Le gastro-disavventure di un imperfetto viaggiatore gourmet
Pianificare una vacanza per un gastrofighetto-gourmet non vuol dire solo scegliere l’itinerario migliore, selezionare l’hotel più adeguato e riservare il relativo mezzo di trasporto; pianificare un viaggio per chi ha la malattia di impostare una vita sul cibo, equivale, soprattutto, a prodursi in una lunga ed estenuante ricerca delle tavole più interessanti presenti sull’itinerario di viaggio, lavorare sugli alibi per giustificare “piccole” deviazioni sul tragitto ottimale e, principalmente, lanciarsi in una lunga e ponderata lista di prenotazioni delle mangiatoie più desiderate.
Cosa succede però quando il suddetto gastrofighetto, trovandosi in minoranza rispetto a strani compagni di viaggio a cui il cibo è indifferente ed accessorio, deve adeguarsi? Ve lo racconto io… In vista delle vacanze invernali, mi chiama un amico caro e mi propone di aggregarmi all’allegra brigata che, furgone munita, ha l’ambizioso progetto di scorrazzare per una settimana in Europa del Nord; assecondando il ventenne che è dentro di me accetto e salto sul furgone: cari amici lettori di Scatti di Gusto per me nulla è più come prima!
3600 chilometri in una settimana sono tantissimi, muoversi dalla Svizzera ad Utrecht (Olanda), andare poi a Bruxelles passando per Amsterdam e Bruges, quindi proseguire verso Strasburgo (Alsazia) ha messo a dura prova il mio gastrofanatismo per non parlare del mio povero stomaco.
Cibo di plastica, servito in ermetiche e sterili confezioni di plastica e venduto in stazioni di servizio anch’esse di plastica può far male al fisico ed allo spirito quando è un evento sporadico; viceversa se per una settimana diventa l’unico mezzo di sostentamento allora l’esperienza ha del mistico e del catartico, la convivenza con il cibo senza sapore ma commestibile, della non-qualità delle materie prime è il più grande esaltatore di gusto che abbia mai incontrato sul mio cammino.
Lunghissime file di sandwich confezionati nei banchi frigo contenenti “di tutto un po’”, strani wurstel estratti da contenitori che per forma si addirebbero più ad una sala operatoria, bevande gassate sgargianti e zuccheratissime dal gusto artificiale, riescono nell’intento di farti apprezzare, quasi come se fosse un macaron di botturiana memoria, il club sandwich caldo che riesci a consumare seduto ad un bistrot dopo lunghe ed estenuanti trattative con i compagni di viaggio che ti dicono: “ma prendiamoci un kebab camminando!” (salvo poi avvistare strane patatine elicoidali a guarnire il suddetto panino).
Per non parlare poi del meraviglioso mondo degli snack da furgone di cui i miei amici facevano allegramente incetta: patatine dalle inquietanti forme – perché mai una patatina dovrebbe avere la forma di una conchiglia? -, palline che ti si sciolgono in bocca prima ancora di capire che sapore abbiano, strane strisce di carne secca che sembrano più una ricompensa per Fido che un piacere per un essere umano, e poi… poi c’è il dolce: cioccolate in barrette che se le bruci ne ricavi l’energia per un mese di illuminazione domestica, biscotti farciti di non meglio precisate creme, caramelle gommose che dopo ore di masticazione sono ancora perfettamente intonse e tu ingoi sane per sfinimento.
Ultima tappa del viaggio: Bologna. Al grido di “chi mi ama mi segua” afferro il telefono e con febbrile entusiasmo chiamo il Dandi (al secolo Daniele Minarelli dell’Osteria Bottega) e prenoto un tavolo per pranzo; cibo, cibo buono, finalmente.
Difficilmente scorderò questo pranzo: i bocconcini di salsiccia fresca hanno riattivato le mie papille gustative, il culatello mi ha regalato un fremito dietro la schiena.
La mortadella sembrava quasi non l’avessi mai mangiata.
Poi arrivano le tagliatelle con il culatello così intense e profumate che il Paradiso forse esiste, per non parlare dei tortellini in brodo in cui non escludo possa essere caduta qualche mia lacrima di commozione.
La testina di vitello bollita è quanto mai lussureggiante, vestita con una buonissima salsa verde ed un magistrale purè di patate al parmigiano.
Il Lambrusco “Radice” di Paltrinieri, affilato ed acido mi disseta e mi accompagna in questo viaggio alla riscoperta dei sapori e delle meravigliose sensazioni che il cibo sa regalare, illuminandomi sul buon proposito per il 2012: non dare mai per scontato un buon pasto!