Festa a Vico 2010 | Il lusso del panino
Qui dove il mare luccica
e tira forte il vento
su una vecchia terrazza davanti al golfo di Sorrento…
La festa di Vico è finita. Mi sono svegliato con ancora in corpo la felicità e piacevolezza con cui mi ero coricato. Sì perché la festa di Vico è questo: l’isola che non c’è, un’oasi irreale (ma verissima) di felicità e piacere, modellata sul cuore del suo patron, Gennarino.
Torno a casa portandomi dietro la sensazione di un momento di pausa dalle invidie e dalle competizioni del mondo… Per qualche ora, qualche giorno a Vico si è veramente tutti amici, tutti affratellati da una gioia e una passione. Sarà il cibo che scorre pantagruelicamente, sarà l’alcool che aiuta sempre, sarà la comune passione che ci lega, sarà la presenza di tanti amici, sarà quel che diamine volete; ma il miracolo accade ogni anno.
Alla interessante e partecipata conferenza stampa di presentazione, si ragionava su una nuova idea di lusso. Noi qui su scattidigusto ci stiamo ragionando da tempo, è argomento attuale e appassionante, non c’è dubbio. Occuperà molto del ragionare dei giovani nuovi maestri, rappresentati bene ieri da Max Alajmo e Roberto Cerea (in due l’età di tanta classe dirigente di questo paese). Ma se si prendesse come esempio questa festa sarebbe tutto chiaro: è chiaro lo spirito informale, è tangibile il piacere, è lampante la qualità dei prodotti offerti… Insomma l’obiettivo è la felicità, il tornare ad essere per un momento bambini, il lusso estremo di fermarsi in un giorno infrasettimanale solo per godere. Ecco si torna alla famosa frase di Brillat Savarin “Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicità di questa persona durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto”. È tutto qui, chiarissimo e già detto, ce ne eravamo solo dimenticati.
Inutile descrivere i tanti piatti che ci hanno allietato nella serata di ieri, alle feste si gode e si ringrazia… non si fanno classifiche e si danno giudizi! Tra l’altro la scala sarebbe stata millimetrica, visto l’assoluto valore di cuochi e prodotti presenti. Solo una cosa mi sta a cuore sottolineare, sempre nella scia di quel ritorno alla fanciullezza e di quella serenità di cui parlavamo prima: ho goduto come un matto, di un piacere puro e infantile ogni volta che prendevo in mano un panino.
Ogni volta che mi sporgevo in avanti per non schizzarmi la camicia in un morso liberatore e ingordo. Sì perché alle Axidie ce n’erano di ogni foggia, per ogni gusto. Perché la raffinatezza estrema può essere anche dare un morso ad un panino, davanti al mare e ad un tramonto da sballo. Golosissimo il panino di salciccia di tonno arrostito con la brace di mandorle di Pino Cuttaia. Elegante e pensato il tradizionale panino con Lampredotto di Valeria Piccini. Concettuale il Fishburger di Accurzio Craparo. Divertente e tipico il bacio romano di Cristina Bowermann, un panino lingua e ciauscolo di Visso con micro verdure e maionese mostardata in un matrimonio d’amore assoluto. Viva la tradizione, il “O panin ca tripp e mevz” vero cibo da strada imperituro, cucinato da Danilo di Vuolo. Suadente e lussurioso la Ciabattina al lievito naturale fegato d’anatra peperoncini verdi al pomodoro e ricotta di bufala di Giuseppe Mancino. Gagliardi i Crostini con le arselle, un sapore quasi dimenticato e intenso proposto da Franca Cecchi, consorte di Romano a Viareggio. Questi i primi che mi sono saltati in mente, ripensando al piacere che mi ha dato il mangiar con le mani e l’informalità più assoluta. Sì perché questo ha di bello la pagnottella: il farci tornare bambini, il sapore di quelle merende strappate ad un pomeriggio di gioco, la capacità ancestrale di essere pausa e cesura; ma mi accorgo che parlando di panini, stiamo elencando caratteristiche proprie della festa di Vico e probabilmente anche le peculiarità di una moderna e attuale convivialità. Sarà questo parte di quel nuovo lusso che cerchiamo con la lanterna in mano?
Foto: Francesco Arena