50 Best Restaurants. Niko Romito spiega perché non è tutto oro quel che luccica
Qualche giorno fa ho scritto un pezzo di riflessione sulla 50 Best Restaurants appena uscite le posizioni 51-120.
Non ero soddisfatto delle posizioni dei ristoranti italiani e ho spiegato la ragione: Niko Romito primo della batteria dei rincalzi non mi sembrava di grande auspicio. Un amico chef mi aveva incoraggiato a non guardare tutto in maniera negativa e io l’ho ringraziato pur restando dello stesso avviso.
Poi è andata come è andata. Siamo riusciti a intestarci un po’ del merito di Mauro Colagreco in cima alla vetta perché per fortuna c’è una gran parte della squadra che è italiana e assieme alla bandiera francese a sventolare c’erano anche i drappi argentini e nostrano.
Se dovessimo sintetizzare in un titolo breve dovremmo dire: “L’Italia dei Ristoranti è affondata”.
Ma si sa è politicamente poco corretto e ingeneroso nei confronti di Camanini che ha conquistato il premio One to Watch (più che la posizione 78) che può dare speranze per il futuro.
Ma di speranze stiamo parlando e non di realtà.
Non vorrei addentrarmi nel merito di un filone di pensiero che premia le trattorie e le osterie o i bistrot per far passare il messaggio che carbonara, amatriciana, pasta e vongole e tutto l’armamentario populista sia il meglio possibile perché abbiamo chiaro che, agli occhi della 50 Best, questa roba non funziona. Forse avrebbe dovuto dircelo, visto che scrive su uno dei quotidiani più forti, la responsabile del panel italiano. Ma chiaramente se scrivi un libro sulla carbonara fai fatica a dire il contrario.
In attesa che il buiaccaro di Trastevere salga sul podio della 50 Best, mi ha colpito – perché mi dà ragione – il commento di Niko Romito che fa parte del Team di Formula Uno dell’Italia.
Ve lo copio – incollo così come l’ho preso da Facebook, non per fare meno fatica a rielaborare i concetti, ma solo per darvi il preciso sguardo di uno chef che sa mettere insieme il “basso” del pollo fritto e l’alto della cucina stellata rispetto a una classifica che nasce dai voti e non dal giudizio.
Cioè la classifica avrebbe per Niko Romito un buona percentuale di ragioni di comunicazione e di pubbliche relazioni alla sua base. Che giustificherebbe l’ossimoro che stando troppo in cucina si perdono posizioni.
È la debolezza delle classifiche che si dicono mondiali, probabilmente, e che per far spazio in alto crea il mausoleo dei vincitori.
Forse è un gioco come ha abilmente sintetizzato Giovanni Sinesi con la sua Best 51.
E come tutti i giochi bisogna stare alle regole, capirle e interpretarle a proprio vantaggio.
Altrimenti mi spiegate perché mai la mejo carbonara del mondo non è in cima alla classifica?
(E per piacere non tirate fuori la faccenda degli scontrini che è anche peggio).
Il post di Niko Romito sulla 50 Best Restaurants
Commento a caldo. Amarezza?
No, solo consapevolezza di essere uscito dalla classifica. Forse un po’ me lo aspettavo anche perché quest’anno sono stato tanto in cucina ed è stato un anno meraviglioso, che mi ha impegnato molto. In tante realtà con funzioni diverse ma con la stessa filosofia. Parlo di Alt, Spazio, Bulgari, del Reale. Quindi il mio focus dell’anno è stata la concentrazione, lo stare sempre dentro la cucina con la testa sul lavoro, quello che sto facendo in Italia e nel mondo. Quindi un po’ mi sono isolato, sì, ma questo mi ha portato tanta forza. E credo di avere alzato il tiro quanto a precisione, all’identità, al mio racconto personale di interpretazione della cucina italiana. Me lo dicono in tanti. Ma allo stesso tempo, forse, questo isolamento mi ha portato a zero presenze fuori dal ristorante e sugli eventi internazionali, quelli che potessero far conoscere la mia cucina fuori da Casadonna.
Dunque per una classifica mondiale non bisogna solo cucinare bene ma anche tessere relazioni internazionali più dirette?
Questo è ovvio, lo dicono tutti. Ci sono 1000 giurati e io sono a Castel di Sangro dunque per farmi conoscere da un giurato asiatico o sudamericano è più facile che sia io ad andare da loro che non loro a venire da me. Ma credo che i ruoli si debbano ribaltare: il cuoco deve restare in cucina ed è il giurato che deve andare a trovarlo. Anche perché sicuramente il critico capirà meglio l’Assoluto di cipolle (un piatto storico di Niko Romito, n.d.r.) mangiato al Reale rispetto a quello mangiato in Perù.
L’anello debole di tutto questo è che mancano i soldi per fare tutto questo, probabilmente.
La 50Best offre una grande visibilità ai cuochi e questo è bellissimo perché questi eventi di incontro sono anche eventi culturali, di scambio di conoscenze. Ma quando mi si dice che “è come la notte degli Oscar” io dico che lo è come tipo di evento, con la differenza che i giurati degli Oscar conoscono tutti i film che giudicano mentre quelli della 50Best giudicano solo quelli che conoscono. Quindi più forza hai nel far conoscere la tua cucina più probabilità avrai di prendere il voto.
Potremmo dire che la forza più grande di questa classifica -l’essere mondiale- è anche la sua più grande debolezza?
Potremmo dire che più sei dentro casa, più sei in cucina a lavorare e meno probabilità hai di farti conoscere. È un paradosso, no? Non a caso si verifica sempre che l’anno dopo che la 50Best si presenta in un territorio (l’anno scorso sono stati i Paesi Baschi, n.d.r.) nella classifica siano i cuochi che hanno il ristorante in quel territorio a salire in classifica. Perché hanno avuto molte più probabilità di essere visitati dai giurati accorsi all’evento di presentazione.
Cosa è cambiato per te in questi due anni in cui sei stato nei primi 50?
Sicuramente ha significato avere più visibilità internazionale. Ma quest’anno anche l’apertura di Dubai, quelle in Cina e la stella Michelin al Bulgari di Shangai mi hanno portato un ritorno di molte persone a Casadonna. Sono consapevole di essere sceso in classifica ma la mia scelta è stata una scelta di dedizione alla mia azienda e questo ha comportato qualche perdita di visibilità sul fronte della 50Best. Non c’è tristezza e non ci sono rimpianti.
E adesso reagirai a questa cosa in qualche modo?
No, ho tanti progetti e sempre più voglia di dedicarmi al lavoro di ricerca che sto portando al Reale. Mi farebbe solo piacere che la stampa riuscisse a spingersi anche un po’ più nel centro-sud Italia. Ne vale la pena.