10 Prodotti Agroalimentari Tradizionali d’Italia che dovreste assaggiare
Se adorate i babà o mangiate il Panettone di Milano a Pasqua non significa (solo) che siete buongustai. Significa che amate i p.a.t., cioè i prodotti agroalimentari tradizionali.
I fanatici de #ilfoodèlamiaragionedivita dovrebbero conoscerli. O mi sbaglio?
I prodotti agroalimentari tradizionali sono “ottenuti con metodi di lavorazione […] secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni”; inseriti in appositi elenchi regionali e riconosciuti dal MiPAAF.
Per una ragione o per un’altra i p.a.t. sono decisamente meno pubblicizzati dei “cugini” d.o.p. e i.g.p. Tuttavia sono profondamente legati a tradizioni popolari, abitudini e usanze territoriali che fanno del nostro bel Paese un incantevole portagioie.
L’italia dei p.a.t. è fatta di prodotti come gli agnolotti piemontesi o la pizza di scarola (e io alla pizza di scarola non voglio rinunciare!).
Alcuni di questi prodotti, però, sopravvivono esclusivamente grazie a sagre di paese o a tradizioni di famiglia a cui noi diciamo grazie con una mappa di 10 prodotti agroalimentari tradizionali che forse non avete assaggiato e che dovreste mettere nel vostro paniere di cose buone.
1. Boudin (Valle d’Aosta)
In montagna le tradizioni persistono con molta genuinità. I boudin ne sono una prova. Il freddo però non nasconde la creatività e la passione con il quale i valdostani realizzano il loro sanguinaccio. Il sapore del boudin è selvatico, morbido, sincero. E’ come ricordare le famiglie numerose attorno al focolare. I boudin si preparano realizzando un composto di patate bollite, cubetti di lardo (Arnad, avete presente?), spezie, sangue e vino. E’ interessante poi scoprire che percorrendo la Vallée si trovano diverse varianti come quella dell’Alta Valle che unisce al tutto anche la barbabietola rossa (ottimo conservante naturale!).
Dove: Salumificio artigianale “Maison Bertolin”. Loc. Champagnolaz, 10. Arnad (Aosta)
2. Canestrelli biellesi (Piemonte)
I canestrelli biellesi sono uno dei dolci più golosi, seppur semplici, che abbia mai assaggiato. Sì perché non sono solo cioccolatosi. Hanno un retrogusto di mandorla e nocciola, anima del ripieno, che li rendono felici. Ecco i canestrelli sono dei dolci felici (uhm, quale dolce non lo è in effetti?!). Quindi, impasto ciocconocciomandorloso racchiuso fra due cialde croccanti. Adorabili. Cuocere in modo adeguato la cialda è sempre stato difficile. Ma c’è un vecchio stratagemma: recitare l’Ave Maria. Corrisponde al tempo necessario per avere una cialda perfetta!
Dove: Pasticceria Jeantet. Piazza Vittorio Veneto, 16. Biella
3. Tortello amaro di Castel Goffredo (Lombardia)
Avete presente un classico tortello? Di quelli che si sciolgono in bocca? Ecco, ora immaginate di gustarne un piatto al centro del territorio fra Mantova, Cremona, Brescia e Verona. State assaporando un tortello amaro di Castel Goffredo. La differenza sta tutta nel ripieno! Formaggio grattugiato, erbette, pane grattugiato, uova, salvia, cipolla, aglio, sale e noce moscata. Ma l’unicità è l’erba amara (non chiamatela con altri nomi). L’erba amara rende il tutto più vivace. Condite i tortelli, ovviamente, con burro e salvia e godetevi questo piatto di una bontà semplicemente assoluta.
Dove: Pastaio Agostino. Strada Bertuzzi, 20/A. Castel Goffredo (Mantova)
4. Bortellina (Emilia-Romagna)
In Emilia, nell’entroterra piacentino, si prepara una frittella morbida squisita: la burtleina (è uno di quei prodotti che tira l’altro, quindi preparate prima tutti i salumi di accompagnamento!). La pastella è semplice: acqua, farina, uova, sale e un po’ di bavaron (il cipollotto emiliano). La cottura è prevista nello strutto bollente, così come vuole la tradizione. Non immaginate il profumo che può sprigionare un cibo così essenziale. In bocca rimane la morbidezza meravigliosa. Sono sicuro che, senza farci caso, avrete in mano già la seconda bortellina.
Dove: Sagra della bortellina bettolese ad agosto. Bettola (Piacenza)
5. Lonzino di fichi (Marche)
Se anche voi, da ragazzi, andavate a scuola con una rosetta piena zeppa di fette di salame avete qualcosa in comune con i ragazzi marchigiani. Andavate a scuola. Perché nella zona di Jesi, nonché in tutto l’anconetano, a scuola, per merenda, si mangiava pane casereccio e lonzino di fichi. Simile solo per forma al classico salame campagnolo. Qui, da sempre, a fine estate si raccolgono i fichi maturi lasciati poi essiccare al sole (un tempo anche vicino al forno a legna spento ma ancora caldo). Una volta asciugati vengono macinati, impastati con anice, mandorle e noci tritate. Il tutto avvolto in foglie di fico e legato con filo di lana. Chiudete gli occhi e immaginate i colli marchigiani, al sole, con il vento caldo. Questo è il sapore del lonzino di fichi!
Dove: La Bona Usanza. Via Saragat, 21. Serra de’ Conti (Ancona)
6. Sfogliatella di Lama (Abruzzo)
Siamo a Lama dei Peligni alla fine dell’800. Destino o casualità? Di certo c’è che fu subito amore. La ricetta della sfogliatella napoletana svelata dalla suocera di Donna Anna, moglie del barone Tabassi, fu riadattata in versione abruzzese. E fu tutta un’altra sfogliatella. Dal sapore intrigante e delicato. Aromatico e autentico. Il ripieno combinato ad arte fra la confettura d’uva – detta ragnata – e quella di amarene, unito al mosto cotto e alle noci rendono il gusto più rotondo e sicuramente unico.
Dove: I segreti di Donna Anna, laboratorio artigianale. Via della Resistenza 6. Lama dei Peligni (Chieti)
7. Casoperuto (Campania)
Il casoperuto è un formaggio di origine remote, tipico della Campania nella zona ai margini fra basso Lazio e Molise. Se il vostro primo pensiero è immaginarne l’aroma state tranquilli. Erba tagliata. Percepite quel profumo di primavera? È proprio quando viene realizzato il casoperuto. Prodotto con latte crudo di pecora e di capra. Tutte le tonalità di sapore vengono donate dai fiori di cardo mariano, utilizzato come caglio vegetale. Ma non solo. Dopo aver trattato la superficie con olio di oliva e aceto, il casoperuto, viene cosparso di pimpinella essiccata. A questo punto potete decidere se assaporare il formaggio dopo 6 mesi di stagionatura, dal sapore equilibrato e soffice, o dopo 15 mesi per un gusto avvolgente, che punzecchia dolcemente la lingua.
Dove: Masseria dei Trianelli. Via Forgioni 3. Ruviano (Caserta)
8. Cuzzupa (Calabria)
La cuzzupa è IL dolce tipico della Pasqua calabrese. Soprattutto della zona centrale della Calabria. Tiepida è stupenda. Ha quella morbidezza esclusiva del tarallo dolce e il profumo che ricorda una brioscia calda. Il segreto però è il così detto “annaspero” un composto realizzato da zucchero a velo, chiare d’uova e limone. Versatelo sopra la cuzzupa in modo da formare una crosticina golosissima. Ogni morso deve prevedere un po’ di annaspero! La cuzzupa ne ha una sentimentale, nel vero senso della parola. Quelle con le uova all’interno del composto vengono donate (in base al numero di uova) alla suocera, al genero, al fidanzato, etc., come simbolo di promessa d’amore.
Dove: Pasticceria Federico. Piazza mercato vecchio, 14. Lamezia Terme (Catanzaro)
9. Mostarda di fichi d’India essiccata (Sicilia)
La mostarda di fichi d’India essiccata racconta di giardini colorati. Sole e cielo azzurro. Viene preparata portando a bollore un composto di fichi d’India maturi e amido (o farina) al quale vengono aggiunte mandorle, noci, cannella e scorza di arance. Se siete golosi assaggerete qualche cucchiaio quando la mostarda sarà ancora calda. Quella essiccata però possiede tutto un altro respiro. Quindi lasciate asciugare al sole il composto per qualche giorno e conservatelo in barattoli di vetro con delle foglie di alloro.
Dove: Sagra della mostarda e del fico d’India – Ottobre – Militello (Catania)
10. Filindeu (Sardegna)
I filindeu sono i fili di Dio. Proprio così! Questa antichissima tipologia di pasta è l’ingrediente base della minestra tipica del Santuario di San Francesco di Lula, la festa in Suo onore richiama pellegrini da tutta la Barbagia. Pensate ad un tipo di pasta speciale, che necessita di una lavorazione vigorosa e allo stesso tempo raffinata. Il composto di acqua, farina e sale viene trasformato in fili sottilissimi. Le signore che realizzano ancora questa rarità lavorano l’impasto, con le mani bagnate, finché non si formano tanti fili i quali vengono adagiati su un utensile circolare, costituito da foglie di asfodelo essiccate. Il tutto viene messo ad asciugare al sole. La minestra che viene preparata ha il profumo della spontaneità, con sentori di erba gialla dopo un’estate calda. Ricorda il calore della famiglia, una specie di riparo dalle avversità. Per la minestra viene utilizzato brodo di pecora, insaporito (questa è la chicca) da pecorino fresco acido unito al classico pecorino stagionato. Questo piatto è emozionante. E ha fatto emozionare anche un gruppo di giovani chef giapponesi (sarà per l’analogia con in noodles?) i quali importano in Giappone i filindeu per il loro ristorante a Tokyo.
Dove: Trattoria Il Rifugio. via Mereu, 28. Nuoro
E ora a voi. Quali altri Prodotti Agroalimentari Tradizionali dovrebbero finire nella nostra dispensa?
[Testo. Alessio Cutrì. Immagini: levereggiare; distrettodeadimorgantina; lasalsaaurora; giallozafferano; iloveabruzzo; donnaanna; tortelloamaro; stellasenzaglutine; parcopotorinese; osservatoriodelbiellese; atlanteguide; feelcook; eternomade; agricoltura.regione.campania; sanawell; bertolin; destinazionemarche; labonausanza, peperoni e patate]