Pizza in Langa. Il doppio crunch di Renato Bosco con la sfoglia di mozzarella di bufala live
Scatti di Gusto è a Mondovì – anzi, a Mondovicino Outlet Village – a esplorare le diverse sfaccettature del mondo della pizza.
Il nostro direttore Vincenzo Pagano ha chiesto aiuto ai grandi pizzaioli d’Italia per questa full immersion nella pizza di qualità: dall’APN che sta sfornando pizze a portafoglio a getto continuo (anche con le farciture locali con formaggio al barolo di Occelli, con salsiccia e con lardo autoctono)a Patrick Ricci, Alessandro Condurro, Giuseppe Pignalosa, Renato Bosco, Vincenzo Capuano, Teresa Iorio, Giuseppe Giordano e Alessandro Lo Stocco.
Renato Bosco – diamo subito la notizia – dopo Saporè a San Martino Buon Albergo, e dopo Saporè Stand Up a Verona (in via Della Costa 5, tra Torre dei Lamberti e Piazza delle Erbe), aprirà il 1° giugno, ancora a Verona, in via Amanti, zona Porta Leoni, un nuovo locale. Che si chiamerà Saporè DownTown, avrà una bella cucina a vista, 70 posti a sedere, e tutto il percorso artistico (va bene, ci metto le virgolette: ” artistico” – ma solo per evitare commenti noiosi) di Renato, la mozzarella di pane, l’aria di pizza, il crunch, il doppio crunch, insomma, l’arte e la scienza e la sperimentazione della lievitazione.
Ecco, mozzarella, l’ho detto. Ci sono stati molti fuoriprogramma nel calendario di Pizza in Langa. Patrick Ricci si è allungato con le tipologie di pizza e ha duettato con Giuseppe Pignalosa. Che ha sfidato Alessandro Condurro nella classica pizza canotto vs pizza a ruota di carro.
Renato Bosco, invece, ha incontrato Pasquale Colangelo, proprietario e soprattutto casaro del caseificio La Perla del Mediterraneo di Paestum giusto sui lidi di Mondovì per una mozzarella live. Ne è nata una pizza doppio crunch con sfoglia di mozzarella preparata secondo il canone del rettangolo di pizza. Imbottitura semplice ed efficace.
Ma faccio rewind e vi racconto cosa è successo.
Nei suoi interventi al nostro Pizza in Langa, Bosco, stimolato da Vincenzo Pagano, ha toccato un po’ tutti i temi che lo hanno accompagnato nella sua carriera. A partire dagli insegnamenti che lo hanno formato: Rolando Morandin, pasticciere valdostano, da cui ha appreso che ogni elemento di un impasto ha la sua importanza, influisce sul risultato finale, e quindi è importante anche il dosaggio.
Da qui le sue ricerche sul lievito madre, che lo hanno anche portato a pensare a “panettone e colomba tutto l’anno”. Buonissima.
L’evoluzione di Renato Bosco quindi è passata attraverso la pasticceria, ma anche attraverso la panetteria, con gli insegnamenti di Piergiorgio Giorilli. L’esperienza è la base, sapere che per la pizza alta non si può usare il grano antico perché non ha un sufficiente contenuto proteico (che è quello che in definitiva determina come verrà una pizza).
E quindi, ricerca, studio, sperimentazione. Ai pizzaioli napoletani faceva strano che un nordico, veronese, già una decina di anni fa parlasse di pizze, di lievitazioni miste, di ingredienti e di miscele di farine. Adesso, il mondo della pizza è cambiato, è avvenuta una specie di rivoluzione – la tradizione si è rinnovata, non si è persa o è stata cambiata. Anche con il contributo delle sperimentazioni di Renato.
Da cui è nata appunto la mozzarella di pane, un pane cotto a vapore, morbido e gommoso, che rimane bianco perché non avviene la caramellizzazione degli zuccheri, la cosiddetta reazione di Maillard, o l’aria di pizza. Bosco gioca sulle farine (ora sta sperimentando quella di grano duro), sulle lievitazioni, sulla chimica quindi.
Un altro punto ribadito è l’imprescindibilità del Meridione quando si parla, e si lavora, in questo campo. Banalmente, tutti gli ingredienti di base vengono da lì, anche se, certo, i pomodori si coltivano dappertutto, la mozzarella di bufala si produce anche al Nord. Si tratta soprattutto di un debito culturale: la filosofia della pizza viene da Napoli ma è pian piano stata recepita da tutti che hanno aggiunto le proprie particolarità, a Roma come a Verona o a Torino.
Ve bene la pizza a canotto, o quella a ruota di carro: l’importante è l’impasto, e la sua lavorazione. Nella pizza a canotto l’importante è che la lavorazione spinga l’aria contenuta nell’impasto verso il bordo, ad aumentare le dimensioni del cornicione. Lo stesso vale per le pizze gourmet, o contemporanee che dir si voglia: nascono dal confronto con la tradizione. E, per dire, la pizza a Napoli è diversa da quella che si fa a Salerno.
Interessanti le osservazioni di Bosco a proposito dell’olio.
L’olio extra vergine di oliva è preferibile utilizzarlo al termine della cottura, “a freddo”. Ed è meglio usare l’olio entro l’anno dalla produzione: andando oltre, le sue qualità diminuiscono.
Capitolo olio nell’impasto della pizza: c’è chi lo usa fino al 10% del totale, ma con le farine in cui è presente il germe di grano, che è un olio essenziale naturale, Bosco ne aggiunge, se lo fa, solo un 1% al massimo. Proprio per evitare di dare troppo sapore di olio alla pizza.
Il discorso per chi fa la pizza a casa è diverso, perché l’olio è un trucco che aiuta a mantenere la morbidezza durante la cottura prolungata richiesta da un forno elettrico domestico.
A proposito, per fare il pane in casa aiutatevi con un lievitino: 100 g di farina, 50 g di acqua, 10 di lievito. Un pre-impasto da mettere in una ciotola d’acqua e quando salirà a galla sarà pronto per essere utilizzato nell’impasto.
Anche la quantità di sale va considerata con attenzione: scendere sotto i 40 grammi per chilo di farina è una necessità.
Renato Bosco ne usa pochissimo per il crunch: 1 kg di farina, 800 g di acqua, lievito madre e di birra, 20 g di sale, e un 2% di olio. Il tutto va lasciato riposare una notte: viene un impasto molto morbido e con una grande alveolatura. Quindi va cotta, raffreddata, tagliata, farcita (i buchi si riempiono degli ingredienti), e rimessa nel forno (270/280°C, 50% sopra e 50% sotto).
La pizza contemporanea è il risultato di uno scegliersi fra il produttore e il pizzaiolo, e viceversa.
Un esempio di questo scegliersi, di questi incontri virtuosi, come dicevamo è stato quello fra Bosco e Pasquale Colangelo del Caseificio La Perla del Mediterraneo. Che è venuto a Mondovì per una dimostrazione della filatura della mozzarella direttamente da Paestum.
Di mozzarella di bufala stiamo parlando, ovviamente: e la sua filatura è uno spettacolo semplice ma direi quasi poetico.
La mozzarella di bufala secondo Colangelo è migliore se viene fatta con più partite di latte che arricchiscono il bouquet aromatico finale.
Al latte si aggiunge il caglio animale (quello vegetale dà un sapore meno buono) – 10 g al quintale. Si fa bollire: in 20’ il latte diventa solido, e si passa alla rottura del coagulo, della cagliata, in modo da far affiorare la parte lipidica, che diventa poi ricotta.
Dopo un riposo di 4 ore, si fa la mozzarella.
Il latte di bufala è saporita di suo e non sono necessarie altre lavorazioni.
Per inciso, secondo Colangelo è meglio utilizzare la macchina che non farla a mano: il risultato è assolutamente regolare e si raggiunge la perfezione del prodotto. Che è magari meno poetico, ma assicura, è più efficace.
Il solito Vincenzo Pagano ha sfatato un altro mito: la mozzarella di bufala migliore non è quella prodotta a luglio – agosto che utilizziamo per la caprese con i pomodori, ma a novembre – dicembre, quando il latte delle bufale per sua natura è migliore.
Pasquale Colangelo annuisce, noi registriamo e già pensiamo a un doppio crunch di Bosco con mozzarella pre-natalizia.
Buona pizza a tutti!