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Vino
2 Aprile 2012 Aggiornato il 17 Maggio 2024 alle ore 20:15

Classifica. Di cosa parliamo quando diciamo categoria vino biodinamico

Aiuto, non ne posso più! Non ne posso più delle polemiche e false querelle che scuotono la società enologica italiana. Sembra non sia possibile fare le
Classifica. Di cosa parliamo quando diciamo categoria vino biodinamico

Aiuto, non ne posso più! Non ne posso più delle polemiche e false querelle che scuotono la società enologica italiana. Sembra non sia possibile fare le personcine serie e preoccuparci di futuro e visione. Il Vivit, appena concluso all’interno della kermesse veronese, ha dimostrato (ce ne fosse bisogno) che l’argomento di una enoviticoltura sostenibile sia importante e di grande futuro. Malgrado le sale sfigate, i bicchierini da prosecco e una organizzazione farraginosa, il piccolo salone dei vignaioli, novità del Vinitaly 2012, è stato baciato da un continuo successo e il clima che si respirava al suo interno era di quelli che fanno bene al morale incerto del vino italiano.

In molti in questo periodo si riempiono la bocca di biodinamica, non si esce dalla retorica di una pratica stregonesca, fatta di strani inguacchi e fasi lunari, di rituali magici e antropologie rurali. Niente di più falso, la biodinamica è una tecnica agronomica. Il vino interessa relativamente, quello che interessa è produrre il prodotto migliore, che sia uva o mele o lattuga, poco importa. Ma allora perché si parla di vino biodinamico?

Gran parte del “merito” lo dobbiamo alla Francia e ad un signore: Nicolas Joly, erede della mitica Coulée de Serrant, nonché  fondatore dei Vignerons d’exceptions, associazione di viticoltori biodinamici. Poco importa se per molti la Coulée, dopo il passaggio di consegne dalla gestione materna a quella di ms Nicolais, non sia più la stessa. Quello che conta è l’aura esoterica ed iniziatica, degli scritti di Joly e delle sue interviste, occhialetto da intellettuale, idioma da nouveau philosophe, j’accuse  sulla agricoltura convenzionale assassina! E il gioco è fatto, il vino biodinamico, in barba agli scritti di Pfeiffer, alle lezioni sull’agricoltura di Steiner, agli studi dell’università di Tel Aviv e di Podolinsky in Australia, diventa pratica magica e certificata. Poco importa se la Demeter non preveda un disciplinare specifico per il vino, ma solo per i succhi di frutta. La locuzione vino-biodinamico, inizia a volare di bocca in bocca, qualcuno anche lo scrive in etichetta.

Cosa sia il vino biodinamico non si sa, si sa solo che esiste un disciplinare francese del Vignerons d’Exceptions e che questo preveda tante cose, tra cui la filtrazione con la cellulosa, il controllo della temperatura, l’uso di solfiti e che la vinificazione debba tener conto delle posizioni dei pianeti. Insomma come la giri e la volti un gran guazzabuglio, ad altissimo rischio mark(k)etting. La sola cosa di cui sono certo è che buona parte dei vini che amo vengono da uve coltivate con quella tecnica, con l’uso del sovescio e del letame naturale, con l’irrigazione delle vigni con preparati come il corno letame (fertilizzante) e corno silice. Perché accada non lo so, ma so che è così e da laico mi basta per farmi riflettere… e a voi?

Vi lascio con un giochetto, di quelli che ci piacciono la top five dei cinque produttori italiani e stranieri di vini prodotti con uve biodinamiche, non di vini biodinamici…

  • Querciabella (Toscana)
  • Manicor (Alto Adige)
  • Foradori (Trentino)
  • Emidio Pepe (Abruzzo)
  • Cascina degli Ulivi (Piemonte)
  • Domaine LeRoy (Borgogna)
  • Pingus (Ribeira del Duero)
  • Larmandie Bernier (Champagne)
  • Raveneau (Borgogna/Chablis)
  • Prum (Mosella)

Foto: Andrea Scaramuzza/Foradori. Illustrazione: Francesca Ballarini/Foradori

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