Marco Ambrosino lascia il ristorante 28 Posti a Milano
Con un lungo post sui social, Marco Ambrosino lascia 28 Posti, bistrot a Milano zona Navigli. Si separano ufficialmente, ma diventano due traiettorie parallele che comunque continueranno a intersecarsi.
Lo ha annunciato lo stesso Marco, con un post su Instagram e Facebook. Un post “affettuoso”, pieno di sentimento, di orgoglio per il lavoro svolto, e di promesse per il futuro.
Un post che riassume un cammino importante, che ha unito la sua cucina, Procida, e le sue esperienze nel mondo, in una sintesi gastronomica e culturale.
Marco Ambrosino lascia 28 Posti: il saluto sui social
“A casa mia non conosco il posto di ogni cosa; ancora non ho capito dov’è il contatore dell’acqua, la chiave del portone continuo a scambiarla da anni. Del 28 posti, invece, conosco tutto,” scrive Marco Ambrosino. “Ci siamo costruiti insieme. Abbiamo fatto cose incredibili e grandi fesserie, ci siamo divertiti e incazzati. Coscienti di lavorare in un ristorante piccolo, non lo abbiamo mai considerato un ‘piccolo ristorante’. Grazie alle tante persone che hanno lavorato qui in questi anni, siamo riusciti a fare cose incredibili. Rendendole credibili con la forza tipica delle idee dirompenti, quelle nuove, quelle che non c’erano e ora sono quotidianità.
“Per questi motivi andare via dal 28 posti, dopo 8 anni, non è soltanto cambiare lavoro, è tante cose che custodirò gelosamente. Continuerò a seguire la vita del 28 posti,” continua Marco Ambrosino. E ci mancherebbe, aggiungiamo noi. “Abbiamo ancora cose belle da fare insieme. Seguite i canali del ristorante con le comunicazioni dei prossimi eventi.”
Due parole sul futuro: 28 Posti dopo Marco Ambrosino
“Seguirò la cucina a distanza con la certezza di lasciarla nelle mani migliori. Quelle di Franco Salvatore, arrivato qui 7 anni fa come stagista, divenuto collaboratore fondamentale. E dimostratosi, più che un amico, una persona di famiglia.”
“Uè, non è un funerale ma più una festa di fine anno. E come tutte le feste di fine anno sarà seguita da una festa di inizio anno.”
“Fino al 23 luglio mi troverete qui al 28 posti,” prosegue Marco Ambrosino: lo lascia, ma abbiamo giusto il tempo per salutarlo. “Sarà l’occasione per salutarci, per presentarvi Franco e per parlare di cose belle. Io tornerò presto, molto presto (forse troppo presto?), ma di questo ne parleremo poi. Ora è il momento di ricordare i momenti belli e di raccontarvi le cose che arriveranno.”
Felici di sentir parlare di un rapido ritorno: ma ahimé Marco ci ha detto che non sarà a Milano. Nell’attesa di un aggiornamento, lo si potrà incrociare nella sua Procida…
“Un grazie speciale va a Silvia Orazi, Maria Luisa Caputo e Gae Berni. Con infinita fiducia e un po’ di incoscienza, mi hanno dato la possibilità di costruire tutto questo.”
Chi è Marco Ambrosino
Classe 1984, napoletano di Procida (vale la pena ripeterlo), Marco Ambrosino è arrivato a Milano al 28 posti nel 2014. Prima aveva lavorato nei ristoranti di Procida e al Melograno di Ischia, 1 stella Michelin, con la chef Libera Iovine.
Uno stage al Noma di René Redzepi e Marco inizia a elaborare la sua idea di cucina, portando nel Mediterraneo le esperienze nordiche.
Il suo percorso lo porta al 28 posti, il bistrot che ora Ambrosino lascia dopo 8 anni. Abbiamo seguito l’evoluzione del ristorante e della sua cucina, che da “divertente” è passata a “vorremmo vedere la stella Michelin”.
I post dei suoi piatti sui social sono ultimamente accompagnati da descrizioni “culturali” anziché culinarie, come per la Nduja di pance e ritagli (foto sopra). Uno degli ultimi piatti di Ambrosino per 28 posti.
“La storia gastronomica mediterranea ha le sue radici nella necessità, attingendo risorse dalla presenza. Si usa quello che c’è; quello che c’è è sempre necessario, mai uno scarto. Avanzi di lavorazione dei prodotti commerciabili diventano centrali nell’alimentazione del quotidiano. E soprattutto, grazie alla conservazione, costituiscono una riserva sempre pronta per i periodi difficili. Nascono lavorazioni tramandate a voce, fortemente caratterizzate nel loro essere ‘locali’ ma fuori dalla semplificazione ‘regionale’. Questi prodotti, che oggi rappresentano il ‘capitale’ del settore alimentare, ci raccontano di come lo spreco di cibo sia un invenzione recente.”