Cascina Cuccagna. L’esperienza che ti ricordi tra tacco 12 e fighetti
Voglio andare a vivere in Cuccagna.
Suggerisco al Consorzio Cuccagna, per raccogliere fondi, di organizzare una lotteria e mettere in palio una stanza dell’ostello a vita, Cuccagna for life.
Premettiamo che Cascina Cuccagna non è un luogo alla buona, per niente.
Sono fighetti i gestori, sono fighetti i clienti.
Quando era in corso la ristrutturazione e c’era solo un bancone grezzo e qualche seduta all’esterno, allora si che si percepiva il clima dei giardinetti di quartiere.
Oggi, Spitalfields gli fa un baffo: se siete dei fashion addicted non occorre che andiate fino a Londra, la Cascina è il posto che fa per voi.
Scarpe scultura, colori sgargianti, la celebrazione degli anni ottanta; come si faccia a camminare in prossimità degli orti urbani con scarpe tacco 12 è un mistero che solo Voyager potrebbe spiegare.
Però, se si eliminassero tutti i modaioli-radical chic e affini che si aggirano con espressione altezzosa, se si facesse un corso di cordialità ad alcuni dei ragazzi che si occupano del bar e se rimanessero solo Nicola Cavallaro, il suo staff e gli educatissimi camerieri del ristorante, allora sarebbe tutto perfetto.
Ma anche così va bene, perché quello che è stato realizzato è encomiabile: il recupero del luogo in armonia con la sua destinazione originaria; la gestione degli spazi in modo da creare opportunità di lavoro, d’incontro e di svago accessibile; il verde in una zona dove mancava.
Un posto a Milano, il ristorante gestito da Nicola Cavallaro all’interno della Cascina, è la punta di diamante del progetto.
Ci riteniamo estremamente soddisfatti dell’esperienza, capitata quasi per caso.
Da un po’ di tempo, infatti, tentavamo di prenotare ma era sempre pieno; poi, delusi dal servizio lentissimo e non troppo cordiale del bar (il registratore di cassa che non funziona e genera code interminabili è un classico: forse occorrerebbe personale meno trendy ma più tecnico), avevamo quasi rinunciato.
Sarà che in questo periodo la città si svuota, sabato sera abbiamo trovato posto. Molto prevenuti su come avremmo mangiato.
Invece e per fortuna, s’imparano sempre lezioni sul non avere pregiudizi. Perché è vero che loro sono portati all’apparire, ma questo non esclude che ci sia anche l’essere.
Innanzitutto, la sala del ristorante dove abbiamo cenato è molto raccolta, silenziosa e ben areata (niente area condizionata a manetta ma neppure l’integralismo di non far circolare nulla che non sia la corrente naturale, semplicemente pale al soffitto). Il servizio è cortese, discreto e paziente, nessuna ossequiosità, un giusto equilibrio tra informalità e regole di bon ton da ristorante di livello.
Il cibo è gratificante, con un menù che varia mensilmente a seconda dei prodotti di stagione.
I principali ingredienti di ogni piatto hanno il riferimento alla provenienza; sul sito, c’è anche la simpatica indicazione del tempo che occorre, a piedi, per raggiungere i diversi produttori.
Già dalle presentazioni si percepisce la freschezza delle materie prime; all’assaggio, si distinguono chiaramente i vari ingredienti, i piatti saziano ma non appesantiscono.
Ravioli di caprino e limone in salsa di piselli, un delicatissimo connubio tra il formaggio e l’agrume all’interno di una pasta che, come dicono, è stata preparata la mattina stessa e posso anche crederci vista la consistenza perfetta. Solo la salsa di piselli era un pochino insapore, ma è anche vero che, a parte il pisello di Lavagna estremamente tenero e dolce, non sempre questi vegetali offrono un forte appagamento gustativo.
A seguire, pastrami di manzo, pane nero e burro di affioramento.
Il pastrami è un ottimo piatto che non fa parte della nostra tradizione culinaria ma di quella ebraica importata negli Stati Uniti ed è ricavato da un taglio di manzo anche questo poco considerato dal mercato italiano, il sottopancia anteriore.
Morbido e saporito, perfettamente maritato con il pane nero e il burro dal retrogusto di formaggio
(essendo ottenuto per affioramento spontaneo della panna a seguito di un processo di caseificazione notturna utilizzato per la produzione di formaggi come il grana) che smorza la speziatura della carne senza rovinarne la particolarità.
Infine, la torta di formaggio con albicocche, un cubo di delizia carino a tal punto da indurre a mangiarlo in modo metodico, senza spargerne pezzetti per il piatto.
Dagli altri commensali ho assaggiato: zuppa fredda di pomodoro con crostini e basilico, fresca e saporita; crespella con fiori di zucca, ricotta e crema di zucchine, porzione abbondante ma piatto, a mio avviso, meno stuzzicante degli altri; formaggio di capra caldo con nocciole del Piemonte e verdure estive, un piacevole abbinamento.
Ovviamente, ci aspettavamo un conto piuttosto importante; invece, quanto sopra illustrato ha comportato la spesa di circa 25 euro a persona, incluso vino della casa. A Milano, una cifra di questo tipo ha quasi dell’incredibile, considerando che, in una qualunque pizzeria delle tante catene presenti in città ci aggiriamo sempre intorno ai 20 euro e, ovviamente, non c’è paragone dal punto di vista culinario.
Non ho avuto occasione di pasteggiare nel precedente ristorante di Nicola Cavallaro che, in bene e in male, ha fatto molto parlare; credo, però, che con questa nuova impresa abbia fatto un ottimo lavoro, offrendo una cucina di qualità a prezzi realmente popolari.
C’è solo da sperare che continui così, soprattutto qualora dovessi vincere una stanza a vita nella Cascina: sarebbe veramente scomodo dover cenare da un’altra parte tutte le sere.
Un posto a Milano. Via Cuccagna 2 – angolo Via Muratori. 20135 Milano. Tel. +39 02.5457785
[Paola Caravaggio. Foto: Laura Franza, il Vinodromo]
[Qui la precedente recensione e qui l’evento fuorisalone]