Milano. Il ristorante cinese Serica e tutto il buono della contaminazione
Una delle novità più interessanti comparse a Milano in questi ultimi mesi si chiama Serica, ed è nata da un’idea – la “contaminazione” appunto – di Mauro Yap.
Mauro Yap è un giovane imprenditore cinese, nato a Milano e cresciuto nei ristoranti dei genitori e degli zii. Mica robetta da pollo alle mandorle, involtini primavera o gelato fritto. Stiamo parlando di posti come Bon Wei, Dim Sum, e del thailandese Bussarakam.
Dopo aver viaggiato in Europa, soprattutto su Londra, e in Asia, con la moglie Elisa ha deciso di aprire un locale tutto suo. Qualcosa di inedito a Milano, qualcosa che facesse fare alla sua città un ulteriore passo avanti. Come se Milano non stesse già staccando qualsiasi altra città italiana in fatto di proposte di fine dining (scusate il campanilismo gourmet).
“Mi sono fatto ispirare da Hakkasan e A. Wong a Londra, ancora di più da Dos Palillos a Barcellona. In questi locali c’è vera contaminazione.”
La sua creatura, Serica, si muove su un filo. Quello della seta. Un filo che sembra sottile, come i lineamenti, la voce e i modi di Chang Liu, chef trentunenne di Yangzhou. Eppure sia Chang che il progetto Serica poggiano su basi solide come grandi muraglie.
Chang e Mauro sono cinesi diversi, anche se entrambi sono stati ibridati. Dalla cucina il primo, avendo lavorato a lungo in Italia e per ben tre anni da Yoji Tokuyoshi – maestro di ibridazione gustativa – dalla sua storia personale il secondo. Mauro ha la parlata svelta da milanese, gli occhi guizzano, ti parla in perfetto italiano poi si gira e fa uno switch sul mandarino con sua moglie o con lo chef.
Mentre Mauro ci racconta di quando circa 30 anni fa sua nonna, non trovando a Milano la farina giusta per fare i noodles, usava gli spaghetti e li metteva in brodo, iniziano le piccole rivoluzioni di Chef Chang, una serie di epifanie, di “madai” discendenti da inaspettate sovrapposizioni Italia-Cina.
La prima è lo You Tiao Jet Lag, un pane fritto con cui i cinesi fanno colazione assieme a latte di soia. Qui è accompagnato da caponata e pesto. L’associazionismo che abita la nostra mente si mette a girare ed emergono la pizza fritta, il panzerotto pugliese e la torta fritta emiliana. Prima prova di integrazione, superata.
Il Bao con lampredotto è un boccone goloso multilingue. La piadina con cipollotto (foto in apertura) è la seconda sorpresa. In Cina fanno la piadina? Ebbene sì, tradizionalmente con acqua, farina e grasso di maiale. La versione di Serica è una versione sfogliata come per i croissant, burro nocciolato tra gli strati e olio al cipollotto nell’impasto. Fino a qui ha imperato una versione sublimata dello street food.
Il pepe dello Yunnan, o pepe di montagna, ha catalizzato la nostra attenzione più della stessa Cozza gratinata e mascarpone in cui veniva usato, per la salsa e macinato. Non rilascia il piccante, ma solo un gran sentore agrumato. Per questo non avremmo lesinato sulla quantità, in modo da contrastare meglio il grasso del mascarpone.
La zuppa allo zafferano con spaghettini di soia è un consommè di risotto alla milanese, un distillato meneghino creato con brodo di cappone, crosta di parmigiano, prosciutto crudo e zafferano. La spiegazione che sia una versione etica della zuppa con pinna di pescecane, ci è sembrata un po’ forzata. Secondo noi è un altro piatto in cui Chef Chang è riuscito a fondere un elemento italiano con una tradizione cinese.
Gli spaghetti Mancini con granchio di fiume e zenzero – buonissimi – precedono i WonTon o Tortellini?
Il nome dice tutto. A provarli bendati non si distinguerebbero nel gusto dai migliori tortellini emiliani. Dalla crema di parmigiano al ripieno, l’Emilia risuona come un gong, amplificata.
Quando Alfonso Bonvini, il maître, ci racconta che il Riso alla cantonese non è un piatto ma un metodo di cottura, e lo fa mentre completa il piatto al banco, ci aspettiamo il miglior riso alla cantonese della nostra vita. Tuttavia qualcosa non scatta. Manca una nota forte, una vera impronta gustativa.
La fusione in quanto tale rischia di cancellare l’identità, questo è il rischio. Quasi tutti i piatti di Chang Liu hanno un vertice, che esalta l’assimilazione delle due culture.
Anche il Tofu Nduja e la Wagyu Hot Pot ce l’hanno: la pungenza il primo e la balsamicità il secondo. Nella fecondazione del Sud della Cina, il Sichuan, da parte del Sud dell’Italia.
Il Black Cod e Fermentazione è un piatto che si potrebbe estrapolare e mettere anche fuori carta. La salsa al latte di mandorle e quella al tofu rifermentato sono uno ying yang che strega il merluzzo nero anche senza passare dall’Italia. Poi arriva l’Animella e birra, cotta alla francese e quindi non troppo, con una riduzione della birra Tsingtao, la più popolare in Cina, paragonabile alla nostra Moretti.
La costina di maiale con cavolo cappuccio fermentato, papavero e aceto balsamico, a cui mancava un po’ di grasso a controbilanciare la sfilacciatura della carne, precede un clamoroso epilogo anni ’90. Mangiare cinese per pochi soldi a Milano era un’abitudine tra i liceali inzuppati di pensieri e paturnie ribelli. Il gelato fritto era un must, un pietrone freddo/caldo che si digeriva durante l’esame di maturità, sì, sì proprio davanti ai commissari. E poi si decideva di non mangiarlo mai più. Ripensateci, vi conviene. Un dessert che curiosamente in Cina non si consuma per niente, una trovata di marketing indigesto. La versione del gelato fritto di Serica è gelato di patate arrosto su crema di latte, croccante di nocciole, tempura, polvere di salvia, rosmarino e una chips di patata. Un’idea pesante, resa sorprendente, golosa e assimilabile.
Il menu alla carta è accompagnato da un menu degustazione di 10 piatti a scelta dello chef a 65 €. Si chiama – giustamente – La Via della Seta ed è “Un percorso guidato lungo la Via Della Seta unione culinaria tra Cina ed Italia.”
La carta dei vini, impostata da Alfonso Bonvini, già sommelier e restaurant manager da Tokuyoshi fin dall’apertura milanese, per i bianchi è suddivisa secondo quattro macro criteri: strutturati, fruttati, minerali e macerati. Un ottimo assist per facilitare la scelta. Noi abbiamo bevuto il Sancho Panza 2016, fiano macerato dell’alta Irpinia dell’azienda agricola Il Tufiello.
A seguire la Guarnaccia 2016 de l’Acino, un autoctono calabrese che non conoscevamo. Volatile spinta che quando abbassa un po’ le ali fa emergere un fresco e dolce sentore di peperone.
Non poteva mancare un esemplare vinificato in Cina e stiamo parlando del Tasya’s Reserve Marselan 2015 di Grace Vineyard, miglior rosso 2017 cinese secondo Decanter. Non secondo noi. Il blend di cabernet sauvignon e grenache è una bomba di frutta che non esplode mai in una nota memorabile. Si capisce subito che è stato creato da eminenze grigie francesi, per piacere e per piacersi.
La via della seta di Serica non è una strada asfaltata, non ha il fondo morbido delle aree giochi nei parchi. È una mulattiera, un viale di pellegrini. Battuta dagli incontri che ha visto, dalle strette di mano, dai baci, dagli sguardi affaticati ma certi della meta. Quando prova ad ammorbidirsi diventa scivolosa. Noi ci torneremo.
Serica. Viale Bligny, 19/A. Milano. Tel. +39 0249782736.
[Testo di Martino Lapini]