Vini naturali. I 10 migliori assaggi al NOT di Palermo
Cresce il fermento intorno al vino naturale, aumentano i produttori che aderiscono alle linee etiche e i consumatori che hanno voglia di comprendere cosa stanno bevendo e che storia c’è dietro. Lo conferma NOT – Rassegna vini franchi, l’unica manifestazione di settore nata in Sicilia esclusivamente dedicata ai naturali che alla sua seconda edizione si mostra ancora più partecipata, consapevole e matura.
Il format della 3 giorni appena conclusa a Palermo si è svolta tra banchi d’assaggio alle tre navate dei Cantieri Culturali alla Zisa e nei laboratori dello spazio Cre.Zi.Plus adiacente con un programma che è stato ampliato ed arricchito di temi e contenuti, supportati e testimoniati dai grandi protagonisti dello scenario dei vini naturali come la produttrice Mateja Gravner figlia del pioniere dell’agricoltura naturale Josko Gravner, gli autori Sandro Sangiorgi e Matteo Gallello che hanno parlato di “Sapore, la Stoffa e il Senso del Luogo”, il produttore Nino Barraco capostipite di un rinascimento del vino siciliano che ha ispirato e motivato tanti giovani a ritrovare nella campagna un’opportunità di vita e lavoro.
Un unico flusso senza barriere tra produttori e winelovers, tutti animati dalla voglia di riscoperta di quei vini unici che hanno in comune il rifiuto della viticoltura su scala industriale che negli ultimi 50 anni ha intossicato terreni e creato economie distorte che si sono rivelate un abbaglio durato neanche il tempo di una generazione, errori pagati caramente a spese del paesaggio e della salute dell’ambiente.
L’iniziativa di Manuela Laiacona, Stefania Milano, Franco Virga, Giovanni Gagliardi ha messo insieme sinergie e guidato i visitatori verso la conoscenza dei vini “nudi”, voce di terroir differenti, lavorati al di fuori degli standard, vini talmente umani da avere un’identità riconoscibile e un carattere definito, frutto di scelte accurate del produttore che si batterà sempre per l’integrità dei suoi vini artigianali.
Ciò potrebbe sembrare una contraddizione con il manifesto culturale che mette al centro la filosofia del “Do NOT modify, do NOT interfere” che impone una non ingerenza con la natura, ma solo ad una prima e superficiale lettura poiché in realtà in una routine agricola contemporanea astenersi e resistere a certe prassi è una scelta ben precisa. La vera domanda è “cosa non fare?” un interrogativo che concretamente porterà la vigna ad avere una certa fisionomia che si costruirà intorno all’elemento fondante: la biodiversità, dove specie diverse di vitigni o anche altri vegetali (talvolta lo scambio è anche con il mondo animale) coesistano, apportandosi reciproco vantaggio in termini di vitalità e salute delle piante.
Tutt’altra storia la biologicità e la biodinamicità: può succedere che un vino naturale sia anche biologico o anche biodinamico, ma sono dettagli che riguardano certificazioni superate e superabili per i produttori al naturale, che puntano piuttosto ad una sorta di autodisciplina mettendo l’autenticità e la coerenza al primo posto, anche prima del profitto.
Un vino così non può che puntare a una nicchia di consumatori che abbiano la voglia (e spesso anche il tempo) di sceglierlo e comprenderlo, ben lontano da massificazioni commerciali, preservandosi integro e sostenibile anche da questo punto di vista. Ne consegue che una bottiglia non può costare troppo poco, ma di questi tempi è meglio pagare un prezzo giusto per bere un giusto prodotto.
Il vitigno, il terroir, la vinificazione e l’affinamento, ogni passaggio conferisce qualcosa, finanche il tempo, il più intangibile degli elementi rilascia qualcosa.
Produttori custodi del tempo e del territorio, come Simone Sabaini che non fa vino ma è inventore della prima (e al momento unica) cantina di affinamento del cioccolato, presente alla manifestazione con il suo brand Sabadì ha raccontato di questo particolare spazio a Modica, sempre visitabile su appuntamento, dove il cioccolato riposa a contatto con tabacco, erbe, spezie, barrique, arricchendosi di qualità organolettiche e trasformandosi in un alimento ancora più completo e sublime.
Le circa 130 cantine hanno portato all’assaggio più di 500 etichette, tra queste abbiamo selezionato 10 assaggi tra i più interessanti, unici, indimenticabili e pronti a misurarsi anche con i palati più diffidenti.
I migliori vini naturali assaggiati a Palermo
- Tenores 2015, Tenute Dettori, dalla Sardegna un cannonau del nord ovest, da vigne affacciate sul golfo dell’asinara che risalgono al 1920: i sentori sono quelli del paesaggio dal mirto all’olivastro e in bocca è sontuoso, pieno, ricco di sfumature.
- Rosammare 2016, Barraco Vini acidità e freschezza ne fanno un vino brioso e pieno di vitalità, ricco di profumi colpisce la sapidità finale.
- Sciccu 2018, Azienda Agricola Cretapaglia unantico vitigno autoctono calabrese, è il guardavalle in purezza un’uva che restituisce un vino erbaceo, fresco, Antonello Canonico firma un bianco in pieno stile provenzale.
- Perricone, Guccione Azienda Agricola dalla provincia di Palermo (San Cipirello) un Perricone in purezza succoso e generoso.
- Don Pippinu 2018, Vini Scirto un blend di minnella, carricante, grecanico, catarratto, che celebra la millenaria biodiversità dell’Etna con un risultato piacevolissimo al palato, non filtrato e non chiarificato, caratterizzato da note minerali.
- VigoRosa 2018, Fattorie Romeo del Castello Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, dopo più di 15 anni in giro per il mondo Chiara Vigo è rientrata sul suo vulcano per far rivivere l’attività di famiglia. Il suo rosato ha equilibrio e struttura, chiude con un bel finale sapido che si lascia ricordare.
- Lumassina 2018, Terrazze Singhie una microrealtà di0,6 ettari di terrazzamenti di questo vitigno autoctono ligure incuneato tra i terrazzamenti circondati dai boschi, corpo agile e profumi delicati, ci si sente dentro la brezza di riviera.
- Cirsium 2016, Damiano Ciolli viticoltore in Olevano Romano questo vino arriva da un vigneto di Cesanese risalente agli anni ’50, sembra di accostarsi alla storia, ad un vino che potrebbe essere presentato come l’erede dei vini degli antichi romani.
- Op 5 Barbera del Monferrato Superiore 2013, Vinicea soli lieviti indigeni e nessuna aggiunta, per questa barbera ancora giovane ma decisamente di carattere e fedele al suo territorio.
- Nakone 2017, Le Sette Aje la famiglia Cannata vinifica a Contessa Entellina da generazioni nel pieno rispetto dell’ambiente tanto da mettere a punto un protocollo agro-omeopatico, un trattamento completamente naturale che previene e combatte le malattie delle piante. Questo particolare rosato è fatto con un blend di moscato e un’uva misteriosa della quale si è persa memoria: nessuno più si ricorda il suo nome, nonostante le ricerche fatte con l’IRVO (Istituto Regionale Vite e Olio) che incrociato il “dna” sconosciuto con le circa 30 varietà reliquia recuperate e custodite dall’istituto.
[Testo e immagini: Valeria Lopis Rossi, NOT/Facebook]