Cartellate pugliesi di Natale: la ricetta scientifica spiegata in 5 punti
In vista del Natale, a Bari, come in tutta la Puglia fervono i preparativi: a Santa Caterina si preparano le cartellate, si stabiliscono i menu, gli invitati, le “location”.
Ce mangiàte vu a la vescìgghie de Natàle? E a SSande Stèfene? Ci vène da vu e cci da nù? A ccase de cci se fasce u Natàle cuss’anne? Sop’a la nonne o abbassce a la zzì?
La certezza è una sola: non c’è Natale senza Carteddàte.
La tradizione pare abbia origini antichissime risalenti forse agli antichi Greci poiché in una pittura rupestre, risalente al VI a.C., le Cartellate figurerebbero tra le offerte a Demetra, in occasione del solstizio d’inverno. Col nome di “Nuvole et procassa”, del tutto identiche come impasto e forma, compaiono in un resoconto del banchetto matrimoniale di Bona Sforza, celebratosi a Bari nel 1517. Di certo si sa che il dolce tipico del Natale barese è citato in un documento del 1762 redatto dalle suore benedettine del Convento di Bari, che sorgeva a pochi passi dalla chiesa di San Nicola.
Come per tutte le ricette della tradizione, ogni famiglia ha la sua. Noi siamo andati a scoprire tutti i segreti scientifici di Angiola Arciuli, laureata in scienze biologiche e titolare dell’omonimo panificio, in via Roberto da Bari 72, fondato nel 1890 dalla sua bisnonna Teresa.
Ve la presento.
Nel 1890 la bisnonna Teresa Arciuli ebbe la brillante idea di aprire un forno collettivo, alimentato con bucce di mandorle e noccioli di albicocche. Il forno di nonna Teresa fu, forse, il primo nel centro di Bari, nel borgo murattiano, dopo quelli già esistenti nel borgo antico.
Le donne della buona borghesia barese poterono così mandare a cuocere le loro preparazioni nel forno di nonna Teresa, a due passi da casa loro, senza doversi recare necessariamente a Bari vecchia con le loro teglie.
Da allora alla guida dell’attività si sono succedute quattro generazioni di donne che hanno via via, nel corso degli anni, trasformato il forno collettivo in una vera e propria panetteria di qualità che potesse soddisfare la clientela più esigente.
Ricetta più scientifica di così, vi assicuro, non si può.
Partiamo da una considerazione di ordine generale. Gli addetti ai lavori sanno che quanto più una ricetta è povera di ingredienti, apparentemente facilissima, tanto più numerosi sono i dettagli che fanno la differenza e ne assicurano la buona riuscita.
Le Cartellate del Panificio Arciuli sono preparate a tutt’oggi con la ricetta della bisnonna Teresa, con l’ausilio dell’attuale tecnologia e con l’occhio attento agli ingredienti di eccellenza di cui possiamo disporre. Rappresentano, a mio parere, il tratto di unione perfetto tra modernità e tradizione.
La ricetta scientifica delle Cartellate
Ingredienti
500 g di farina 0 di grano tenero
500 g di semola di grano duro senatore Cappelli
200 olio extravergine di oliva pugliese
200 g di vino bianco
50 g o poco meno di acqua (dipenderà da quanta ne assorbe lo sfarinato)
vincotto di fichi e poco miele d’acacia
1. L’impasto e la differenza tra le farine
Nell’impastatrice a braccia tuffanti si pongono prima olio e vino insieme e poi semola e farina. A questo punto mentre la macchina è in funzione a poco a poco si aggiunge l’acqua, tanta quanto basta fino ad ottenere un composto omogeneo.
L’impasto risulta piuttosto sodo e granuloso e pertanto va passato più volte tra i rulli della sfogliatrice, ripiegandolo più volte e diminuendone gradatamente lo spessore. Una volta ottenute le strisce di pasta si passa al taglio e al confezionamento.
La semola deve essere la stessa che in Puglia si utilizza per la pasta fresca tra farine e semole:quella non-rimacinata a grana più grossolana.
Per chiarezza vediamo le differenze tra farine e semole sulle quali si fa ancora un po’ di confusione.
Dalla macinazione del grano tenero si ottiene la farina bianca che in base al grado di macinazione si divide in: farina integrale, farina tipo 2, farina tipo 1, farina tipo 0, farina tipo 00 la più setacciata.
Dalla macinazione del grano duro si ottiene invece: la semola integrale, la semola e la semola rimacinata. La semola ha un colore tendente al giallo per la presenza di carotenoidi. E’ granulosa, simile ad una sabbia sottile; la farina, invece, è bianchissima e di consistenza polverosa.
2. Il video per fare la forma delle Cartellate
La dimensione delle “fettucce”, tagliate con la rotella dentellata, per ottenere le Cartellate, è di circa 20 centimetri di lunghezza, due dita di altezza e pochi millimetri di spessore. L’impasto deve essere portato ad uno spessore molto sottile ma non sottilissimo, altrimenti dopo la frittura, nello stivaggio, si sbriciolano.
Le strisce vengono piegate a metà per la lunghezza, pizzicandole con le la punta delle dita a intervalli regolari per formare delle piccole conchette, quindi arrotolate a spirale, unendo le conchette tra loro.
La Cartellata è una piccola opera d’arte scientificamente ottenuta dalle sapienti mani delle donne baresi.
3. Il riposo è necessario
Una volta confezionate tutte le cartellate, si mettono ordinatamente distanziate tra loro, a riposare per dodici ore. Il riposo è un passaggio fondamentale che non può essere assolutamente saltato. L’impasto deve perdere l’umidità in eccesso prima di essere cotto per non assorbire l’olio della frittura.
4. La cottura: friggere in olio buono
La frittura è uno dei passaggi più delicati. Deve avvenire in olio molto profondo ben caldo, ad una temperatura medio alta, rigirando delicatamente più volte le cartellate con la schiumarola.
Importantissimo è tenere costante la temperatura dell’olio perché la cottura deve essere veloce.
Quale olio usare per la frittura?
Da Arciuli si frigge con olio di semi di girasole Alto Oleico. L’olio di semi di girasole a alto oleico è un olio che ha un altissimo punto di fumo, e viene considerato stabile fino a 220°C.
L’alto contenuto di acido oleico (acido grasso monoinsaturo) e il contenuto di fenoli (antiossidanti naturali), esattamente come l’extravergine d’oliva, lo rende ideale per la frittura anche in termini di salubrità.
Una volta fritte tutte le Cartellate, vanno lasciate su carta assorbente a testa in giù.
5. Il vincotto di fichi è più delicato
L’ultimo passaggio consiste nel tuffare le Cartellate, poche per volta, nel vincotto di fichi.
Alcuni ritengono che vincotto si possa chiamare esclusivamente quello a base di uva. Da noi per tradizione l’appellativo di vincotto si può riferire alla riduzione a sciroppo, dopo lunga cottura e filtraggio, anche di altri ingredienti quali fichi, carrube, cotogne e altro ancora.
Per le Cartellate si utilizza il cotto di fichi, più delicato come sapore rispetto al mosto cotto, oppure un misto.
Il vincotto va scaldato fino alle prime bollicine, non oltre, e solo a quel punto vi si immergono le cartellate, sempre poche per volta. Si fa velocemente ‘na voldàte e ‘na girate, quindi si pongono a sgocciolare su una gratella a testa in giù.
Il segreto scientifico del Panificio Arciuli sta nell’aggiungere al vincotto una piccola quantità di miele per aumentarne la viscosità. Al momento della vendita, dopo aver pesato il prodotto, viene aggiunto sopra altro vincotto.
Io le Cartellate del Panificio Arciuli le ho assaggiate per voi e le ho trovate davvero eccellenti.
E ora mettete mano in cucina: le Cartellate di Natale aspettano solo voi.
La ricetta scientifica spiegata in 5 punti
Cacio e pepe
Pasta, patate e provola al forno
Ragù napoletano
Papaccelle ‘mbuttunate
Focaccia messinese
Risotto alla parmigiana
Pasta e fagioli
Cartellate pugliesi
Tortelli di zucca