Marennà, ristorante stella Michelin che brilla per qualità e convenienza
Il cubo che ti saluta all’ingresso sa di terra. Asciutta e minerale di vulcano. Penso non sia stata messa lì per caso. La cantina di Feudi di San Gregorio a Sorbo Serpico è una terrazza affacciata sul paesaggio irpino. O almeno così appare a chi arriva qui.
Che potrebbe essere un controsenso abituati a pensare alla cantina come luogo sotterraneo. Il segno asciutto lo ritroviamo nel concept moderno dei volumi che si allungano quasi a perdita d’occhio su un fronte lunghissimo. La presenza si fa poderosa con la facciata a nastro continuo sormontata dal frangisole, quasi un corrimano che accompagna lo sguardo.
E sotto, l’orto profumato di erbe. Quelle che, presumo, finiranno nei piatti di Marennà, il ristorante stella Michelin guidato da Paolo Barrale.
Posso dare uno sguardo – veloce – alla cantina. C’è la sala lobby di “casa Feudi” e Angelo Nudo ci accoglie con un calice di Dubl. La struttura è moderna per un’azienda che quest’anno festeggia 30 anni di attività. Che nel mondo del vino sarà come dire bambini, o quasi.
L’assemblaggio degli anni segue un profilo di asciuttezza. La matita di Hikaru Mori ha saldato le strutture nate in tempi diversi. Un linguaggio arricchito dalla punteggiatura dei designer Massimo e Lella Vignelli.
Colgo le botti in posizione ribassata rispetto al piano di calpestio sopraelevato, le sedie di design, gli allineamenti, il tavolo dello studio del TG2 di memoria.
La sala al piano vetrato segue lo stesso andamento sobrio ed elegante. Paolo Barrale ha una cucina a vista da cui segue la sala.
Non che ne abbia bisogno con Angelo Nudo che dirige le operazioni ai tavoli. Un buon assortimento, c’è poco da aggiungere.
Il Dubl di Greco accompagna i pericolosissimi babà salati e i grissini. L’olio extravergine di oliva è da inzuppo immediato.
Come la guarda la tradizione e il territorio uno chef catapultato su una sorta di astronave madre? Lo vedete con le pizzette con pomodorino e la spuma di fagioli con cotechino.
Ovviamente non può mancare pane e olio che qualcuno vorrebbe associare a un vezzo, una moda, ma che invece è l’essenza del cibo. Le fondamenta, almeno mediterranee.
Una folata di amuse bouche ci travolge. I fegatini e la crème brulée alla zucca vanno più su.
Il cocktail di gamberi è il ritorno agli anni ’80 in una versione godibile e gourmet, l’aggettivo che è invalso nell’uso quotidiano per dire in questo caso che i rossi siciliani sono laccati all’arancia, il caviale non è usuale, la maionese è un’emulsione dei crostacei.
Bello e buono il baccalà rinforzato alla maniera dell’insalata che tanto piace ai napoletani e che sta acquisendo notorietà nazionale grazie al lavoro performante della papaccella. Qui ci sono le patate, l’affumicato e i cavoli.
Dichiaro subito amore incondizionato per il fegato grasso accompagnato da fichi, noci e nucillo. Alta cucina transnazionale
Il nostro percorso enoico tocca piacevolmente la tappa del Greco di Tufo.
Brodo o “gnocchi”? Sapori e consistenze si sposano benissimo in questa composizione di porcini e ricotta in un dashi fresco e penetrante.
L’acume del piatto precedente mette in ombra lo spaghetto con l’anguilla e la mela verde.
Non manchiamo, nel frattempo, di esplorare anche terre più lontane con Ognissole, la cantina che si trova a Sava, vicino Manduria in Puglia.
E veniamo sparati in alto dal vecchio adagio “Al contadino non far sapere…”, cioè le pere qui in guisa di foglio goloso che avvolge il riso come una carta di musica e salda in bocconi golosi la scamorza e la polvere di nocciole. Buonissimo.
Arriva una “quieta” spigola con i cavoli e una zuppetta di miso.
Per il passaggio alla carne chiedo un assaggio di Serpico che va fuori dai canoni dei disciplinari protetti ed ha una veste che si confà al luogo.
Lo azzecco – ma suppongo che il sommelier non mi avrebbe permesso scelte avventate – anche perché arriva la maialata un omaggio al patron, come recita la carta, che sarà milanese o amante del godereccio puro perché questo piatto è strepitoso per cottura e per la salsa appuntita che lo accompagna. Il piatto del pranzo che vale il viaggio (peraltro assai più breve che cercare parcheggio in alcune zone di Napoli) e fa schizzare alle stelle il pallottoliere.
Battute finali con il pre dessert che è financo riduttivo definirlo così: sorbetto di fichi d’india e invitantissima brioche.
Il lato dolce del bere che non sempre mi affascina, ma che ho trovato piacevole soprattutto in apertura – o quasi – di pranzo.
Lo chef si supera in costruzione che diremmo stilosa se non avessimo paura di vedere orde di conservatori mettere in dubbio che il buono possa anche essere bello. Questo Baci di dama si segnala per la coreografia della ganache al latte, della marmellata di sorbe e arancia rossa e per la meringa suadente.
E il gioco di scrollasi di dosso aggettivi stereotipati coinvolge anche le chiacchiere in versione nastri per davvero.
Servizio accorto, cucina spumeggiante e precisa, c’è anche il conto a premiare le aspettative con il degustazione di 5 portate a 52 € e quello a sorpresa da 6 a 61 € (con il vezzo dell’impair al contrario) sempre senza bevande.
Io penso che potrebbe farvi rubricare il Marennà a stella Michelin dall’ottimo rapporto qualità – prezzo. Non so, ma intanto vi segnalo che a San Valentino i tavoli per due potrebbero essere l’occasione per provare l’equivalenza amore e convenienza.
Sappiate dirci.
Marennà. Località Cerza Grossa. Sorbo Serpico (Avellino). Tel. +39 0825-986666 – +39 348.3639531