Aleatico nero di Vini Pacchiarotti, vino autoctono trasformista
Nel generale Rinascimento dei vitigni autoctoni su tutto il panorama nazionale, è da segnalare anche l’aleatico nero, uva autoctona antica e misteriosa, di cui si è fatta portavoce Antonella Pacchiarotti.
L’ abbiamo incontrata e abbiamo avuto la possibilità di assaggiare una mini verticale di quattro sue referenze, nel corso di una masterclass guidata dalla sommelier Cristina Santini, in occasione di ViniAmo, manifestazione curata da Minelli eventi.
Titolare dell’omonima cantina nella zona di Grotte di castro in piena Tuscia viterbese, Antonella Pacchiarotti ha creduto nelle potenzialità dell’aleatico nero in un momento in cui veniva generalmente espiantato.
L’aleatico – ci spiega – è un vitigno difficile, poco produttivo e soggetto agli attacchi di molte malattie. I produttori della zona quindi hanno deciso di espiantarlo nel corso degli anni preferendogli i vitigni internazionali, più redditizi e semplici da commercializzare.
L’aleatico, una storia antica
In queste zone tuttavia l’aleatico ha una lunga tradizione. Si pensa che fosse tra le varietà coltivate dagli Etruschi, e poi, per opera dei Romani anche nei secoli successivi.
Il nome “livatico” compariva già nel 1303 negli scritti di Pierre de’ Crescenzi. Nel corso dei secoli molti storici hanno ricondotto questa uva ad altre che provenivano dalla Grecia o discendenti dalla famiglia dei moscati. Solo in tempi recenti grazie all’ identificazione dei genomi si è potuto appurare che l’aleatico è effettivamente parente di grado discendente del Moscato bianco. Esistono testimonianze relative all’aleatico bianco, rosso e nero. E’ dell’Aleatico nero che ci occuperemo qui.
Attualmente l’Aleatico nero è coltivato soprattutto nell’isola d’Elba in Toscana nell’alto Lazio soprattutto nella zona di Bolsena, in alcune zone dell’Umbria e in Puglia, dove entra nel uvaggio del salice Salentino e nella doc Aleatico di Puglia.
Un’uva in via di estinzione?
Su tutto il territorio nazionale ci sono oggi solo 330 ettari vitati ad aleatico nero, un numero risibile se si pensa che nel 1970 gli ettari vitati erano più di 2100.
La scarsa fortuna dell’aleatico probabilmente è anche dovuta al fatto che tradizionalmente viene verificato come vino passito o vendemmia tardiva. L’aleatico infatti è un vitigno aromatico di maturazione piuttosto precoce. “Succedeva – ci spiega Antonella pacchiarotti – che nel momento della vendemmia le uve fossero già naturalmente appassite sulla pianta e quindi per la vinificazione tradizionale senza l’ausilio della tecnologia il grado zuccherino era tale per cui i lieviti, raggiunta una certa percentuale alcolica morivano, lasciando residui zuccherini importanti“.
Con l’evoluzione dei gusti del mercato, che predilige i vini secchi asciutti da pasto si è cominciato a sperimentare anche con l’Aleatico nero.
Oggi le tecniche di cantina consentono di regolare temperatura e grado di fermentazione e quindi di capire come si comporta un vitigno come l’aleatico in una vinificazione a secco.
Antonella e il progetto Vini Pacchiarotti
La cantina di Antonella Pacchiarotti è relativamente giovane, nasce nel 1998 e inizia dal proprio dall’impianto dei vigneti. Contrariamente a molto dello storytelling del settore enologico, non siamo in presenza di una lunga tradizione familiare, di una nuova generazione che si innesta su un albero genealogico di viticoltori. Antonella Pacchiarotti, ci spiega, sceglie la vite perché ha radici profonde come quelle che sente di avre in questo territorio, e perché richiede le stesse cure di una famiglia per i propri membri.
Per gli stessi motivi sceglieva l’Aleatico nero, un autoctono, quando i viticoltori si convertivano agli internazionali.
Il territorio dell’Aleatico nero
La doc Aleatico di Gradoli, d’altra parte, esisteva dal 1972, ed era la seconda denominazione in ordine di tempo in Italia. La sfida fu recuperare un patrimonio e vedere che potenziale potesse avere nel nuovo mercato.
Siamo in una zona vulcanica con un microclima temperato dalla presenza del lago di Bolsena e suoli a grande permeabilità composti da lapilli, colate laviche in parte cementate, tufi grigiastri.
Le viti Aleatico di Antonella Pacchiarotti crescono a un’altitudine di circa 450 m, proprio affacciate sul lago di Bolsena. La vinificazione avviene in una fantastica grotta tufacea proprio sotto il paese di Rocca di Castro, ed è stata scavata a mano nel corso del 1700.
L’azienda di Antonella Pacchiarotti conta 2,5 ettari vitati per un totale di 10.000 bottiglie all’anno, complessive di tutte le referenze. La base è Aleatico nero, derivante da due cloni, che si differenziano per la dimensione degli acini.
Le rese sono basse, ma dai consueti 60 quintali per ettaro negli ultimi anni si sono alzate a 70, perché un po’ l’innalzamento climatico è un po’ la caratteristica concentrazione degli zuccheri dell’Aleatico tendeva ad aumentare il grado alcolico. Quindi una eccessiva riduzione in quantità andava a scapito della qualità del prodotto finale.
Le verticali di Aleatico nero
In degustazione Antonella Pacchiarotti ha portato due annate per quattro referenze: Mateè, Aleatico nero vinificato in bianco, il rosato Ramatico, e Cavarosso, aleatico nero vinificato in rosso. Chiude la serie il Butunì, la vendemmia tardiva cioè la versione diciamo più tradizionale dell’aleatico di Antonella pacchiarotti.
Mateé Aleatico IGT 2020 / 2016
Aleatico nero 100% vinificato in bianco con pressatura soffice delle uve intere. Le due annate in degustazione presentano una differenza importante nella vinificazione e nell’affinamento. Costa 22 €.
La 2020 per la prima volta è affinata in vasche di cemento, e non solo in acciaio come tradizionalmente è vinificato l’aleatico di antonella pacchiarotti. Un bel bouquet di spezie di note di zolfo buccia di limone per un vino che si presenta subito al naso minerale e poi in bocca decisamente sapido. Come accennato questo vino fermenta parte in cemento e parte in acciaio, per poi maturare 10 mesi in cemento e altri 18 in bottiglia. Una bella bocca intensa in cui spicca la mineralità del suolo. Anche se è l’annata in commercio, un vino che ha già quasi quattro anni di vita e già equilibrato e piacevole, è ancora fresco e giovane e ha davanti a sé e un bel periodo di affinamento e di maturazione.
La 2016 ha tuttavia una marcia in più. Gode sicuramente di una maggiore profondità sia al naso che al palato. appena versato nel calice sprigiona note di buccia di cedro e di mandarino essiccato, fiori bianchi caldi, mele e pere mature. Piano piano si fa strada questa nota fumé leggermente solforosa che era presente già nella 2020, che qui Vira verso un idrocarburo gentile.
L’impatto in bocca è intenso. Il vino rotola da un lato all’altro del palato, si presenta con corpo e struttura elegante. Note di mandorla tostata, di cannella, di Pan di spezie emergono sul finale che è lungo e intenso, con un gioco tra il sapido e l’acido che segna il ritmo del sorso. A differenza della precedente questa etichetta ha visto solo acciaio. Le nuove annate, affinate in cemento, dovranno dimostrare di essere all’altezza, le attenderemo con impazienza.
Ramatico IGT 2020 /2016
Ramatico è nato per sbaglio, uno di quelli felici errori di cui è piena La storia. Doveva essere un bianco, un Mateé, ma il mostro è rimasto a contatto con le bucce per un’ora di troppo e il risultato è un mosto color rame. Ma non è solo il colore che cambia.
Stesse uve, aleatico nero 100%, stesso trattamento in cantina: diraspatura soffice, fermentazione e affinamento in acciaio, ma esiti decisamente diversi.
A cominciare da una nota evidentissima di mela cotogna, nel calice, oltre alle consuete note fiorite qui particolarmente virate sulla rosa, e di frutti rossi che qui diventano quasi una confettura di fragoline. In bocca coerenza ed equilibrio ma colpisce subito la bella struttura e una grande sapidità tale da suggerire abbinamenti a piatti con per pesci di lago grassi e aromatici come per esempio un risotto con l’anguilla.
2021 versus 2016
La 2016 colpisce per un colore decisamente più chiaro. Una buccia di cipolla appena accennato più che un color rame. È l’annata, ci spiega Antonella pacchiarotti, che influisce molto sulle cariche antocianiche dell’aleatico nero.
L’affinamento ha lavorato in raffinatezza invece che in potenza in questo caso. All’esplosione di frutta intensa qui abbiamo un bouquet più nascosto, più misterioso, più tipicamente vulcanico, virato sul fumè e sull’idrocarburo con le note di mela annurca e di fiori rossi che ci sono ma si fanno un po’ attendere. Arrivano con un lieve aumento della temperatura del vino e con la permanenza nel calice.
L’annata in commercio costa 22 €.
Cavarosso 2016 e 2021
A costo di ripetersi, 100% uve aleatico di Antonella Pacchiarotti, vinificato interamente in acciaio dopo una pigiatura soffice e la macerazione sulle bucce per circa 10 giorni con tre rimontaggi manuali quotidiani. Il colore è un rubino chiaro trasparente. Ricorda gli stili dei rossi del Nord, un nebbiolo o anche un pinot nero più che un vino rosso prodotto nel centro Italia. Qui abbiamo tutta l’espressione aromatica dell’aleatico. Dai frutti rossi alle roselline a grappolo e agli iris, la speziatura di pepe aromatico, un bel melograno fresco e succoso che invita all’assaggio.
La beva è bella fluida, vivace nel gioco che ormai conosciamo tra sapidità e acidità. Ma resta elegante, nonostante la gioventù di questo vino imbottigliato da pochi mesi e che ha sicuramente una bella strada ancora davanti.
Lo dimostra l’altra annata in degustazione, la 2016.
Cavarosso, Aleatico nero 2016
Qui la frutta si è scurita si è ritirata in se stessa, è diventata quasi sotto spirito, o sotto forma di confettura di uva. Al naso una parte vegetale, balsamica importante insieme a delle speziature più marcate e note di caffè filtrato leggere sullo sfondo, molto piacevole, restituiscono un bouquet intrigante.
Il sorso è più impegnato e serio, di maggior struttura e materia, profondo ed esigente riguardo agli abbinamenti. L’aromaticità è tanta, l’intensità pure: fa pensare subito alla cacciagione, alla selvaggina, alle grandi frollature e alle marinature importanti. L’acidità di sostegno resta percepibile, ma controllata e ben gestita.
L’annata in commercio costa 24 €.
Butunì, Aleatico nero vendemmia tardiva
E siamo arrivati all’aleatico nero tradizionale, dolce, morbido, fruttato. Butunì è la vendemmia tardiva e la assaggiamo in due annate, 2017 e 2008.
In realtà sono due vini casualmente diversi, ma la differenza non è banale. L’annata 2017 si è contraddistinta per essere particolarmente calda. Il 30 agosto – nel momento della vendemmia- le uve fossero già appassite in vigna. Quindi, con un carico zuccherino molto elevato che ha portato a un livello alcolico in questo caso di circa 16 gradi.
Il risultato in bottiglia è un vino sicuramente molto intenso e molto profumato soprattutto di visciole e mirtilli sotto spirito. Anche qui questa nota di caffè si percepisce sullo sfondo e rende questa versione di Aleatico nero molto intrigante. Anche se l’alcool oggettivamente è percepibile e un pochino frena la beva.
Butunì 2008
Tutt’altro vino quello prodotto nell’annata 2008. Qui la frutta è scura è più terrosa, ci sono addirittura delle note di umami. Ricorda il mosto cotto di fichi al forno, la frutta secca tostata.
In questo caso l’annata è stata regolare non particolarmente calda. Le uve sono state raccolte surmature ma non appassite La fermentazione è stata avviata e, come da tradizione, è stata interrotta. Il grado alcolico di questa bottiglia si è fermato a circa 11%.
Indubbiamente sono due vini molto diversi. Questo dimostra ancora una volta la versatilità dell’aleatico nero, sia rispetto all’annata e alle stagioni sia rispetto poi alla mano di chi lo governa.
È stata un’esperienza molto interessante perché raramente si trovano vitigni che riescano ad esprimersi in maniera così diversa, eppure in ogni versione completi e caratteristici.
L’aleatico nero di Antonella Pacchiarotti emoziona in modo completamente diverso in tutte e quattro le versioni in cui è stato proposto. E in ogni assaggio, in maniera coerente con l’annata.