Il futuro della pizza napoletana migliore è nelle mani di questi pizzaioli
Come lo vedete il futuro della pizza napoletana?
Lasciate perdere per un momento la divisione tra pizza tradizionale e pizza canotto.
Andate oltre l’ovvia affermazione che è possibile utilizzare per la pizza napoletana le cosiddette farine alternative cioè le farine che non siano la 00 (o la 0) senza che questa scelta comprometta il risultato identitario.
Ora vi sembra normale che una pizza napoletana sia “scura” o abbia un cornicione molto alveolato, ma sono caratteristiche recenti.
Guardate in avanti.
So che state pensando all’agiografia del forno elettrico dovuta alla presenza dello sponsor lì in alto a sinistra. Ma anche questo è un dato acquisito. Possiamo discutere in tutti e tre casi della diffusione delle nuove scuole non essendo più una moda il canotto ma una categoria di riferimento al pari delle farine alternative, mentre per il forno elettrico la resistenza è dovuto al romanticismo (o al folclore) che si traducono nella paura di alimentare la propria pizzeria ad elettricità invece che a legna.
Qui parliamo di nuove caratteristiche che ridisegnino la pizza contemporanea giacché quella tradizionale è legata a uno schema assodato e cristallizzato nel tempo. Intoccabile o immutabile a seconda del vostro punto di vista
Sulla tripartizione impasto-farcitura-cottura ci sono ancora spazi di miglioramento.
Il sale nell’impasto, ad esempio, può e deve essere ridotto soprattutto con l’utilizzo di farine che inglobano la parte esterna del chicco di grano o di quelle che hanno caratteristiche topiche marcate.
Soprattutto se con l’impasto è studiata la combinazione con le farciture che non possono essere soltanto la somma di ingredienti eccellenti o famosi. Non basta dire pomodoro San Marzano di… o mortadella di Bologna di… Dop e Igp non si equilibrano da sole.
In Italia un’indicazione di nuove pizze le possiamo avere dai pizzaioli che ho definito atipici.
Ma per il futuro della pizza napoletana dobbiamo guardare oltre confine: Londra e Parigi.
L’occasione della riflessione, ahimè, me l’ha offerta un altro sponsor (guardate in alto a destra): il Mulino Caputo che nell’evoluzione delle sue farine ha una linea colorata di sacchi specializzati, lo sguardo al passato (Tipo 1) e la vocazione hyperlocal (con il Grano Nostrum).
Ma ha soprattutto uno sguardo all’estero e ai mercati degli altri Paesi dove la moneta del Made in Italy in campo agroalimentare è largamente spendibile.
Non solo in termini culturali con l’arte del pizzaiolo patrimonio Unesco che sta diventando l’ombrello sotto cui si riparano tutti coloro che sfornano pizze, ma anche in cifre di bilanci economici.
Antimo Caputo è uno dei link più forti nella connessione Napoli – Resto del Mondo. La farina è l’ingrediente base ineludibile della pizza, viaggia bene e meglio del fior di latte ad esempio, e la paziente tessitura operata con le Caputo Cup e il Campionato Mondiale ha creato una rete di pizzaioli e di conoscenze di ampio respiro amplificate da ripetitori come Gino Sorbillo o Pasquale Makishima.
O come i fratelli Elliot a Londra o Tigrane Seydoux e Victor Lugger a Parigi, cioè Pizza Pilgrims e Big Mamma.
Ed è stato proprio il mulino a connettermi con queste due realtà che hanno amplificato il messaggio della pizza napoletana a Londra dove già contiamo molti ambasciatori (cito Rossopomodoro tra gli insospettabili promotori della campagna di raccolta firme per spingere la candidatura Unesco) e lo hanno reso evidente, in termini di file chilometriche a Parigi (dove possiamo contare su Salvatore Coccia e Gennaro Nasti).
Connessione avvenuta a Napoli nel giro di 10 giorni.
Thom e James Elliot hanno rispolverato i loro antichi lavori, pubblicità e cinema, e sono arrivati a Napoli per costruire con lo staff di comunicazione della loro azienda un servizio che andrà sul giornale di bordo di Easy Jet.
Sono atterrati da Ciro Oliva per poi fare un giro di pizzerie alla ricerca di tipicità e di genius loci. La Sanità gli ha fornito ovviamente molti spunti e la loro addetta stampa e il fotografo mi magnificavano i vicoli che per noi sono la normalità della città.
Il percorso riprende quello che i due fratelli hanno compiuto nel 2011 per avviare la loro attività nel cibo. Prendono un aereo, vanno a Reggio Calabria e recuperano un’Ape 2o0, l’Ape Conchetta come la ribattezzano, per portarla a Londra e farne un “food truck” italiano al 100%. Non la spediscono, ma ci viaggiano per 6 settimane attraversando l’Italia e i luoghi della pizza, Napoli soprattutto. Un bagno che li impregna dei migliori concetti.
Il vantaggio di guardare la tradizione dal di fuori è riuscire a innovarla senza sbattere sulla corazza del tempo e dell’intoccabilità elevata a ragion d’essere.
E ci riescono passando dall’Ape che non avevano spedito per i costi eccessivi a una serie di pizzerie. Un colpo di fortuna che diventa via via design strategico e costruisce il significato di pellegrini della pizza.
Sotto la Torre Eiffel, il percorso è ancora più impetuoso. Il gruppo Big Mamma in poco più di 2 anni apre una sventagliata di locali di grandissimo successo con un condimento irresistibile: alta qualità e prezzi bassi. Pizzeria Popolare, probabilmente l’insegna più conosciuta anche al di qua delle Alpi, è l’esempio della filosofia che ispira le pizzerie franco-napoletane. Un design bello bello, un sistema di accoglienza che cerca di migliorare l’attesa, una pizza di tradizione geo-localizzata e personale al 70% proveniente dalla Campania.
Ed è questo il motivo della selezione al Mulino Caputo con la squadra delle risorse umane in trasferta da Parigi a Napoli.
Giuseppe Cutraro, pizzaiolo napoletano che ha fatto il giro del mondo passando per New York e gli States prima di approdare nella Ville Lumière, Tiziana Fava sempre nella capitale francese e Federica Annese in quella italiana.
Una realtà molto strutturata alla costante ricerca di nuovi talenti e l’appuntamento napoletano servirà ad alimentare due nuove prestigiose aperture che si sommano alle 6 realizzate in due anni.
Nel successo delle due formule che esportano la pizza napoletana classica contano diversi fattori.
Il marketing e la comunicazione sono sicuramente la spina centrale delle due costruzioni (Big Mamma per dire ha pubblicato subito per i tipi di Marabout un volume di 480 pagine con le ricette italiane che spiegano il modo di fare cucina e pizzeria) al pari della qualità comunicata e percepita dai clienti, piuttosto che il prezzo invitante (mangiare una marinara a 4 € e una margherita a 5 € in centro a Parigi come vi sembra?).
Ma non è tutto.
L’attenzione per il benessere dei propri lavoratori (Big Mamma conta 470 assunti! e quindi occhio a Tiziana) e per i propri clienti (Le restaurant ne prend pas de résa, passez nous voir directement, à la bonne franquette. First come, first love ! Venez entre potes, on a de grandes tablées !) spiegano molto.
Ma è soprattutto l’atteggiamento smart nei confronti della pizza napoletana, trattata come una protagonista di una commedia brillante piuttosto che la vittima di una tragedia polverosa, a fare la differenza.
Zero gelosie, consapevolezza che un dipendente non è per sempre, capacità micidiale di confronto con le aspettative del mercato, leggerezza e non solo degli impasti ci dicono che il futuro della pizza napoletana contemporanea è l’intrattenimento.
Per il resto ci sono gli scantinati dei musei e le notti dei lunghi coltelli.
La pizza napoletana più che a un bivio si trova a una rotonda. Vediamo che strada imbocca in questo 2018.