Intervista a René Redzepi. Chi è il cuoco del futuro
Una lettera manifesto, indirizzata ai cuochi di domani e firmata da Ferran Adrià (elBulli, Spagna), René Redzepi (Noma, Danimarca), Alex Atala (DOM, Brasile), Massimo Bottura (Osteria Francescana, Italia), Gastón Acurio (Astrid y Gaston, Perú), Dan Barber (Blue Hill, USA), Michel Bras (Bras, Francia), Heston Blumenthal (The Fat Duck, Inghilterra), e pubblicata qui, e un’intervista a Redzepi nel corso di un pranzo al Noma condivisa con la “signora americana che l’aspetta al tavolo, entra”.
Affabile e alla mano, è questa la prima impressione che hai di Redzepi, giovane e per nulla ingessato nel ruolo di testa e cuore del progetto Noma, forse il più attuale e “cinguettato” modello di ristorazione sulla scena mondiale da un paio di anni a questa parte.
Ma chi è il cuoco del futuro? E come si fa a diventare cuoco del futuro? I 7 punti della lettera manifesto si ritrovano facilmente nel corso della chiacchierata a tu per tu con il numero uno della ristorazione mondiale (almeno per la classifica del World’s 50 Best Restaurants 2011 e 2010).
[2. Nel corso di migliaia di anni, il dialogo tra uomo e natura ha portato alla creazione dell’agricoltura. Siamo tutti, in altre parole, parte di un sistema ecologico. Per garantire che questa ecologia sia la più sana possibile, dobbiamo incoraggiare e praticare, sia nei campi sia nelle cucine, produzioni sostenibili. In questo modo, possiamo creare sapori autentici.]
Parliamo del MAD FoodCamp appena terminato, Redzepi è raggiante, afferma che pur essendo stata la prima edizione tutto si è svolto come auspicato (pioggia battente esclusa): il Symposium è stato magnifico per presenze e qualità degli interventi, l’interazione tra i relatori e la possibilità di intervenire anche attraverso Twitter particolarmente stimolante; la manifestazione allestita per il grande pubblico ha avuto un successo oltre ogni previsione con più di mille abbonamenti per l’intero week-end venduti ed una grande partecipazione di famiglie e giovani. Racconta che la sua idea per il MAD FoodCamp, non appena sarà possibile, è quella di trasferirlo nel cuore di un bosco danese con vicino un fiume, completamente isolato dal contesto urbano: si mangia, si dorme e si discute senza mai spostarsi dal Camp, sfruttando solamente quanto la natura rende disponibile in un rapporto diretto e senza mediazioni con la terra per alimentare un approccio ecologico e sostenibile nella cucina.
[3. Come chef, noi siamo il prodotto della nostra cultura. Ognuno di noi è erede di un patrimonio di sapori, di modi di stare a tavola e tecniche di cottura. Ma non dobbiamo vivere questa eredità passivamente. Attraverso la nostra cucina, la nostra etica e la nostra estetica, siamo in grado di contribuire alla cultura e l’identità di un popolo, di una regione, di una nazione. Con il nostro lavoro possiamo anche diventare dei ponti tra culture diverse.]
Mostra fiero la sua brigata che ha appena terminato il servizio del pranzo e si prepara per quello della cena: un melting pot culturale, ragazzi provenienti da ogni angolo del mondo. Pensi che siano lì per imparare, che l’esperienza al Noma sia tra le più ambite per i giovani cuochi alla ricerca di esperienze altamente formative, che siano attori passivi nell’ecosistema Noma: sbagliato. Redzepi ti sorprende e racconta di quanto sia funzionale l’esperienza e la cultura che ciascuno di loro è in grado di mettere a fattore comune. E’ necessario costruire un ponte tra le culture per far crescere la qualità dell’offerta gastronomica: racconta di come un cuoco italiano sia stato fondamentale per l’avvio di uno dei progetti attuali del Nordic Food Lab, il Garum di Aringhe.
[1. Il nostro lavoro dipende dai doni che la natura ci fa. Tutti noi abbiamo la responsabilità di conoscere e proteggere l’ambiente, di usare la nostra cucina e la nostra voce come uno strumento per il recupero di varietà che sono patrimonio storico e ora in via di estinzione così come di promuovere nuove specie. In questo modo possiamo contribuire a proteggere la biodiversità della Terra, così come preservare e creare sapori e preparazioni.]
Per salire al piano superiore del palazzetto passiamo dal cortile esterno: diversi contenitori dalla forma di piccoli container sono disposti ben ordinati, in uno intravedo della selvaggina a frollare. Al Noma, mi racconta Redzepi, credono che conservare le verdure e la selvaggina all’aperto, con il clima naturale, preservi al massimo le proprietà degli alimenti; nulla di provato scientificamente ma che è ben percettibile all’assaggio. Ogni mattina, prima di presentarsi al Noma, tutti i cuochi sono impegnati nella raccolta della maggior parte dei vegetali serviti, recandosi direttamente nei luoghi dove questi crescono. Una provocazione nasce spontanea in me e, prima ancora di filtrarla, la espongo a René: perché mai in Italia, in zone di elezione per l’allevamento di agnello, gli chef preferiscono usare il pre-salé bretone? Forse per una convenienza economica? La risposta non è immediata, Redzepi ci pensa su e poi sorridente certifica la correttezza della mia osservazione aggiungendo che proprio questi fenomeni vanno arginati e disincentivati.
[4. Pratichiamo una professione che ha il potere di influenzare lo sviluppo socio-economico degli altri. Possiamo avere un impatto economico significativo, favorendo l’esportazione della nostra cultura culinaria e stimolando l’altrui interesse. Allo stesso tempo, collaborando con i produttori locali e applicando loro favorevoli condizioni economiche, siamo in grado di generare ricchezza a livello locale, rafforzando finanziariamente le nostre comunità.]
Proseguendo la nostra passeggiata mi levo un sassolino che ho nella scarpa dal primo giorno del MAD FoodCamp: Copenaghen è una città moderna ed all’avanguardia, capisco il suo interesse verso il rinascimento della cultura gastronomica nordica, ma che succede nel resto del Paese? La popolazione è davvero così attenta quando fa la spesa? Storicamente nella cultura protestante la gastronomia non è così centrale come per i paesi cattolici, vincere questa inerzia iniziale non è facile, ma la sfida è proprio questa: alimentare una cultura di un popolo che possa identificarsi anche con uno specifico modello gastronomico, è la risposta di Redzepi. Tuttavia, prosegue, promuovere la gastronomia di un Paese significa anche alimentare un volano economico importantissimo e trasversale a tanti settori diversi, da quello primario dell’agricoltura a quello terziario del turismo; quanta gente, in effetti, viene a Copenaghen proprio perché curiosa del lavoro che il Noma sta svolgendo qui?
[5. Anche se l’obiettivo primario della nostra professione è quello di dispensare felicità e suscitare emozioni, attraverso il nostro lavoro e lavorando con esperti nel campo della salute e dell’istruzione, abbiamo un’opportunità unica per trasmettere le nostre conoscenze al pubblico, aiutando ad esempio i nostri clienti a prediligere i migliori metodi di cottura e a fare le scelte alimentari migliori per la loro salute attraverso il cibo che mangiano.]
Costruire una cultura gastronomica nordica, continua lo chef, oltre a riverberarsi positivamente sull’economia locale ha anche un secondo ambizioso obiettivo: guidare una popolazione da sempre disinteressata a ciò che mangia, nella scelta degli alimenti più salubri cucinati con tecniche meno dannose per la salute. Il biologico fino a qualche tempo fa era una chimera anche qui a Copenaghen, per non parlare delle tecniche di cottura, mi spiega Redezepi. Come ho potuto constatare al Camp, a Copenaghe oggi ci sono associazioni e fondazioni che hanno come obiettivo quello di fornire una corretta educazione alimentare alle future generazioni e di facilitare l’impiego di prodotti locali e biologici nelle mense pubbliche. Tutto questo lavoro è frutto di una continua dialettica tra enti pubblici, imprese private ed il Noma stesso.
[6. Attraverso la nostra professione, abbiamo l’opportunità di generare nuove conoscenze, che si tratti di qualcosa di così semplice come lo sviluppo di una ricetta o ben più complicato come un approfondito progetto di ricerca. E proprio come abbiamo tratto beneficio dall’insegnamento degli altri, abbiamo a nostra volta la responsabilità di condividere tutto quanto abbiamo appreso.]
Dopo questa lunga digressione, saliamo le rampe che conducono al piano superiore del palazzo di mattoncini. Qui è ospitata una affascinante saletta per pranzi privati, una parte della cucina e l’area dove Redzepi tiene laboratori e simposi con gli altri chef. “La ricerca continua che portiamo avanti al Nordic Food Lab non è finalizzata solamente alla preparazione di un piatto per il Noma”, mi spiega lo chef, “bensì vuole essere uno strumento fruibile e condivisibile da tutti gli altri addetti ai lavori”. Il Noma, con il Nordic Food Lab, collabora con l’Università di Copenaghen in progetti di ricerca i cui frutti sono destinati ad un’ampia platea. Oltra al Garum di aringa, un progetto specifico è sull’uso di particolari alghe come addensante per i gelati, così che possano essere più nutrienti ed allo stesso tempo avere anche una maggiore resistenza prima di sciogliersi inesorabilmente. Redzepi crede molto nella ricerca ma tiene a sottolineare che, perché possa avere un valore, questa non deve essere effimera, bensì deve portare ad un effettivo miglioramento nelle modalità di trattare gli alimenti, come dire deve avere una componente fortemente etica e non solamente estetica.
[7. Viviamo in un tempo in cui cucinare può essere uno splendido modo per esprimere se stessi. Cucinare oggi è un campo in continua evoluzione, che comprende molte discipline diverse. Per questo motivo, per svolgere le nostre ricerche e realizzare i nostri sogni è importanti riempirli di autenticità, umiltà e, soprattutto, passione. In definitiva, siamo tutti guidati dalla nostra etica e dai nostri valori”]
Prima di farmi accompagnare al Nordic Food Lab, situato all’interno di una barca ormeggiata nel canale antistante il Noma, René tiene a ribadire che essere un cuoco oggi non significa cucinare chiusi tra le mura di una cucina, ma significa comunicare al cliente la propria passione, confrontarsi con lui con umiltà e capacità di ascolto e condividere con tutti gli altri chef interessati le proprie conquiste e le proprie ricerche.
Sull’aereo che da Copenaghen mi farà tornare a Roma, penso a come sia cambiato il mondo della ristorazione in pochi anni a tal punto da far sembrare il primo Ferran Adrià lontano anni luce da questa nuova logica dominante; ma si sa, correre è una delle chiavi di volta del Ventunesimo secolo.
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