Recipease, la scuola di cucina di Jamie Oliver va oltre la carbonara al chorizo
Jamie Oliver è uno e trino. Passeggiando per Londra, pur girovagando a caso, è impossibile non imbattersi in almeno due o tre dei suoi ristoranti (il mio record personale è cinque in un giorno).
L’alone di santità che lo accompagna non fa che splendere sempre più ad ogni nuova apertura, evento, programma tv o campagna sociale nonostante i detrattori, che lo accusano di essere uno stratega, un businessman, una star della televisione. Tutto fuorchè un cuoco.
E non bisogna dimenticare che ha 6 scuole di cucina, Ministry of Food, sparse per il Regno. E si possono comprare corsi ai suoi tre Recipease di Londra.
Agli integralisti della cucina nostrana si rizzano i peli sulla schiena quando qualcuno nomina una delle sue reinterpretazioni della cucina italiana in chiave moderna, bionda e pacioccosa.
Non dimentichiamoci lo scandalo della carbonara al chorizo. Stiamo ancora rimuovendo le macchie di sangue sui muri della redazione di Dissapore, ma l’impatto che la sua crociata ha avuto sui risultati degli esami del sangue degli inglesi è innegabile (niente paura sull’evoluzione, abbiamo fresche fresche due ricette di carbonara: zucchine o salsiccia)
Il lavoro che ha fatto con le mense scolastiche, Ministry of Food (le sue scuole di cucina pubbliche sparse un po’ in tutto il Regno Unito), e la disastrosa mentalità inglese del “mettere qualcosa sulla tavola” è esemplare. Insomma, Jamie ha dato agli inglesi un metaforico calcio nel sedere; non si può dire che questi si siano messi a trottare, ma la differenza tra un cespo di lattuga e una latta di fagioli è ormai stata svelata.
Si sono accorti che cucinare è divertente, la moda ci ha messo del suo, ed ora anche a Londra il corso di cucina è una mania.
Il più posh dei tre Recipease si trova in pieno Notting Hill e si inserisce perfettamente nell’equazione.
Jamie ha pensato a tutto: entrando nel locale/negozio l’effetto Alice nel paese delle meraviglie è garantito; il cuoco amatoriale, la giovante amante delle torte glassate, il panificatore acerbo, l’esploratore dei sapori esotici-ma-non-troppo qui vanno in brodo di giuggiole ancor prima di superare il portaombrelli.
Tra libri, utensili, attrezzi colorati, mug spiritose, spezie, farine, formine e padelle c’è da perdersi. La scenografia è perfetta con scaffali di legno, vecchie madie, ceste ricolme di gadgets e al centro della scena una gigantesca open kitchen gialla, luminosa, identica su entrambi i piani.
Se al piano terra si fanno acquisti, al primo piano ci si può accomodare per un pasto veloce (sul menu hamburger, curry, bruschettone e insalate), una merenda o un tè mentre si spiano i londinesi dal passo svelto scontrarsi con i disorientati turisti all’incrocio sottostante.
Gigantesca open kitchen, dicevo: costantemente impegnata ad ospitare corsi più o meno dettagliati su una miriade di argomenti diversi.
Dal green curry thailandese ai pancake per i bimbi, dalla panificazione alle tecniche di taglio e sfilettatura.
Potete imparare a disossare un pollastro, fare la pizza o il sushi. O seguire corsi personalizzati dedicati ai gruppi privati. Vanno fortissimo gli addii al nubilato con le dita impiastricciate di pasta frolla e gli appuntamenti romantici davanti al fornello crepitante.
Gli chef (chiamati Food Champions) sono giovani, belli, competenti: sorridono e con pazienza ignorano l’inettitudine di molti studenti, motivandoli all’impasto e al sauté e condividendo i trucchi che li introdurranno a un futuro di soddisfacente gastronomia casalinga.
Gli studenti imparano e i clienti, seduti ai tavoli tutti attorno, possono osservare la lezione, fare scommesse sulla buona riuscita dei piatti e farsi venire voglia, la prossima volta, di sporcarsi un po’ le mani.
Le lezioni vanno dai 45 minuti alle tre ore, dalle 15 alle 200 sterline a persona.
Per 200 sterline ci si può sedere per cinque minuti in braccio a Jamie, come se fosse Babbo Natale. Questo potrei essermelo appena inventato, ma manderò una mail alla casella dei suggerimenti.
Nello strutturare Recipease le ispirazioni di Jamie si sono limitate al didattico, lasciando da parte calorie e salute.
Tra pasta ripiena e cioccolatini il tema ricorrente delle lezioni è la goduria più che l’attenzione alla caloria. Il filetto alla Wellington spicca solitario ma orgoglioso come unico rappresentante della nazione, schiacciato tra tacos, chilli e spring rolls.
A proposito, la lezione di street food vietnamita pare essere la più popolare, e ogni giovedì sera centinaia di carote innocenti periscono nei dintorni di Portobello Road sotto i colpi di mannaia delle signore entusiaste di far assaggiare ai propri cari ciò che hanno appreso dai piccoli aiutanti di Jamie.
Il quale, non posso negarlo, mi sta proprio simpatico. Anche col chorizo.
[Immagini: Facebook, Jamie Oliver, Divulgation]