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2 Ottobre 2011 Aggiornato il 7 Aprile 2019 alle ore 17:07

La Danimarca di René Redzepi tassa il burro e anche l’olio d’oliva

La Danimarca di Redzepi tassa gli alimenti grassi con la fat tax che consente di fare cassa con i cibi ritenuti dannosi per la salute, compreso l'olio di oliva
La Danimarca di René Redzepi tassa il burro e anche l’olio d’oliva

Qual è il peggior nemico del junk food? Non certo il medico di base o l’educazione alimentare. Né le allarmanti cifre sull’obesità. Nell’Europa che scopre quant’è difficile far tornare i conti senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini, c’è un’imposta “etica” che fa furore. E’ la tassa sul cibo spazzatura, ultimo ritrovato antideficit, che fa proseliti anche tra i Paesi più virtuosi in fatto di sovrappeso.

Come la Danimarca, patria di René Redzepi, lo chef più salutista del globo, miglior ristoratore del pianeta da due anni nella classifica della guida dei 50 Best Restaurants. Nel paese che ha ospitato il MAD FoodCamp, tentativo ambizioso di rifondare gli stili alimentari dei paesi più sazi del pianeta e dove dal 1922 esiste già una tassa sugli alimenti ad elevato contenuto di zucchero, dal 1° ottobre è in vigore anche la “fat tax”, un’imposta sugli alimenti ad alto contenuto di grassi saturi come margarina, burro, merendine, biscotti e prodotti lattiero-caseari.

La piccola manovra da 200 milioni l’anno, introdotta in uno dei paesi meno afflitti dall’obesità in Europa, colpisce i cibi con oltre il 2,3% di grassi saturi e farà salire del 30% il prezzo del burro, dell’8% quello delle patatine e del 7,1% l’olio. Benefici previsti: oltre al ragguardevole introito statale, una riduzione del consumo di grassi saturi del 10% e di burro in particolare del 15%.

Sulla strada dell’incremento del gettito fiscale si sono mossi anche altri Paesi come l’Ungheria e la Francia. La prima, con una tassa in vigore dal 1° settembre, applicata agli alimenti ad alto contenuto di zuccheri, sale e carboidrati. La seconda, con una tassa su bibite gassate e patatine, annunciata come imminente dal Primo Ministro François Fillon.

E se dalla tassa sulle patatine e il cioccolato l’Ungheria conta di raccogliere dai 70 ai 110 milioni l’anno, quella sulle bevande gassate dei cugini transalpini dovrebbe assicurare un incremento del gettito fiscale di 120 milioni di euro. Due iniziative fiscali che aggiungono Ungheria e Francia alla lista dei Paesi che hanno dichiarato guerra al cibo spazzatura. Come la Romania, che una tassa su merendine, snack e bibite gassate l’ha istituita nel 2010 e la Svezia che tassa le bevande alcoliche.

Ben più blande le misure fiscali applicate al junk food (0,2 centesimi di dollaro su ogni bottiglia di bibita gassata) negli Stati Uniti dove secondo gli ultimi dati pubblicati ad agosto dalla rivista Lancet nel 2030 le persone obese, che oggi rappresentano il 30% della popolazione, raggiungeranno il 50% con un aggravio previsto sul bilancio statale del 2%.

Sul piede di guerra le organizzazioni che rappresentano i settori del food&beverage e le aziende colpite dall’imposizione fiscale anti-junk food. In Ungheria si è schierata contro la chip tax la Camera di Commercio mentre in Francia la Coca-Cola ha minacciato di sospendere un investimento da 170 milioni di euro. “La legge colpirà soprattutto le fasce di popolazione a più basso reddito, i maggiori consumatori di junk food”, ha avvertito FoodDrinkEurope, l’organizzazione che rappresenta la prima voce del settore manifatturiero in Europa in termini di posti di lavoro.

Che il “movente” di tanto attivismo salutista sia anche la leva fiscale lo dimostra il fatto che in alcuni casi colpisce indiscriminatamente il consumo di grassi. Mettere sullo stesso piano il formaggio (o l’olio!) e le patatine fritte è infatti un azzardo in termini nutrizionali. Prendiamo il caso dell’Ungheria. Il Paese ha un’aspettativa di vita tra le più basse in Europa, è afflitta da elevato consumo di sigarette e alcol, ha una “dieta non esattamente in linea con le moderne raccomandazioni nutrizionali”, spiega Dario Dongo del Fatto Alimentare, “grazie a diffuse delicatessen come i Kolbasz (salsiccioni farciti) e il Langon (pane fritto)”, prodotti non colpiti dalla chip tax.

Contestazioni di cui si dovrà tener conto nell’ipotesi di un piano anti- junk food per ripianare il deficit anche in Italia, dove il 35% di bambini e ragazzi è obeso o in sovrappeso. Di un piano nazionale anti-obesità ha parlato recentemente il presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario nazionale Ignazio Marino (Pd).

[Fonte: corriere.it, ilfattoalimentare.it. Foto: zmmi.hu, diabetebrescia.org, buttalapasta.it]

 

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