Le 45 portate da elBulli che ricostruirono il Rinascimento a tavola
E’ quasi mezzanotte, luna nuova e stelle che brillano in un cielo terso, una deliziosa brezza ci porta l’odore del mare. Fra poco sarà aprile. Il più crudele dei mesi. Mica tanto però, se hai appena cenato al Bulli. Una cena in cui hai banchettato quasi solo con le mani, e in cui i confini tra dolce e salato si sono finalmente svelati come artificiali, artefatti, sovrastutture che un artista catalano ha smontato.
Un connubio rinascimentale, come ha felicemente intuito Arcangelo nella sua lucida estasi.
E Ferran Adrià, più che uno chef, metafora militare con tutto il corredo lessicale che si porta dietro (brigate, capi, vicecapi e via dicendo), mi appare un maestro in una bottega d’arte del Cinquecento. Lo spio dalla grande vetrata che dà sulle cucine mentre discute con alcuni allievi, nel frattempo altri giovani artigiani continuano ad affacendarsi ai fornelli. Sembra, anzi è la bottega di un grande artista circondato dai suoi allievi. La rappresentazione è terminata, ma c’è da mettere in ordine per il giorno dopo.
Con la rituale visita alle cucine era iniziata l’avventura. Una tranquilla frenesia animava questi ragazzi, coordinati ed eleganti come il centrocampo del Barça.
Un bel tavolo con vista sul mare, un mojito caldo e via!
Difficile dire qualcosa di originale su Ferran Adrià, non ci proverò neanche. Si procede per metafore, e quella di un altro pianeta è una delle più efficaci. In un’intervista del 2008 rilasciata a Bonilli, il cuoco catalano aveva affermato di guardare all’oriente, ma ormai sono stati raggiunti territori nuovi, ancora inesplorati. Un altro pianeta appunto.
Quindi come abbozzare una recensione? Elencare le 45 portate, le 45 stazioni che hanno scandito questo pellegrinaggio estetico e sensoriale sarebbe un’operazione noiosa e priva di fantasia. Come visitare un museo ed enumerare tutti i quadri che si sono visti.
Come in un museo abbiamo visitato varie sale e, senza voler necessariamente ingabbiare il percorso gustativo in tappe strutturate (“Libertà!” esclamò lo chef al congresso di Madrid Fusion), possiamo tuttavia riconoscere alcuni elementi unificanti.
Le prime portate infatti ruotano intorno al concetto di aperitivo, come nel mojito presentato sotto forma di panino, i canditi di zenzero e lime o la mandorla-fizz con amarena liofilizzata. Sono assaggi caratterizzati da una notevole spinta acida, che sembrano avere lo scopo di predisporre il palato ad accogliere le sensazioni successive.
Tra queste una “porra” (letteralmente “clava”) di parmigiano croccantissima e ripiena di una deliziosa crema al formaggio. E questo è un gioco che ricorre spesso: la stessa materia prima in consistenze differenti, o in cotture differenti, come il goduriosissimo gambero con la coda appena scottata e le chele caramellate e fritte.
Ma prima ancora una sfiziosissima chip di olio d’oliva e un bloody mary ghiacciato a sancire una cesura con una nuova parte del percorso che sta iniziando.
E’ il momento del mare. Del gambero abbiamo appena detto (sì, va bene, fuori synch, non si può che essere un po’ anarchici) e si farebbe torto a non citare una sorprendente pelle di merluzzo, così croccante e così piena dell’essenza della sua merluzzità. Non fai in tempo a sgranocchiarla con goduria che ti godi la tortilla di gamberetti che l’accompagna.
Un’espressione mistica, un rapimento estatico, illuminano il volto di Arcangelo. Gli mancano le parole, ma le troverà più tardi per questo blog, con felice sintesi onirica.
Delle delicatissime quaglie con scapece (“escabeche”) di carote anticipano il tema della cacciagione, che sarà svolto tra qualche portata e si prosegue mangiando sempre con le mani o con il cucchiaino. Come nel caso del doppio caviale: quello vero e proprio e quello di nocciole o dell’indivia al cartoccio 50%, cioè metà cotta e metà cruda.
Ritorna, si ripresenta periodicamente il tema del doppio in questo itinerario gustativo. “Una realidad que vista desde cualquier punto resultara siempre idéntica es un concepto absurdo”, è un concetto enunciato dal filosofo Ortega y Gasset, e Adrià lo mette in pratica perché la sua realtà non è mai identica a se stessa, ma si può osservare da diverse parti, offrendoci sempre punti di vista differenti.
Il gioco della trasformazione della materia in consistenze e temperature differenti è un’altra costante di questa poetica (e come chiamarla altrimenti?). Un rinfrescante gazpacho ghiacciato e un’intensissima ceviche di lulo (un frutto ecuadoriano) e mollusco ci accompagnano al termine del viaggio che, prima dei dolci, chiuderemo in bellezza con la cacciagione.
La lepre, il tordo e la beccaccia vengono celebrati con salse che esaltano la qualità della materia prima e accostamenti che spaziano tra Asia, Sudamerica ed Europa, quasi si volesse sottolineare l’universalità di questo cibo, che fu nutrimento dei nostri progenitori in tutti i continenti.
E così abbiamo il “ninyoyaki” di lepre (come una frittella alla maniera giapponese), una intensa beccaccia con “guanábana”. Di nuovo mi tocca andare su Google per scoprire che si tratta del frutto della “annona muricata”, detto anche “graviola” (e chi non lo conosce?) e comunque è gradevolmente rinfrescante e si abbina divinamente alla beccaccia. Ancora la lepre è servita con il suo ragù ed il suo sangue. Momento molto proustiano per Arcangelo che ricorda la cucina della madre. Sì, perché Adrià ti proietta nel futuro, realizzando cose che altri umani non hanno ancora inventato, ma sa anche riportarti nel passato.
E’ quasi tempo di congedarci. Le “castagne mimetiche” sembrano sassolini e si squagliano in bocca. La “coca de vidre”, che qualcuno traduce “piadina di vetro” è effettivamente una sfoglia trasparente croccantissima e sottilissima. La grande scatola dei dolci chiude la rappresentazione. Cioccolata e piccola pasticceria. Nulla di trascendentale, visto già su altre tavole.
Come dire: bentornati sul pianeta terra.
Cala il sipario.
Titoli di coda
candi de jengimbre y lima
caipi-mojito caliente
galleta de cacahuete y miel
flauta de mojito y manzana
almendra-fizz con amarena LYO
empanadita de nori
palet de hibiscus y cacahuete
ravioli de pistacho
“macaron” de parmesano
porra de parmesano
chip de aceite de oliva
bloody-mary
corteza de bacalao
tortillita de camarones
langostino hervido
gamba dos cocciones
codornices con escabeche de zanahoria
cerillas de soja
tiramisù
crema de caviar con caviar de avellana
porra liquida de avellana
tarta de trufa
papillote de endivia 50%
tarta de foie
“llangueta”
angulas al vapor
“ceviche de lulo y molusco
taco de Oaxaca
gazpacho con ajo blanco
tartar de tomate
ninyoyaki de liebre
tordo
capucino de caza
becada con guanabana
risotto de moras con jugo de caza
ravioli de liebre con su boloñesa y su sangre
coctel de liebre y frambuesa
castañas miméticas
helado de pandang con agua de coco
terrones al ron
caña de ron
“coca de vidre”
“filipinos”
hojas de oro
caja
Foto: Adam Goldberg – alifewortheating.com