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12 Giugno 2012 Aggiornato il 14 Giugno 2012 alle ore 09:37

Cristina Bowerman. Essere d’accordo con il quinto quarto e il tacco 12

Il quinto quarto di Cristina Bowerman alla prova della Formula 1 ossia l'alta cucina da campionato del mondo anche su tavola a base popolare
Cristina Bowerman. Essere d’accordo con il quinto quarto e il tacco 12

Oppure essere conto la de-quintoquartizzazione. Che vorrebbe dire eliminare dal menu il quinto quarto. L’invocazione l’abbiamo letta corroborata da altre intolleranze alimentari come il pacchero (assoluta religione per lo scrivente soprattutto in abbinamento con uno “sponzillo” di Corbara confit e tocchetti di mozzarella di bufala in freschezza, segnale dell’estate che avanza) e il gelato. Sono d’accordo sul cattivo uso (vogliamo dimenticare i mixer?) e anche sullo stra-uso tipo i paccheri all’amatriciana (ma abbiamo testimonianza che con la gricia ci stanno benissimo).
Il come viene, insomma, vince sul come si pensa. Che non è il trionfo dell’improvvisazione ma la regola della Formula 1. Sperimento, testo l’idea che avevo, verifico e costruisco la strategia. Si discute se l’alta cucina possa essere considerata alla stregua della massima competizione tra poche squadre. Io penso di sì, lo è stato e sempre lo sarà. Ci sono 10 team più o meno e 20 piloti che partecipano. Quello che cambia è il regolamento, il tema o se preferite il mercato. In questo senso esiste la buona (o la cattiva) cucina e non ha senso di parlare di cucina tradizionale e di cucina innovativa. Come ha poco senso parlare di cucina artigianale se non per contrapporla a quella industriale dei grandi numeri e dei centinaia di posti a sedere.

Uno chef di alta cucina cercherà sempre di migliorare e potrà farlo sperimentando partendo dal territorio, dalla tradizione, dalla nonna e dalla mamma ma guardando sempre avanti.

Sono questi i concetti che mi frullavano nel cervello quando sono andato un paio di sere fa ad assaggiare il Quinto Quarto nel menu di Cristina Bowerman, Glass Hostaria a Roma. Non riesco a non pensare a questo ristorante come a un luogo di sperimentazione già a partire dall’involucro che ha fornito molte idee in fatto di stile. Lo ripeterò (forse) per l’ultima volta: uno stellato Michelin senza tovaglia. La Formula 1 che viaggia a ruote scoperte e che molti scambiavano per il motorhome dell’accoglienza con l’aria condizionata.

Quinto quarto proprio per individuare il percorso che dal povero e tradizionale porta al pop ma concepito e presentato in versione top. Alta cucina appunto.

Prendete la coda alla vaccinara (che in realtà si chiama coda, infuso di sedano e crumble di cioccolata) presentato a Vico Equense in calice e quindi in versione da “campo”. Una quasi novità, visto che Cristina l’aveva presentata con la variante della carne di bufalo nella serata dedicata al Ti racconto una bufala ai primi lettori di Scatti di Gusto. Quanti di voi preferiscono rosicchiare la coda alla vecchia maniera invece che tirarla su a cucchiaiate? Sembra poco e minimale il discorso, ma è anche su queste notazioni che si fa progresso. Poi la coda bowermaniana è buona e leggera e ne mandereste giù a badilate, ma molti guardano a questo risultato come requisito minimo per un ristorante stellato.

Prendiamo il pastrami di lingua con giardiniera, salsa al ciauscolo e gelato alla senape. Bowerman lo ha portato a Identità Golose con lo studio scientifico di Dario Bressanini, lo “smontatore” di credenze popolari e dei rimedi della nonna. Che fai, non inserisci il pastrami nell’alveolo della sperimentazione fosse altro per la presenza del gelato (consistenze, temperature ecc di cui tanto piace a tutti discettare)? Sì, è buono anzi ottimo, il migliore della quadrilogia quinto-quartesca del locale di Trastevere.

Le animelle, un altro grande classico della cucina romanesca, con patata americana, cipollotto, uvetta, salsa succo d’arancia. Un equilibrio che accompagna la naturale nota dolce a non appiattirsi in un percorso stucchevole. Nessuna novità trascendentale, sento già battere la grancassa del quasi scontato questo piatto, ma la panatura avrà richiesto una buona messa a punto.

Messa a punto sicura per il cuore di vitella. Ecco come lo descrive Sara Bonamini

Al piatto con il cuore di vitella ci ha lavorato, facendolo assaggiare a diverse persone quasi ogni giorno, per circa tre settimane. Si trattava di trasformare un pezzo di carne dal gusto molto acceso, forte. Il cuore è stato lasciato in marinatura per 5 giorni proprio per attenuare, almeno nella parte esterna, il sapore ferroso del muscolo. Si scotta ad alta temperatura (proprio come si farebbe per una tagliata) e si taglia a fettine sottili di traverso, contro il verso della carne. Viene servito con patate affumicate, habanero (solo a lato nel piatto), salsa al caffè (crema d’uovo con caffè naturale e zest d’arancia) e tartufo nero.

Nella mia personale classifica elenco in ordine decrescente lingua, coda, animelle, cuore. E come molti altri chiedo notizie del rognone.

Formula 1 per così “poco”? Sì, perché va considerato non solo il lavoro sic et simpliciter sul piatto. Glass Hostaria è un locale praticamente sold out ogni sera della settimana e inserire una nuova linea significa sempre valutare gli effetti sul giro in vista del traguardo. La strategia è, ovvio, vendere e non sperimentare per il gusto di farlo. In questo il lavoro di team con la propria squadra è fondamentale. Avere chi pensa alla strategia (Fabio Spada) significa per lo chef concentrarsi e ricevere le informazioni dalla sala (Riccardo Nocera). Proprio come al muretto del box.

E la sperimentazione non si ferma mai. Stasera a Vinòforum si terrà Tacco 12 & Bollicine, un incontro ideato da Lorenza Vitali cui prenderanno parte diverse chef. Il suo piatto Terrina di foie gras e frutti rossi è una provocazione dal titolo (i frutti rossi in realtà sono anguria, rapa rossa e ciliegia) ma è una sperimentazione che potrebbe andare in menu. Lei lo vede come antipasto, a me piacerebbe come secondo piatto (ma è freddo e per una chef di scuola francese non sarebbe proponibile).

Chissà cosa diranno dal muretto del box 🙂

P.S. Per dovere di cronaca, la cena al Glass ha permesso di assaggiare anche un’ottima insalata di mare con gambero rosso e spaghetti di riso.

Un grande classico in strepitosa forma come i ravioli con parmigiano di 60 mesi e asparagi.

Molto buoni i tagliolini con crema ai porri e ostrica con rinforzo di foglia all’ostrica.

Sul versante carne, un agnello accompagnato da topinambur e patate viola.

Sul versante mare, il pesce bianco (con pelle croccante da entrambi i lati), spaghetti di melanzane assolute da Formula 1.

Due dessert con fragole e caprino

e una versione frizzante per ritornare ai tempi in cui sgranocchiavi caramelle scoppiettanti e giocavi con le macchinine. Di Formula 1, che domande 🙂

 

Glass Hostaria. Vicolo del Cinque, 58. Roma. +39 06.58335903

Vincenzo Pagano
Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.
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