Valerio M. Visintin contro tutti in Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi
Notizie dal mondo del teatro: è partita la nuova tournée del critico gastronomico e fantasista Valerio Massimo Visintin per presentare il suo nuovo ultimo (per ora) libro edito da Terre di Mezzo, qui da Open, un bellissimo spazio-libreria-coworking eccetera in viale Montenero a Milano.
Il titolo va pronunciato con attenzione, quando lo si richiede al proprio libraio di fiducia: Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi – e non più, come il precedente, Osti sull’orlo di una crisi di nervi.
Di una vera e propria tournée teatrale si tratta, invero: accompagnato dai suoi “complici” storici (Alda Palaoro, Samantha Cornaviera, Anna Prandoni e, per l’occasione, col supporto altrettanto complice di Luca Sandri), il Critico Mascherato mette in scena una serie di domande e risposte, di letture e di interventi, molto ben orchestrati.
Non è una critica, ovvio: è un modo simpatico e piacevole, plateale e divertente e divertito, di proporre il proprio lavoro. Che peraltro è diventato anche un gradevolissimo spettacolo teatrale, protagonisti gli attori “veri” Luca Sandri e Marisa Della Pasqua (ma anche Visintin possiede una sua garbata presenza scenica, per lo meno vocale).
Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi “Racconta il grande circo di chef stellati a braccetto con giornalisti di settore e seguiti da foodblogger adoranti, di recensioni del futuro e nonne mitologiche fonti di innumerevoli ispirazioni”, con la verve che è propria del Nostro, con la vis polemica che lo contraddistingue, con il repertorio che caratterizza la sua produzione, specie letteraria.
Perché se a volte il confine tra la pagina gastronomica e la narrazione è, in modo più o meno riuscito, abbastanza labile, nelle pagine di Valerio Massimo Visintin, invece è pressoché assente: il gusto per la scrittura si confonde con quello per la frittura, la ricerca dell’effetto si appaia a quella dell’affettato, l’uso del climax mitiga quello dello Xanax.
Certo, a volte si ha l’impressione che la cifra stilistica prenda un po’ la mano al nostro, che il ricorso alla retorica sia un po’ scoperto: ma è un peccato veniale di fronte alla godibilità di una prosa sapida e gustosa, che rivisita la tradizione della (sua) critica gastronomica alla luce dei più moderni trend della ristorazione milanese.
Ecco quindi sfilare i giovani cuochi tatuati e spesso barbuti, cifra stilistica di una certa ristorazione che innova riproponendo la tradizione, i quarti meno nobili degli animali da macello, e la polemica sulle barbe e sulle chiome svolazzanti (anche se a me, ad esempio, non è mai capitato di trovare peli di barba o capelli nelle pietanze: e le porzioni abbastanza ridotte, con la separazione millimetrica degli ingredienti, facilita di molto l’ispezione).
E le descrizioni dei locali, dei servizi, visti attraverso la lente deformante e divertente (ma spesso realistica) del signore d’antan; le idiosincrasie, come quella verso le tovagliette di carta che hanno ormai sostituito il tovagliato classico, le cialde biologiche, i pezzi di lamiera, le cortecce che hanno soppiantato i lini e le fiandre.
Certo, a volte si indulge in qualche trucchetto perfido, come (non so se riportato nei Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi) chiamare soltanto “Diego e Pietro” i “baldi giovanotti di Trippa” anziché cognominarli come viene fatto solitamente per cuochi, direttori di sala, sommelier e così via.
E poi ci sono le stroncature, alcune delle quali sono riportate nel libro come paradigmi di “una ristorazione ammalata di se stessa.”
Dai Salentini, oggetto di una spassosa recensione riparatoria (“scevro di orpelli e di inutili tovaglie, illuminato persino negli angoli come sotto il solleone, questo frammento di Puglia ci ha offerto l’opportunità di parlare a voce forte e piena, per scavalcare la splendida musica, proprio come al mercato nei ridenti paesi del Salento”), fino a Eataly, “una macchina complessa che produce miliardi di fatturato e palate di posti di lavoro. E io ve la consiglio per tali solide ragioni sociali. E forse per nient’altro che vada oltre il provvisorio debito di curiosità”.
Da Yoji Tokuyoshi, dove “se il testimone tra un assaggio e l’altro è quasi sempre uno scambio disarmonico tra spinte inconciliabili, ogni singola portata sembra vivere una crisi interiore, un caos preterintenzionale che si riverbera anche sul piano estetico”, alla Taverna Gourmet, dove “sono davvero bollenti e assai gourmet i prezzi. I quali si attestano in media attorno ai 25 euro per ogni pizza gourmet, con qualche acuto ancora più gourmet, come i 35 euro richiesti per la versione con gamberi rossi. […] L’ambiente è gourmet, indeciso tra showroom e sala d’aspetto di notaio gourmet. Il servizio è un po’ svagato, ma gentile e chiaramente molto gourmet”.
E ancora da Thai Gallery (“Menu? Si tratta, a dire il vero, di un gigantesco e indomabile quadro, vasto quanto un separé, che il cameriere ci lascia in gestione per interminabili minuti”).
Come dimenticare il Ricci di Belen e Bastianich: “la trama è un pastone italo-americano, dove convivono hamburger e spaghetti, lobsterroll e caprese son bufala, costata gigante e pasta alla Norma. Ma, più banalmente, il simbolo del disagio nel quale galleggia l’intero progetto è il petto di pollo grigliato con foglie di rucola (umide e stazzonate) e pomodorini (due). Un piatto di una mestizia assoluta, a misura di simil-mannequin e di aspiranti culturisti in dieta anabolica”.
Voci incontrollate danno in preparazione nuove fatiche del Nostro Valerio Massimo Visintin: Sous-chef sull’orlo di una crisi di nervi, Camerieri sull’orlo di una crisi di nervi, e l’ultimo volume di quella che ormai si delinea come una vera e propria saga: Critici gastronomici sull’orlo di una crisi di nervi.
Anche per (alcuni di) loro, infatti, il buon Valerio riserva le sue coltellate gentili, peraltro inflitte con il coltello per il formaggio, con la punta arrotondata dalla “erre” retorica e divertita dell’autore. Per dire, il primo testo del capitolo “La zona grigia” è dedicato a Identità Golose.
Va anche detto che – per essere uno che non si vuole far riconoscere, e che si presenta mascherato a presentazione e convegni – l’esposizione mediatica dell’ottimo Valerio Massimo in questi ultimi mesi ha assunto una frequenza veramente esponenziale: presentazioni dei suoi libri (è anche autore, da 14 anni, della guida di Terre di Mezzo PappaMilano) anche al di fuori della Cerchia dei Navigli e addirittura della Circonvallazione esterna, con interventi prima a Expo2015 e poi anche al Salone del Libro torinese.
Ha addirittura patrocinato showcooking, è intervenuto a trasmissioni radiofoniche e televisive. E il suo nome in copertina è seguito dal logo de “Il Critico Mascherato”, contornato ovviamente da coltelli (minacciosi). Merito dell’ufficio stampa o di una inconscia ribellione a una vita “carbonara”?
Va infine detto che Valerio rivela insospettati lati “umani”: nel ricordo del padre, o di Stefano Bonilli, ad esempio. O in una delle pagine finali, dove afferma “quel che voglio davvero nella vita è fare il sommelier dei sorrisi femminili”.
Post scriptum. Questo articolo è probabilmente inficiato dall’essere il suo estensore indegnamente citato a pagina 84 del volume del Maestro Visintin. Per usare una sua espressione, con la quale spesso ci salutiamo, “Bengentile”.
Valerio Massimo Visintin, Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi. Viaggio in incognito fra tic e manie della ristorazione italiana. Terre di Mezzo, Milano, 2016.
[Immagini: Stefano Corrada, iPhone Vincenzo Pagano]