Pasta. Report spacca l’Italia su tutto: liscia, grano, etichetta, essiccazione
Report con Bernardo Iovene è ritornato sull’argomento pasta dopo il focus sul grano Senatore Cappelli.
In 40 minuti, il giornalista che ha firmato le puntate dedicate alla pizza, all’olio, al caffè e ai cornetti smonta un altro teorema del cibo. Che vorrebbe noi Italiani profondi conoscitori della pasta. Proprio come i Napoletani lo sarebbero della pizza e del caffè.
Il casus belli è offerto dal lockdown di primavera. “Durante il lockdown abbiamo consumato più pasta, lo dicono i dati. Però non tutti i formati di pasta: le penne lisce sono rimaste sugli scaffali. Perché? È una questione solo di gusto o è un comportamento indotto dall’industria in qualche modo?”, chiede Sigfrido Ranucci in apertura di trasmissione.
Noi vi abbiamo esposto più volte i motivi della superiorità della pasta liscia sulla pasta rigata. In 5 punti o accogliendo la tesi di Gennaro Esposito il risultato non cambia.
Una posizione minoritaria?
Bernardo Iovene ha girato in lungo e in largo la Penisola ascoltando chef stellati, pastai, addetti ai lavori, consumatori.
Il partito della pasta liscia
Si dichiarano a favore della pasta liscia, insieme a Bernardo Iovene, senza se e senza ma:
- Oscar Farinetti, fondatore di Eataly
- Lino Scarallo ed Edoardo Trotta, chef e proprietario del ristorante stella Michelin Palazzo Petrucci
- Ernesto Iaccarino, chef del ristorante due stelle Michelin Don Alfonso
- Gennaro Esposito, chef del ristorante due stelle Michelin La Torre del Saracino
- Lorenzo Cocco del pastificio Cav. Giuseppe Cocco a Fara San Martino
- Dino Martelli del pastificio Martelli di Lari
- Alberto Zampino del pastificio Gentile di Gragnano
- Maddalena Generoso del pastificio Liguori di Gragnano
- Giuseppe Di Martino, Presidente del Consorzio Pasta di Gragnano
- Cui mi aggiungo sommessamente anche io e Scatti di Gusto
Perché la pasta liscia è migliore della pasta rigata
“Perché io sono dieci anni, quindici, venti, che cerco di spiegare a tutti che la penna va liscia, la penna non va rigata” (Oscar Farinetti)
“Questa qui è una pasta liscia, però grazie al fatto della trafila in bronzo conserva tutti gli umori. Una grande pasta deve avere tre cose fondamentali: una essiccazione a bassa temperatura tra i 52 e i 58 gradi, poi una trafila in bronzo, e la cosa fondamentale: i grani” (Ernesto Iaccarino)
“Senti la testura, nella masticazione totalmente diversa, la cartella è più spessa. È attaccato il condimento come è attaccato al rigatone” (Lino Scarallo)
“È completamente diversa la masticazione, la piacevolezza. La morte del ragù è liscia” (Edoardo Trotta)
“Sulla liscia il ragù si è disteso in maniera uniforme mentre qui no; qua hai una superficie appunto liscia, e quindi continua. Qui hai una superficie irregolare. Avrai delle altezze e delle profondità diverse” (Vincenzo Pagano)
“Il rigo esprime un limite, un difetto della pasta. Se noi guardiamo il rigo al microscopio vedremo tante punte che circondano il diametro della pasta. Quindi queste punte a un certo punto della cottura quando noi saremo pronti e cotti bene al cuore della pasta, queste punte saranno scotte” (Gennaro Esposito)
“La penna liscia sicuramente quando è ben fatta, ben cucinata, è qualcosa di superiore alla penna rigata” (Lorenzo Cocco)
“Le penne sono nate lisce e devono essere lisce perché, se fatte bene, le penne lisce sono migliori delle penne rigate” (Dino Martelli)
“Noi siamo 100% pasta liscia, perché dottore, inevitabilmente, per quanto la rigatura voglia essere marcata, in cottura inevitabilmente si sfalda. Io le mostro come la pelle – quindi la parte esterna della penna – ha una ruvidezza tale che nessuna riga potrebbe mai sostituire. Nessuna” (Alberto Zampino)
“Purtroppo, si vendono più penne rigate che penne lisce. Secondo me è sbagliato. E la rugosità che dà il bronzo è stata convertita con il rigato. Ma la pasta nasce liscia” (Maddalena Generoso)
“Il rigo serve per mantenere una cottura nelle aree di produzione che non erano naturalmente vocate a produrre pasta (…) l’intenditore di pasta non preferisce quello scalino. Quando lei vede una sezione della pasta rigata, c’è una sezione stessa che è quella del rigo. Quando l’acqua va a colpire questa parete, o questa, qui la cuoce in maniera omogenea, qui la cuoce prima di che cuoce qua. Secondo me dal punto di vista tecnico la pasta rigata non è perfetta” (Giuseppe Di Martino)
Il partito della pasta rigata
Ma, non so quanto a sorpresa, il partito della pasta rigata conta tra le sue file ben più numerosi sostenitori.
Dagli stessi commensali seduti ai tavoli del ristorante Palazzo Petrucci ai ristoratori del lungomare di Napoli, ai consumatori della città partenopea.
Qual è il motivo?
“Secondo me sono i parenti che stavano al nord che sono rientrati che mangiano rigato. Non sono napoletani”, prova a spiegare Lino Scarallo.
Ma ci sono i dati di vendita. “Le penne lisce ce le abbiamo ma il ranking… sono in fondo”, certifica Giuseppe Cantone, direttore commerciale di MD Spa. “Rigate, non c’è storia. Dieci a uno”, commenta i dati di vendita Riccardo Felicetti, presidente dei pastai italiani.
“Si attacca meglio il sugo, si attacca meglio la ricotta, si attacca tutto meglio”. “Per me deve essere rigata. Per azzeccare il sugo”. “La pasta rigata assolutamente. La penna liscia sembra che scivola dalla bocca, non la riesci a mangiare. “Sciuglia”, come si dice dalle nostre parti. La rigata sicuramente ha un qualcosa in più”. Le dichiarazioni coram populo non lasciano spazio.
“Guardate qui invece questa quanto, tra virgolette, è non sporca, però è ricca. Insomma, è un sugo ricco. Questo appena l’acqua si riduce del tutto diventa avvolgente. La pasta rigata è quella che preferisco di più” (Valerio Giovannozzi, Docente Accademia Chef)
“Non c’è partita: pasta liscia bocciata dai consumatori e dai ristoratori anche al sud! I grandi chef dicono il contrario”, commenta Bernardo Iovene.
La pasta rigata scuoce, non cuoce
Di fronte al consenso democratico c’è poco da fare. Ma noi da imperterriti e strenui difensori della pasta liscia proviamo a capovolgere il verdetto della giuria popolare.
“La gola ha lo spessore di 1,50, e se uno guarda il rigo ha uno spessore di 1,84-1,90. È il rigo che forma un monte e una valle, un monte e una valle… quando il monte è cotto la valle è scotta”, spiega Giuseppe Di Martino. Il presidente del Consorzio della Pasta di Gragnano IGP – proprietario dell’omonimo pastificio, del Pastificio dei Campi, del pastificio Amato, dei Grandi pastai italiani di Reggio Emilia – produce pasta rigata per soddisfare le richieste del mercato. Ma l’analisi tecnica è inequivocabile.
E poi c’è il test di Gennaro Esposito che fa bere l’acqua di cottura della pasta a Bernardo Iovene.
“Adesso mi devi far bere l’acqua…”
“Tra un po’, però, ora è bollente”.
“L’acqua della pasta?”
“Esatto”.
“Se era un rigatone non ce la potevamo bere?”
“Se era un rigatone era più torbida e aveva più senso di amido cotto. Io pure la colazione la mattina la faccio con la penna liscia. Cioè, per me esiste solo liscia… Berna’, il resto sono chiacchiere: la pasta è una tela bianca, ci puoi dipingere quello che vuoi sopra”.
“Però liscia?”
“La tela liscia, bianca”.
Dichiaratevi artisti della pasta anche se il 95% dei consumatori preferisce la pasta rigata. La pasta liscia è una tela bianca su cui dipingere. Una citazione che “evoca quella del maestro Fellini secondo il quale la vita non è null’altro che una combinazione tra magia e pasta. Però anche nel tempio dell’integralismo come quello del Consorzio della Pasta di Gragnano, c’è chi ha scelto la scorciatoia. Sono lontani i tempi nei quali veniva addirittura modificato un intero piano regolatore della città per favorire la lenta essiccazione della pasta favorendo il passaggio del vento caldo del mare”, spiega Sigfrido Ranucci.
E c’è un’altra partita da giocare, anzi due.
Lenta essiccazione e trafile al bronzo meglio di veloce e teflon
La lotta si fa ancora più dura. Se la pasta rigata è nata negli anni ’60 per utilizzare semola di minore qualità (ma la differenza prima sullo stesso punto era giocata tra pasta lunga e pasta corta), la naturale conseguenza sono l’essiccazione rapida e la trafila in teflon.
Ripetiamo il mantra della pasta perfetta.
Farina di grano duro, trafila in bronzo, asciugatura in un tempo che può variare dalle 18 alle 60 ore di essiccazione, temperatura inferiore ai 50°C, diciamo tra i 35 e i 37°C.
Bernardo Iovene va da Marcello Niccolai di Trafile srl. L’azienda di Pistoia produce e inventa trafile per tutto il mondo.
“Chiaramente il risultato di una pasta al Teflon non è lo stesso di una trafilata al bronzo. La pasta al Teflon ha una superfice liscia e lucida, quella al bronzo è ruvida e con una alta capacità di trattenere il condimento, richiede anche una qualità superiore di semola”, spiega il giornalista di Report.
Ora voi vi aspettereste che i pastifici di mezzo mondo abbiano adottato in massa le trafile in bronzo. Errato.
“In percentuale quante trafile in Teflon e quante in bronzo?”. “15 per cento di bronzo, il resto fatto tutto in Teflon”, spiega Marcello Niccolai.
In Italia siamo messi un po’ meno peggio. Il 70% dei pastifici utilizza il Teflon ed è per questo che non preferiamo la liscia.
Motivo? Costa meno produrre pasta con le trafile in Teflon, che è una plastica dura e indeformabile che velocizza la produzione. La pasta viene estrusa dalla forma e semplicemente il Teflon la fa viaggiare più veloce.
Anche l’essiccazione diventa più rapida e il nostro mantra se ne va a farsi benedire: una pasta corta si produce in 4 – 5 ore con una temperatura di essiccazione che raggiunge anche i 100 gradi.
Ci sarebbe da votare pasta liscia, lunga essiccazione, bassa temperatura, trafila in bronzo tutta la vita. Eppure non è così.
Siamo lontani dai tempi d’oro in cui la pasta a Gragnano era asciugata in piazza sugli scanni e il piano regolatore della metà dell’800 impediva di costruire edifici alti. Non dovevano fermare la brezza termica che alle 12, puntuale, saliva dal mare e asciugava gli spaghetti.
Oggi si va in cella e ci sono pastai come Martelli che lascia la pasta ad asciugare 50 ore o Natale Zampino del pastificio Gentile a Gragnano che di notte rimane nel pastificio e assaggia la pasta per capire se è croccante al punto giusto. E ci vogliono tre giorni per terminare l’essiccazione di una pasta lunga. Un’enormità rispetto ai tempi di una pasta asciugata velocemente.
Ora ci sono i tunnel con l’effetto asciugacapelli. Ovviamente è tutta una questione di scelte. C’è chi cura comunque l’essicazione in tempi lenti. Al Pastificio Liguori essiccano i formati di pasta corta tra le 8 e le 10 ore. Per le paste lunghe ci vogliono tra le 14 e le 18 ore. Una via di mezzo tra le foto in bianco e nero e i cannoni termici.
Poi ci sono i “matti” come la famiglia Zampino che al pastificio Gentile ha tenuto la tradizione delle fusillare che fanno i fusilli con il gioco del braccio. Una pasta fatta a mano.
L’essiccazione gioca la sua partita sul tempo. “Noi produciamo in un anno quello che un’azienda industriale a Gragnano produce in due giorni”, spiega Alberto Zampino.
Una definizione, industriale, che apre un altro fronte di guerra.
Non esiste un pastificio artigianale. Sono tutti industriali
Mettetevi l’animo in pace. Come già detto altre volte, in Italia la definizione di pastificio artigianale non esiste e non può esistere a termini di legge.
Lo ha appurato a sue spese il Pastificio d’Aragona che aveva scritto sulle etichette “pastificio artigianale”, è stato diffidato ed ha dovuto cambiare le etichette.
Quindi, mettetevelo bene in testa: pastificio artigianale è una definizione romantica (e lo dico anche a noi stessi).
E c’è poco da fare anche se vi doveste chiedere “Beh ma non c’è differenza tra un sistema industriale e un sistema artigianale?” come ha fatto Bernardo Iovene con Giuseppe Di Martino. Il consorzio della pasta di Gragnano ha chiesto un parere al ministero che ha verificato che il disciplinare dell’IGP non prevede l’uso della parola artigianale.
Quindi un pastificio che produce pasta di Gragnano Igp non può “fregiarsi” del titolo “artigianale”. Neanche se ha le fusillare che fanno i fusilli a mano uno a uno con il ferretto.
Lo storytelling del piccolo e artigianale è più bello di grande e industriale non trova spazio. E anche giustamente perché un’industria che produce con trafila in bronzo e lenta essicazione usando semola di qualità ha a suo svantaggio – almeno romanticamente – le dimensioni. Null’altro.
Passare informazioni al consumatore che travisano la realtà dei fatti è errato. Sia in positivo (artigiano superiore a industriale), sia in negativo (il grano estero è peggiore di quello italiano).
Ma discernere è difficile. E ci si mettono in mezzo a complicare la comprensione anche disciplinari ed etichette.
Da 6 a 4 ore di essiccazione, ma è sempre Pasta di Gragnano Igp
Confesso che anche io sono stato preso alla sprovvista al pari di Alfonso Iaccarino. Live ho appreso da Bernardo Iovene la modifica del disciplinare di produzione della pasta di Gragnano IGP che prevedeva un tempo di essiccazione dalle 6 alle 60 ore. Una differenza notevole che ai puristi della pasta fa lo stesso effetto del possibile lasso di tempo tra mungitura e filatura della mozzarella di bufala.
Ma ora è sceso a 4 ore, quindi da 4 a 60 ore è sempre possibile produrre pasta di Gragnano IGP. Distinguere una Gragnano lenta essiccazione da una Gragnano veloce essiccazione è dunque impossibile. Lo scontro tra integralisti e modernisti si consuma con defezioni di pastifici. Ma sappiate che i 23 pastifici che aderiscono al Consorzio (che non ha avuto vita facile per la sua costituzione) hanno accettato un compromesso.
A Bernardo Iovene non basta sapere che “Di fondo chi vuole produrre con 60 ore di prosciugazione lo può fare”. Non va bene nemmeno a Alfonso Iaccarino che si dichiara ambasciatore delle 60 ore.
Un cambiamento che il Consorzio ha trascurato di sottolineare. Come il fatto che l’aria calda del golfo a Gragnano ora sono costretti a soffiarla con i macchinari.
La storia è nel disciplinare: A dare ancor di più il senso dell’importanza dell’attività descritta è la testimonianza, ancora visibile e riscontrabile, dell’organizzazione e addirittura della costruzione, durante tutto il 1800, dei quartieri e dei palazzi della cittadina in funzione dell’attività pastaia. Infatti, in questo periodo, poiché le strade erano adibite a veri e propri essiccatoi persino l’architettura del paese fu ridisegnata dai maggiori architetti del Regno, che determinarono a tavolino la larghezza stradale e l’altezza dei palazzi, affinché non vi fossero ostacoli alle delicate fasi della lavorazione e, in particolare all’essiccazione, che doveva beneficiare della luce e del calore del sole ad ogni ora del giorno.
Ma oggi bisogna fare i conti con la cementificazione..
Indicare il tempo di essiccazione sarebbe una cosa buona e giusta. In fondo un pastificio di Gragnano ha messo in bella mostra sull’etichetta il tempo di cottura della pasta che è diventato virale. Accadrebbe la stessa cosa con l’indicazione del tempo di asciugatura della pasta?
L’esperimento che non è scientifico sul tempo di essicazione
Sigfrido Ranucci annuncia un esperimento. Empirico sottolinea, e che ha fatto infuriare i pastai ancora prima della messa in onda della puntata. Complice il teaser che lo annunciava.
Nelle Marche, i coniugi Latini dell’omonimo pastificio hanno fatto una prova davanti alle telecamere di Report.
Hanno messo a bagno a crudo in un bicchiere d’acqua pasta a essiccazione lenta e veloce. 5 piattini con paste essiccate a 18 ore, a 9 ore, a 18 ore, a 9 ore e una commerciale ma sicuramente al di sotto delle 9 ore.
Risultato? Quella commerciale non ha perso la forma. Quella “romanticamente” artigianale si è completamente sfatta. È tornata acqua e semola di grano duro in pratica.
Cosa vorrà mai dire? Migliore digeribilità nello stomaco che fa un po’ la funzione del bicchiere d’acqua? Non lo sappiamo e Report lo rimarca.
“L’anticipazione della puntata ha fatto insorgere l’Associazione Italiana di scienza dei cereali, che scrive che non “c’è alcuna prova scientifica che la pasta essiccata a lungo tempo sia migliore di quella essiccata velocemente”, per chi ha problemi con la glicemia è consigliabile quella a essiccazione veloce, quella che rimane più intatta, perché rilascia più lentamente le sostanze che poi fanno aumentare l’indice di glucosio nel sangue”, spiega Sigfrido Ranucci dallo studio.
Un documento firmato da tutti, anche dai pastifici che non hanno voluto rilasciare interviste spiega la posizione.
“Scrivono che sosteniamo tesi allarmistiche sul processo di essiccazione della pasta, partendo da un suggestivo esperimento privo di alcun fondamento scientifico, che non dimostra in alcun modo che la pasta con una lenta essiccazione è più digeribile di un’altra con una essiccazione più veloce”.
Anche se la De Cecco ha scritto una mail a parte in cui elogia la pasta a lenta essiccazione e a temperature più basse.
Questo perché secondo loro quella veloce, ad “alte temperature” può comportare il così detto “danno termico”. Mandano anche delle analisi. Dice che si formano sostanze dal sapore amaro, che non sono presenti nella semola, nel grano originale; cambiamenti di colore e di profumi e ci sarebbe anche la perdita di una proteina, la Lisina. Al contrario, invece con l’essicazione lenta, si manterrebbero delle qualità della pasta originaria
Report riporta per dovere di cronaca e invita a scegliere la pasta che più vi piace. E noi facciamo altrettanto, anche se abbiamo le nostre preferenze. Oltre alla liscia.
Ma la guerra della pasta non è ancora terminata.
Quel brutto pasticciaccio delle etichette: UE, no UE
La pasta ha come ingrediente la semola di grano duro. Ma da dove viene quel grano? In etichetta c’è l’obbligo di dichiarare solo se il grano è UE o no UE.
E praticamente tutti mettono l’indicazione sul retro persa tra tutte le altre indicazioni.
Sul fronte al massimo avremo una bandiera italiana che può creare confusione sull’origine del grano. E si finisce davanti all’Antitrust.
Oscar Farinetti ricerca la scritta UE extra UE sulla confezione, ma dichiara la sua passione per i grani dell’Oregon, del Texas, desertici. Quindi fatta a Gragnano con i grani dell’Oregon sarebbe la scritta migliore. Anche per testimoniare la capacità storica dei pastai italiani di selezionare la migliore semola.
Ma il racconto ormai è appiattito sulla presunta eccellenza dei grani italiani. Peccato. Sembra non ci sia altro che 100% italiano.
La dicitura Ue e no Ue scritto dietro piccolo è complicato da andare a controllare. Lo dice Filippo Arena, segretario generale dell’antitrust che la ritiene ingannevole.
Cinque marchi di pasta rispettano il regolamento europeo ma per il garante della concorrenza non va bene e ha avviato cinque provvedimenti.
Uno di questi pastifici ha concesso l’intervista a Report: il pastificio del Cavalier Cocco. Che usa grano dell’Arizona e ha trasformato svantaggio e multa in una nuova opportunità. Ore le sue etichette campeggia in bella mostra, nella parte anteriore, extra Durum Arizona Desert. Quindi una pasta italiana, prodotta a Fara San Martino con il migliore grano duro disponibile.
De Cecco, sulle nuove confezioni, ha fatto lo stesso. Non c’è più la bandiera italiana ma l’indicazione in bella vista che la pasta è fatta con i migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona.
“Lidl invece ha fatto ricorso, ma intanto è stata multata dall’Antitrust per un milione di euro”, annota Bernardo Iovene.
Sembrerebbe facile ma non lo è. Almeno considerato che oltre ai pastifici che l’Antitrust ha multato ci sono 50 tipi di pasta che fanno la stessa cosa. Bernardo Iovene ha portato al segretario generale dell’Antitrust gli incarti di altri pastifici. Sono ingannevoli? L’Antitrust ha avviato le indagini. Filippo Arena ha chiesto a Iovene di lasciargli gli incartamenti.
La Guerra della Pasta, insomma, continua. E per l’Antitrust non è esente nemmeno Gragnano: “La circostanza che come dice lei, come le hanno detto, il regolamento non si applica ai prodotti Igp, non toglie che io Antitrust devo andare a verificare sempre se quella formulazione, quella struttura della confezione dell’etichetta sia ingannevole. In quel caso io intervengo anche in presenza di un’apparente conformità rispetto alle regole dell’etichettatura”.
“L’Antitrust ha esercitato già la moral suasion nei confronti di 8 marchi, 6 dei quali hanno preso provvedimenti: Pasta Zara, Pasta Riscossa, Pasta Reggia, Pasta Fratelli Cellino, Pasta Verde, Pasta “Sapori e dintorni” di Conad. Qualcuno ha rimosso dal front l’immagine che evocava troppo l’Italia; altri invece hanno sopperito inserendo, con la stessa evidenza, la provenienza del grano”, chiude la puntata Sigfrido Ranucci spiegando che secondo uno studio europeo, i consumatori scelgono soprattutto guardando la provenienza del grano.
Ben vengano tutte le specifiche che aiutano il consumatore a comprendere. Il mercato della pasta non deve avere paura, ma spiegare e con la forza economica dei grandi marchi lo può fare. Il consumatore poi si affiderà al suo palato. In fondo l’arma definitiva per vincere la Guerra della Pasta. Liscia, chiaramente.
Qui guardate tutta la puntata di Report sulla pasta.