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6 Giugno 2010 Aggiornato il 5 Luglio 2011 alle ore 10:54

In fondo al tunnel. Una luce?

Si discuteva dei problemi dello stato si andò a finire sull'hashish legalizzato e casa mia pareva quasi il parlamento erano in 15 ma mi parevan cento!
In fondo al tunnel. Una luce?

Si discuteva dei problemi dello stato
si andò a finire sull’hashish legalizzato
e casa mia pareva quasi il parlamento
erano in 15 ma mi parevan cento!

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Davanti a me la “famigerata” galleria che lascia Vico Equense, una bocca nera che sembra una fortunata metafora delle discussioni dei giorni della festa: cosa c’è in fondo al tunnel che la ristorazione italiana sembra aver imboccato? Come sta cambiando la ristorazione? Un tema ha tenuto banco e lo terrà per molto: come sta cambiando il mondo della ristorazione e l’idea stessa di lusso. Nei giorni successivi, sino ad oggi, è ancora il tema principale nella discussione in rete e fisica di tutto il nostro piccolo mondo di ghiottoni. Questo argomento, credo, ci terrà compagnia per tanto tempo, non nasce oggi, oggi è diventato solamente attuale… Sulla spinta di tante cose e non propriamente felici: la crisi che morde come non mai, gli echi e la frattura consumata da Striscia la Notizia e la definitiva separazione della società gastronomica dalla società reale. Punti essenziali e centrali che rischiano di mettere in pericolo tutto il comparto e che hanno impattato, con la forza dell’attualità, su un ripensamento generale dei canoni del lusso a cui una nuova generazione di cuochi stava già mettendo mano.

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Nella conferenza stampa di Vico e nelle chiacchiere dei tre giorni questa cosa era tangibile in maniera quasi fisica. Era presente in ogni singola parola spesa sopra quel palco: visibile nei volti giovani e sicuri dei tre cuochi presenti, Max Alajmo, Roberto Cerea e Gennarino Esposito, giovani (i primi due sotto i 40 anni) e oramai punti di riferimento della cucina italiana. Chiara in quello che dicevano, nella necessità di una cucina italiana riconoscibile e concentrata sulle conoscenze e sui prodotti. Non c’è avanguardia senza tradizione, non esiste il concetto di superamento senza quello di limite. Mi sembrano concetti condivisi e oramai chiari a tutti, sintetizzati nella bella immagine di Massimo Bottura che sulla terrazza delle Axidie dispensa tortellini nella semplicità della crema di parmigiano vacche bianche. Insomma la tradizione incontra l’innovazione e da qui riparte per un superamento. Solo una certa critica, sembra totalmente impermeabile a tutto ciò, continua a pensare alla ristorazione come il luogo del lusso più smargiasso, come il regno delle “piccole cose di pessimo gusto” che ci ricordano un tempo andato: se un ragazzo mi si presentasse con una marsina azzurra, mi farebbe un certo effetto, e non penserei (come Goethe) che sia molto elegante e sensibile. Tutto scorre, tutto cambia, tutto deve diventare moderno e contemporaneo.

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Contemporaneo, appunto, è un concetto che permea il nostro tempo, in tutti i campi. Non ci si può non preoccupare della BP che nel Golfo del Messico non riesce a fermare la marea nera o della necessità di sostenere la crisi Greca, prima che travolga l’Europa tutta. Non si può discutere la normativa attuale sulla pesca, anche se è lontana dalle nostre tradizioni marinare, ma è semplicemente necessaria. Sono esempi di come la realtà impatta sulle abitudini e percezioni, senza chiedere il permesso o chiederci se ci va bene.

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La prima urgenza è quella di riconnettere il mondo gastronomico con la società: oramai lo scollamento è evidente e rischia di diventare irreversibile. La cucina è una ricchezza italiana, l’enogastronomico è attualmente la sola voce del made in Italy ancora in attivo, i cuochi sono gli ambasciatori ideali di questo mondo: da qui la necessità che tornino a godere di una considerazione totale e certa, come si direbbe ora senza se e senza ma… per rendere possibile ciò bisogna che la rappresentazione della cucina e della ristorazione di qualità esca dal varietà sciocco e banalotto della prova del cuoco e dal dubbio raccolto e amplificato da Striscia la Notizia. Bisogna che i cuochi si riapproprino (con l’appoggio di una critica adeguata e credibile) dei loro ambiti di piacere e di condivisione, attraverso una cucina più immediata e fruibile, meno ampollosa e distaccata. Non si sta parlando di banalizzare la cucina italiana, ma di riconnetterla al mondo reale, di comunicarla in una maniera più moderna e attuale. Per questo sono state belle le 12 ore di Lemax, per il senso di desacralizzazione dell’icona grande ristorante, in un caos creativo che farebbe inorridire tanta critica paludata. In questo senso è bella la festa a Vico, per il totale spirito informale della tre giorni e per la estrema serietà che si respira in quell’aria così leggera e amichevole. Insomma il mondo della cucina sta già imboccando con decisione e slancio questa strada. Questa generazione di cuochi sta reagendo con un moto di orgoglio e slancio di reni che li porta a nominarsi Cavalieri e Gladiatori. A noi spetta solo il ruolo di appoggiarli e comprenderli e offrire il nostro appoggio e la nostra capacità di leggere che di questo abbiamo bisogno.

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Sulla terrazza di Vico Equense in un pranzo assolato si discuteva di cucina e di tecnica, si parlava di un nuovo “miracoloso” emulsionante in grado di legare anche l’acqua, si parlava delle meraviglie possibili con questo aureo elemento… Un “Cavaliere” nel suo angolo ascoltava silenzioso, alla fine del discorso ha alzato la testa dal piatto e con un sorriso disarmante ha chiesto: ma è proprio necessario? Beh, forse siamo davvero fuori dal tunnel!

Multireverse - Leo Villareal - National Gallery of Art - Washington - 2009 (Gizmodo)

Multireverse - Leo Villareal - National Gallery of Art - Washington - 2009 (Gizmodo)

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