Backstage cucine Anno Domini 2012: Bowerman, Genovese, Glowig
“Vincenzo, penso al Capodanno”. Franca Formenti, se la conosci sai che sta pensando a molto altro. Vorrebbe fotografare il backstage nelle cucine impegnate per il Cenone di San Silvestro. Lo ha accennato a Cristina Bowerman del Glass Hostaria. Trasferta da Varese a Roma per vedere le cucine della Capitale. Chiedo a Oliver Glowig, dell’omonimo ristorante e new entry nel panorama della città, e ad Anthony Genovese, patron de Il Pagliaccio. Ecco il racconto di Franca per immagini e sensazioni della notte che apre ad un nuovo anno gastronomico. (V.P.)
Non mi sono mai posta il problema di come trascorrere l’ultimo giorno dell’anno, di dove e con chi. Ma negli ultimi mesi, forse a causa di un malessere diffuso tra le persone, ho percepito un lamento più insistente e un voler sottolineare che tanto non cambierà niente e che comunque a nessuno importa del Capodanno.
Mah!!! In fin dei conti si è più inclini a lamentarsi forse solo per timore di quello che verrà o solo per una sorta di torpore mentale che ci impedisce di vedere la luce fuori dal tunnel. Sarà che io quando sono nel tunnel dopo un po’ comincio a imbiancare le pareti a invitare graffitari per decorarlo e ad arredarlo anche con oggetti di recupero.
Parlano tutti di cenone, di cene da sogno e comincio a domandarmi che cosa succederà nelle cucine quella sera, la tensione che salirà e il tasso di adrenalina che sarà alle stelle. Contatto una chef e le chiedo se mi tollera nella sua cucina per fare un reportage e lei acconsente.
Poi Vincenzo ne contatta altri 2 e il gioco è fatto.
31 dicembre. Sono a Roma. All’Aldrovandi Palace.
Ore 19.30. Inizio dallo chef Oliver Glowig. L’ambiente è ludico e spensierato forse perché non è ancora iniziata la maratona serale, mi diverto con la sua brigata che è quasi tutta napoletana. Domenico, che penso sia l’assistente di Oliver, gestisce tutto con destrezza e serenità.
Ho l’impressione di essere su un set cinematografico, di un film americano. Forse per la gestualità partenopea di tutti, forse per l’atmosfera ridanciana e solare o forse perché sono tutti con volti ed espressioni intense che trasmettono ogni minimo spigolo di difficoltà o ritardo nelle cottura.
Oliver è preciso ma senza punte maniacali altrimenti non si sarebbe circondato in cucina di persone mediterranee. Ha avuto il guizzo geniale di unire il suo rigore germanico alla pazzia italiana. È un mix perfetto. Un tedesco e un napoletano è difficile incontrarli in sintonia. Lui ci è riuscito.
Vederli dall’esterno sono proprio belli ma soprattutto sono sicura che siano felici per davvero!
Vedere così tante persone tutte felici in una volta non mi capitava da tanto tempo, ma proprio tanto.
Li lascio alle 21.50 e volo da Anthony Genovese al Pagliaccio. Mi accoglie una signorina lunga lunga, bionda, esile e delicata nei movimenti. Sembra una fata!!!
Entro in cucina e ho l’impressione di essere in una mondo incantato, fiabesco. E non so perché!
Forse sono le luci, i colori. Forse i profumi. Però torno bambina ripescando nella memoria figure fantastiche e racconti misteriosi con personaggi magici e intensi.
Ne rimango dolcemente rapita e so già che il mio primo istinto nel vedere le foto che scatto sarà di stamparle e disegnare delle creature fantastiche che si nascondono tra le pentole o che sbucano dai sacchi di farina… Caspita non ho ancora toccato alcool e sono gia messa così!!!
Anthony sembra un mago e quando lo fotografo ho l’impressione che di colpo compaiano cappello e bacchetta magica.
La sua brigata è unita e sincronizzata nei millesimi di secondi, seria e schiva, discreta e riservata. Ma sempre gentile.
Mi arriva un piatto con un’ostrica e dei colori bellissimi.
Me lo appoggiano su un piano e io penso che sia da fotografare. Allora inizio.
No, è per te. Assaggialo!
Ah, Per me! Lo assaggio è il sapore dell’ostrica mi pervade i sensi. Sono a digiuno, come sempre quando lavoro, bevo acqua e basta. I sali minerali mi arrivano alle sinapsi e inzio a fluttuare sopra le pentole.
Guardando il colore purpureo di ciò che è vicino all’ostrica. Resto ipnotizzata e mi viene voglia di leccarlo prendendolo con le mani. Non posso. Così lo fotografo.
La delizia mi rimane in bocca e mi resta fino a tardi.
Li lascio e vado da Cristina Bowerman, al Glass Hostaria.
Mi accoglie il compagno, Fabio, dicendomi subito che il servizio è terminato. Sono le 23.10. Non mi scoraggio e va bene lo stesso. Entro in cucina e rimango ferma 3 minuti senza fiatare.
Cristina mi saluta e mi bacia, gentile ma ferma. Cristina sembra una nomade dell’Est orientale che si sposta con la sua carovana.
Spande forza, rigore e disciplina che si mescolano al talento e alla grazia di chi ha il dono di avere una sensibilità con il volume alto, molto alto.
La sua brigata ha meno di 30 anni, sembrano pirati, belli e forti, fieri di essere lì al suo fianco a farsi dare ordini e suggerimenti.
Lei è il capo indiscusso. Lo capisci da ogni cosa che è posata sulla superficie di quella cucina.
Il Glass Hostaria dovrebbe essere trasferito su un Tir grande, riprodotto in miniatura e girare per il mondo fermandosi in vari città con le prenotazioni prese on line.
Cristina è il prototipo del nomadismo contemporaneo rivisitato che porta con sé l’adattamento delle intemperie e le eleganze delle principesse gitane.
La lascio e mi ritrovo su un taxi davanti ai fuochi di Castel Sant’Angelo sul Tevere. Poi ripiombo da Oliver. C’è l’estrazione di un gioiello da dare in regalo a uno dei commensali.
Il numero 7. Una signora russa è la premiata. Felice.
Torna in cucina e si gode lenticchie e zampone. Assaggio anche io e mi bevo finalmente un calice di champagne.
Rido con la brigata e con lo chef, sono sempre più felici. Io anche.
Raccolgo tutto, videocamera e macchina fotografica, salgo su un taxi e comincio a vagare nella città. Il resto, lo scoprirete presto…
Buon Anno a tutti!
(Franca Formenti)
(Big Picture: le foto possono essere ingrandite cliccando sull’immagine preferita. Si attiva anche la galleria con le freccette)