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7 Gennaio 2012 Aggiornato il 9 Gennaio 2012 alle ore 09:09

Extra folle. Olio pugliese a 2 euro al litro

Olio d'oliva, scende il prezzo. Non c'è pace per gli olivicoltori italiani che assistono ad un ritocco all'ingiù del listino rispetto all'anno scorso, già
Extra folle. Olio pugliese a 2 euro al litro

Olio d’oliva, scende il prezzo. Non c’è pace per gli olivicoltori italiani che assistono ad un ritocco all’ingiù del listino rispetto all’anno scorso, già non remunerativo per i coltivatori: 2,2/2,3 euro al chilo è infatti il costo alla produzione dell’olio venduto sul mercato pugliese, il più importante a livello nazionale. Una cifra che, unita agli aumenti dei costi di produzione e delle imposte, sta determinando, secondo la Cia, un danno rilevante per gli olivicoltori.

Era sembrata una campagna promettente con le “quotazioni degli oli novelli” che “avevano fatto sperare in un mercato più vivace, anche in considerazione dell’elevata qualità media di quest’anno”. Così non è stato: “Le alte produzioni, localizzate, peraltro, solo in alcune province pugliesi – Foggia e Bari – in controtendenza con le altre realtà nazionali, e fenomeni speculativi nelle filiere distributive hanno determinato l’attuale situazione”.

Tra le misure da attivare subito, secondo la Cia, oltre agli aiuti finanziari al settore, programmi di “educazione alimentare e di consumo consapevole” in un paese che pure “detiene il primato qualitativo, rilevato e riconosciuto in tutto il mondo” ma che “non riesce a concretizzare questa leadership in termini economici e di reddito per i produttori”. “Occorre sviuppare prodotti a denominazione di origine e valorizzare l’extravergine di alta qualità anche con regole di traccibailità e etichettatura trasparenti insieme con efficaci programmi di informazione che agevolino nei consumatori la percezione dell’eccellenza dell’olio di oliva italiano”.

Educazione alimentare e tracciabilità, quindi, le parole d’ordine di un ipotetico rilancio del settore.  L’una a l’altra strettamente collegate visto che la capacità del consumatore di distinguere un buon olio da un olio di qualità più scadente e di non cadere nella trappola del “primo prezzo” è facilitata da un sistema di etichettatura in cui sia lampante la provenienza delle olive.

Perché c’è in genere una bella differenza tra un olio prodotto con olive italiane e un olio prodotto con miscele di oli italiani e comunitari (ad esempio spagnolo) o da miscele di oli comunitari e non comunitari (tunisino). Purtroppo le diciture sulla provenienza delle olive, presenti per legge (un Regolamento europeo del 2009 sull’etichettatura dell’olio extravergine impone che la provenienza delle materie prime utilizzate sia presente in etichetta e vieta la dicitura ‘made in Italy’ per i prodotti che non lo siano al 100%.), sono generalmente indicate in caratteri talmente piccoli da essere difficilmente individuate dal consumatore. Metteteci anche la crisi che spinge verso prezzi “allettanti” e i supermercati che volentieri utilizzano l’olio come prezzo civetta proponendo bottiglie a prezzi stracciati (2-4 euro al litro), ben al di sotto di quello minimo necessario a produrre un extra-vergine (6 euro). Senza contare il fenomeno della contraffazione che pure colpisce il settore. In questo caso al problema della scarsa leggibilità delle etichette si aggiunge quello della deodorazione, il procedimento (illegale) con cui l’olio viene “depurato” dei suoi difetti. Secondo la normativa europea l’olio, per potersi fregiare dell’appellativo di extravergine, non può infatti contenere più di 75 mg di alchilesteri il kg.

Ben diversa la realtà, come spiega a Repubblica Massimo Gargano: il mercato “è pieno di oli di oliva difettati venduti come extravergini” che meriterebbero “di essere declassati, altro che made in Italy” mentre “un olio per poter essere considerato extravergine deve essere privo di difetti organolettici”. E qui torniamo all’educazione alimentare. Ma anche al portafoglio.

[Fonte: cia.it, repubblica.it]

 

 

 

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