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29 Gennaio 2020 Aggiornato il 22 Agosto 2021 alle ore 09:17

Roma. Dalla crisi dei ristoranti si salvano solo carbonara e delivery

Roma nun fa la stupida stasera, esci di casa e vai a cena fuori. Solo così si potrebbe - forse - contenere la crisi della ristorazione capitolina di cui
Roma. Dalla crisi dei ristoranti si salvano solo carbonara e delivery

Roma nun fa la stupida stasera, esci di casa e vai a cena fuori. Solo così si potrebbe – forse – contenere la crisi della ristorazione capitolina di cui ultimamente si parla con toni sempre più allarmati. Perché finché a chiudere dopo pochi mesi sono locali dal taglio trendy e modaiolo non ci si preoccupa troppo, seguono i capricci fluttuanti degli avventori.

ottimo ristorante stellato Roma

Si imputa al cambio di gusti, all’inesperienza manageriale, al personale poco formato. Tutto plausibile. Ma quando sono i grandi a chiudere l’effetto è un altro. La chiusura più eclatante dell’anno che è appena trascorso – Giulietta e Romeo – è stata accolta in religioso silenzio da parte della stampa specializzata (quasi tutta almeno), tutt’al più si udivano bisbigli sommessi in occasione di eventi del settore, con i nomi degli interessati pronunciati con il solo movimento labiale.

Che il duo Bowerman-Fabio Spada non avesse fatto i conti a tavolino prima di aprire pare poco probabile, e anche se Testaccio non è Prati (Romeo era nei locali oggi occupati dall’Osteria Birra del Borgo) questa chiusura, che si porta appresso anche Cups e Frigo – gli altri brand del gruppo, ha il sapore amaro della sconfitta.

Interessante anche il caso di Stella Shi, astro nascente della ristorazione romana che nel suo Cu_Cina in Salita del Grillo incrociava il Dna della cucina italiana e cinese con successo: eppure anche Cu_Cina, chiuso e in vendita, ha capitolato a una città che evidentemente non è per chef, ma per osti sì.

migliore carbonara a Roma

A soffrire non è tutta la ristorazione, ma solo quella che vola alto, o almeno vorrebbe, che prova con progetti un minimo ambiziosi nel taglio dei piatti, nella sala, nel servizio, nelle carte dei vini, un taglio che necessariamente comporta un esborso maggiore da parte del cliente.

Epiro è diventata Osteria, Adriano Baldassarre per primo ha aperto la sua trattoria (e sarei curiosa di confrontare gli utili di Avvolgibile con quelli dello stellato Tordomatto), idem Luciano Monosilio ha optato per la tovaglia a quadri con il suo Luciano Cucina Italiana (che ha dovuto fare a meno della pizzeria).

Antonello Colonna ha chiuso l’Open Colonna a Roma, sede di eventi gastronomici (ma ha aperto a Milano) e si è spostato verso le botteghe del Mercato Centrale (solo un po’ prima, vicino al binario 26) e anche nuovi ristoranti con quel pizzico di ricercatezza in più nell’esperienza in generale, hanno in menu la voce “primi della tradizione romana”. In calce, in piccolo, e senza specificare quali, ma tanto tutti capiscono: carbonara, amatriciana e cacio e pepe.

Ancora.

Marzapane, che pure aveva successo nella formula gourmet che aspirava alla stella Michelin, si è riposizionato con una nuova formula e una cucina felice che potrebbe entrare nell’empireo Michelin ora che non è cercato.

I Fooders hanno preferito andare all’estero, piuttosto che ampliare Mazzo, con successo.

Affondata, invece, l’astronave Perpetual che aveva lasciato senza parole all’apertura.

Andando indietro nel tempo, altra chiusura quella di Yugo che pure aveva beneficiato della consulenza di uno chef osannato come il bistellato Anthony Genovese.

A via Giulia ha riguardato la collocazione verso il basso il DOM che ora propone un menu nazional-popolare per San Valentino a 38 € (e a Capodanno il cenone costava 80 €); e siamo nel cuore di Roma.

Riposizionato anche Spazio di Niko Romito che da duplice formula è diventato unico spazio con Bar e Cucina in piazza Verdi con la presenza forte del pollo fritto ordinabile su Cosaporto.

Ma forse hanno fatto un rumore minore come nel caso di Gola e di 28 Birreria Gastronomica a Corso Francia.

Perse anche le tracce di EIT, il ristorante dell’albergo Rex negli spazi che aveva ospitato lo stellato Pipero ora in Corso Vittorio.

Come sono sparite quelle di Litro e di Litrogrammo.

E di alcuni, purtroppo, si sussurra come possibili vittime di una stagione della ristorazione che potrebbe cambiare ulteriormente la mappa del cibo a Roma senza distinzione di riconoscimenti di prestigiose guide o di nuove aperture che hanno soffiato sul fuoco mediatico.

E’ la legge del mercato, quello vuole la gente e se non lo trova passa oltre. Ed è un problema che riguarda molto da vicino Roma, con un centro invaso dai turisti e che risente del calo della spesa media pro capite nell’intero settore (siamo terzi in Europa, dietro Francia e Spagna), ma non soltanto. Secondo l’ultimo rapporto FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) in tutta Italia si mangia fuori soprattutto a pranzo e a colazione (l’11% circa degli italiani, mentre il 33% di chi almeno una volta al mese mangia fuori a cena sceglie la pizza o se va al ristorante spende al massimo 30 euro. Con queste cifre la marginalità è al minimo e l’offerta non può che adattarsi. Chi non lo fa soccombe.

Sempre secondo Fipe, il 25% delle nuove aperture chiude dopo un anno, percentuale che aumenta paurosamente al 57% dopo cinque anni dall’apertura. Non è un lavoro, è un survival game.

ottimo kebab

Colpevoli, sempre secondo Fipe, anche alcune politiche cittadine che favoriscono la concorrenza sleale di paninoteche, kebab, e finti take away (che sono il 54,7% in più rispetto all’anno scorso): “Questo – sostiene il Presidente Fipe Lino Enrico Stoppani – dipende da una molteplicità di fattori: i costi di locazione sono diventati insostenibili, il servizio richiede personale e il personale costa, gli oneri di gestione, a cominciare dalla Tari, sono sempre più pesanti. La scorciatoia e’ fatta da attività senza servizio, senza spazi e con personale ridotto all’osso, ed è favorita da politiche poco lungimiranti delle amministrazioni locali che consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio ‘stesso mercato, stesse regole’ che per noi è alla base di una buona e sana concorrenza. La disparità di condizioni non genera soltanto concorrenza sleale, ma finisce per impoverire il mercato stesso, la sicurezza dei consumatori e la qualità delle nostre città“.

ottimo delivery di pesce

Inoltre va messo in conto il proliferare del delivery, un boom che secondo una ricerca Fipe a cura di Giulia Erba vale un bel +14,8% nel decennio 2008 – 2019 pari a 37.146 nuove aziende, fattore centrale nel fenomeno della progressiva desertificazione dei centri storici (l’analisi riguarda 123 comuni italiani di medie e grandi dimensioni).

E i numeri non mettono a riparo nemmeno il Nord, stando ai dati della crescita a confronto tra esercizi con sala vs. senza: Milano +65,4% vs. +339,4%, La Spezia +70,8% vs. +133,8%, al centro – virtuosissimi – Firenze +74,8% vs. +55,9% e Roma +54,6% vs. +45%, mentre al sud Napoli se la cava quasi in parità con +53,9% vs. +68,6%, non così bene Lecce +15,8% vs. +92,4%.

La risposta a questa erosione di clientela, dalla sala al salotto (ma di casa), sembrerebbe la cosiddetta dark kitchen, cucine senza ristorante: ma davvero è Foorban l’unico modello di ristorazione sostenibile (almeno economicamente) che ci si prospetta? Perché se fosse così il rinnovato e giusto interesse sulle nobili professioni della sala, sommelier, maitre, chef de rang, e le accademie di alta formazione possono iniziare a preparare le valigie e andare all’estero a raccontare un made in Italy di eccellenze che in Italia non eccellono più.

PS. Dimenticata qualche chiusura?

[Immagine di copertina: la carbonara di Eggs nella foto di Andrea Di Lorenzo]

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