Il cine-panettone/2 Un Natale anti noia al Pagliaccio di Roma
Non amo le celebrazioni e le ricorrenze in genere mi mettono di cattivo umore. Siccome però per mia natura non cedo a qualsiasi forma di malessere o disagio, in genere chiudo la partita cercando di portare a casa un risultato soddisfacente e quasi sempre mi riesce bene, per un’ incomprensibile e forse immeritata buona sorte (o sfacciata fortuna, chiamatela come volete), ma tant’è che alla fine me la cavo egregiamente. Questa volta ho superato le mie aspettative, con il mio pranzo di Natale al Pagliaccio di Roma. Sia chiaro, mi ero attrezzata con la migliore delle compagnie, il mio amico del cuore, Paolo Trimani, quindi partivo con una squadra vincente ma il girone non era dei più facili, perché il Natale siamo abituati a trascorrerlo a casa con le nostre famiglie e col conforto della tradizione che però è anche abitudine e porta spesso con sé un inevitabile sfondo di noia.
Io faccio parte del pubblico, sono una cliente, non scrivo sulle guide ma mi capita di condividerne i giudizi, talvolta e penso che Anthony e Marion siano due veri fuoriclasse e che Daniele Montano sia uno dei più bravi direttori di sala con cui io abbia avuto a che fare nel mondo. Il pranzo di Natale al Pagliaccio è stato uno dei migliori che abbia fatto negli ultimi anni. Nulla di scontato e niente di inesplicabile, non si è cercato di inventare senza motivo sul sostegno di una festa che richiede tradizione a voce alta e che in qualche modo, piaccia o meno, deve evocare qualcosa di noto, di saputo, di familiare. Anthony si è mosso con disinvoltura su una materia prima di eccellente qualità, con la sua abilità di grandissimo chef e creatore. Un artista vero, riconoscibile nella sua personalità ma che non ha privato il pubblico dell’idea della tradizione, quella che per forza di cose a Natale ci mette a nostro agio. Si chiama senso della ristorazione, perché un grande ristorante non è solo alta cucina, ma l’insieme delle cose che ci fanno stare bene, che ci fanno trascorrere con soddisfazione il nostro tempo a tavola. Ci siamo divertiti con 10 portate in agile successione e delizia crescente, attraverso alcuni picchi di piacere assoluto, come la zuppa di scamorza affumicata con coscia di pollo,tartare di gamberi rossi e quinoa, i cappelletti di verdure e la pernice al tartufo. Clamorosi anche il salmone e i piccoli arancini serviti come entrèe. Abbiamo concluso con il tronchetto di Natale di Marion, un trionfo e di lei dico che è la più brava pasticcera in Italia, senza temere repliche o dissensi. I Vini in abbinamento erano eccellenti, frutto di una ricerca, non assegnati per caso o con l’idea di alleggerire la cantina. Un grande Nussbaumer 2009 di Tramin, il migliore Gewurztraminer altoatesino, prodotto a Termeno, la zona più vocata alla coltivazione di questo vitigno, il Friulano “Vigne 50 anni” di Zamò, fra i miei preferiti (io lo chiamo ancora Tocai, prima o poi mi abituerò!)
Poi Asinone 2007 di Poliziano, il più buono fra i Nobile di Montepulciano, l’unico che non teme confronti, grazie a un grande produttore, Federico Carletti. Altri vini ancora, avvincenti e buoni. Perché il vino, così come il cibo, necessita di un linguaggio semplice, comprensibile. Buono lo capiamo tutti. Questo pranzo era veramente buono, così mi sembra chiaro, no? In fondo non serve dire altro se non che il prezzo finale è stato di 155€ vini compresi. Umano, direi!