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8 Settembre 2018

Milano. Perché Starbucks è un grande successo per la città

Sicuramente ve ne siete accorti: Starbucks ha aperto, in Cordusio a Milano. Notizia che gira sui social, sui giornali, sui siti di informazione, quasi
Milano. Perché Starbucks è un grande successo per la città

Sicuramente ve ne siete accorti: Starbucks ha aperto, in Cordusio a Milano.

Notizia che gira sui social, sui giornali, sui siti di informazione, quasi sempre in modo polemico, dal delitto di lesa maestà all’attentato economico.

Ma forse è il caso di considerare il tutto da una prospettiva diversa. Forse siamo di fronte, più che a un affronto all’arte italiana del caffè, a qualcosa di nuovo, e inusitato, e forse anche epocale. Forse stiamo uscendo dalla retorica dei caffè goldoniani del Settecento, dei salotti letterari che hanno accompagnato il Novecento, dei café parigini, per entrare in un nuovo modo di pensare il caffè, partendo dai numeri.

Non quelli delle code in attesa di entrare nel nuovo locale meneghino, non in quello delle tazzine consumate dai curiosi gastrofighetti alla ricerca di un frappuccino-madeleine di una vita cosmopolita. E nemmeno quelli dei prezzi, 1.80 € la tazzina espresso singolo, 2,70 espresso doppio, 14 € la degustazione.

No, i numeri qui sono quelli della produzione. Ce li spiega Luca Carbonelli (torrefattore napoletano) sul suo blog.

Ogni giorno, 4320 kg di caffè verde in grani verranno trasformati in circa 3450 kg di caffè tostato in grani. Considerato che da 1 kg di caffè si ricavano circa 120 tazze di espresso, ogni giorno potrebbero venir prodotti circa 414mila caffè – solo di espresso, senza considerare le varianti. Più di quanti potrebbero consumarne in un giorno tutti i turisti presenti a Milano e il 12% dei milanesi, prendendone 3 a testa.

Quindi? Quindi lasciamo perdere le polemiche sul prezzo del tipo “la signora Lina – anzi, qui a Milano la signora Cheng – del bar sotto casa lo fa a 80 centesimi”, o i risibili ricorsi del Codacons per il prezzo troppo alto.

Questa è La Fabbrica del Caffè di Starbucks, l’Headquarter europeo della tazzina globalizzata, in pieno centro a Milano, il luogo di produzione del caffè Starbucks destinato a tutti i caffè Starbucks d’Europa.

Milano ha conosciuto negli ultimi decenni un percorso di deindustrializzazione feroce, che ha portato via l’Ansaldo, l’Alfa Romeo del Portello, l’Innocenti, la Breda, trasformando la città. E il nuovo modello urbano ora vede un’industria gastronomica vera e propria a due passi dal Duomo, a tre dal Castello Sforzesco. In pratica, è il modello Expo2015, che viene forse inconsapevolmente applicato al tessuto urbano.

Il caffè, la sua “ritualità”, il “prendiamo un caffè” come momento del discorso, potrebbe cambiare radicalmente. Perdere la dimensione di caffè letterario, di luogo di incontro e perché no di ozio. Il target ormai è la generazione cresciuta a pane (finto) integrale, rete wi-fi e iPhone, multiconnessa e multitasking (che non vuol dire anti-sociale, certo: la socialità è diventata social, ma è solo un modo diverso, che corrisponde al trovarsi al caffè la sera di una volta). La tazzina di caffè non è più uno degli indici Istat sull’aumento del costo della vita. Ritorna a essere, in qualche modo, diverso da prima, cultura, ed economia.

Certo, la cronaca è un’altra. Il “popolo di pecoroni” in effetti si è messo in coda all’alba, venerdì, come riporta Repubblica: alle 4:30 circa c’erano già i primi due clienti in attesa. Peraltro una coppia di giovani orientali, quindi extracomunitari, che ci rubano il posto anche nelle file, a quanto pare.

La durata della coda? Una mezzoretta, circa. Che è diventata un’oretta abbondante verso sera (apertura dalle 9 alle 23). Neanche tanto, per un popolo abituato alle code dell’Expo, degli eventi FuoriSalone, degli stadi, delle Poste.

E ne vale la pena, per entrare in questa versione per caffeinomani della Fabbrica del Cioccolato di Willy Wonka, un Paese della Cuccagna servita in tazzina, un Bengodi della tostatura.

Lasciatevi raccontare da una qualsiasi delle persone, 300 ragazzi e ragazze (di 31 origini diverse, indicate sul cartellino con il nome, come il caffè), i segreti dei vari chicchi di caffè, della tostatura, delle macchine per produrlo estrarlo a freddo a caldo per servirlo, ammirate i giri del caffè dai silos alla tostatrice ai vari tubi che lo portano in giro.

Fate la vostra bella coda (magari prossimamente le cose si snelliranno) per lo scontrino, scegliendo fra le varie possibilità descritte nel menu.

Fermatevi a osservare la preparazione, magari sedendovi a una delle postazioni che circondano il bancone.

Oppure aspettate a uno dei tavolini alti, o in uno dei “salottini” con poltroncine, che vi arrivi quanto ordinato. I posti a sedere sono un po’ dappertutto – non li ho contati, 100? 150? – fra salone e soppalco, dove c’è il cocktail bar Arriviamo.

E il caffè? Bene. Bisogna non pensare agli Starbucks originali, sparsi per il mondo: questo Starbucks Reserve è un format sperimentato solo in due altri locali del mondo. Per cui tutti quelli che si aspettano il frappuccino, non lo troveranno. Domanda oziosa: ma quanti mai italiani saranno stati a New York a bersi il frappuccino nei bicchieroni di carta? A leggere i social, 60 milioni.

Ma non si deve nemmeno pensare all’espresso italiano. O per lo meno, non è quello che ho trovato nella tazzina di espresso che ho preso io. Doppio, 2,70 € (il singolo, che sarebbe poi quello che a Milano chiamiamo ristretto, 1,8o €). Servito su un vassoietto, con un bicchiere d’acqua (non il bicchierino minuscolo che si vede in giro), da portarsi al tavolino.

Magari con una delle brioche o delle altre specialità da forno di Princi, che si occupa del lato food di Starbucks. Brioche mediamente buone – mi piacciono quelle al cioccolato. E il cornetto ai mirtilli (confettura). Ci sono torte e dolci vari.

E ci sono anche due piatti salati, lasagne e (ho letto da qualche parte “addirittura”) la parmigiana di melanzane, 10 €. Ci sono anche cornetti e brioche salati, da 6 €.

E ci sono le focacce (3/4 €) e le pizze (5,50/7,50 €) al taglio, quelle di Princi, famose anche loro, sottili, croccanti, buone, con un sacco di varianti. La margherita a volte lascia a desiderare come cottura (nei Princi che ho provato); qui, era cotta giusta, e appunto buona.

Il caffè, dicevamo. Non è l’espresso italiano, l’ho detto prima, l’ho trovato meno corposo e intenso. Piacevole, ma diverso. Ho anche provato una delle tre “Degustazioni ed esperienze di gusto”. Ho scelto il Brew Comparison Flight, ordinato alla cassa, mi hanno chiesto il nome (cui hanno aggiunto “magliettaverde” per identificarmi meglio), mi sono seduto, e dopo poco è arrivato il mio caffè

Quindi: il caffè Starbucks Reserve preparato con due metodi di estrazione diversi, uno con il metodo Clover Brewer, uno con il metodo pour over. Ovvero,  Clover, una combinazione del metodo a infusione e del metodo sottovuoto “per estrarre al massimo tutti i sapori del caffè”, e Pour Over, in cui l’acqua viene versata in tre riprese sul caffè, messo su un filtro, operazione che dura circa 5 minuti. Il Brew Comparison Flight viene servito separatamente, in due bricchi, con due tazzine per ogni estrazione. Interessante, il confronto (Clover tutta la vita, Pour Over poco intenso): anche qui, l’idea è quella di un caffè-sì-ma-non-caffè-espresso, un insieme di sapori meno intenso, ma sempre piacevole, molto, e interessante l’idea di servizio. Il caffè era la Starbucks Reserve Pantheon Blend Vintage 2018, la prima della gamma di prodotti ideati per questa Roastery. Ethiopia Bitta Farm, Costa Rica Naranjo, Sun-Dried Brazil Ouro de Minas: “morbido e dolce, con note di cioccolato al latte, toffee e uvetta sultanina”. Il tutto (in pratica, 4 caffè abbondanti). 14 € (3,50 l’uno).

Il senso di Starbucks Roastery è forse più qui che nelle tazzine del caffè in sé. L’esperienza, che è un misto appunto di luna park e laboratorio di scienze, una sorta di Disneyland della caffeina – un Howard Schultz Coffee World, che il fondatore di Starbucks, dall’alto delle migliaia di negozi, dei milioni di caffè, dei miliardi di dollari realizzati ha voluto riportare qui a  Milano, da dove tutto è partito:

Senza la poesia dell’espresso italiano, oggi Starbucks sarebbe ancora quello di una volta. Un apprezzato negozio di chicchi di caffè a Seattle.

Starbucks Roastery ha anche una serie di corner dedicati alla vendita dei prodotti a marchio Roastery appunto, dalle varie tazzine tazze tazzone, a gadget che vanno dalle 5 spilline per la giacca (28 €) all’orologio ultrasottile in Tyvek a 20 €, alle magliette (35 €), occhiali (170 €), a una statua della sirena.simbolo del marchio.

Si vende anche il caffè, ovvio, a prezzi che vanno dai 7/8 € all’etto in su.

Resta da render conto delle polemiche. Iniziate già all’annuncio dell’apertura, a marzo 2017, quando un indignato Aldo Cazzullo lo ha definito umiliante per l’Italia (sic), e proseguite con un altro intellettuale, Diego Fusaro, dall’abilità manipolatoria del vocabolario notevole, che però fatica a veicolare i concetti, il quale si proclama consumatore di cibi italiani, compresa la birra Ichnusa, marchio di Heineken.

Ma le critiche più dure sono quelle sui prezzi. Sicuramente cari, certo – ma non è una prescrizione del medico, il caffè di Starbucks. Come non lo è l’acquisto di una Ferrari. Una delle vette polemiche è rappresentata dal Codacons, il cui discernimento nell’affrontare le questioni è affidato essenzialmente alla scelta dei bersagli, quasi sempre solo “acchiappa-like”: a quanto pare, avrebbe presentato un esposto alla Procura perché l’espresso a 1,80  è troppo caro. Un concetto che neanche l’ottimo Pappagone avrebbe espresso nei suoi sketch. Però fa ridere lo stesso.

Che dire? Il posto mi piace, moltissimo, gli spazi, le luci, l’esterno con giardino. Chissà dov’è finita l’edicola che c’era prima, sul marciapiede: mi aspettavo, speravo, che venisse in qualche modo inglobata nel complesso, che trovasse un suo spazio all’interno.

Altro? Beh, oltre alle aperture che abbiamo già annunciato a Malpensa e in piazza XXV Aprile angolo corso Garibaldi, a Milano sembra imminente anche un’altra apertura, sempre nel format “tradizionale”, al piano terreno di Brian&Barry in San Babila, lo store di lusso che ospita anche altri marchi food, da Ham Holy Burger a RossoPomodoro al ristorante Asola di Matteo Torretta. Si parla anche di Torino, lo abbiamo detto: piazza Castello oppure la zona di Palazzo Nuovo, tra via Po e via Sant’Ottavio. E anche Roma: piazza di Spagna e Stazione Termini.

E per finire, una bella immagine, se vogliamo: quella di Howard Schultz che ha deciso di lasciare Starbucks in via definitiva, da presidente esecutivo, il 26 giugno, ma che ha tenuto a seguire l’apertura del “suo” Starbucks milanese, quello suggeritogli dal soggiorno in città del 1983.

Ultima immagine, un cliente alla cassa. Vorrei una fetta di torta. E un tè.

Starbucks Reserve Roastery. Piazza Cordusio. Milano.

[Immagini: Starbucks, iPhone Emanuele Bonati]

Emanuele Bonati
"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.
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