che la foto c’è”. Eccola, scattata con il telefonino.
Mi resta solo il dubbio se sia meglio fare finta di niente o scrivere una stroncatura. Voi che dite?